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4.2 – La dottrina all’indomani della creazione delle Regioni: prime aperture alla collaborazione intersoggettiva

Anatomia dei rapporti intersoggettivi ante riforma del Titolo

II. 4.2 – La dottrina all’indomani della creazione delle Regioni: prime aperture alla collaborazione intersoggettiva

In dottrina109, la suggestione di dette pronunce ispirò una riflessione sul divario fra il modello ideale posto dalla Corte Costituzionale e la sua praticabilità. Il modello elaborato dalla Consulta viene definito insufficiente in quanto anelante ad una definita ripartizione delle “sfere di competenza”, e si propone l’edificazione di un sistema basato sul bilanciamento delle competenze operato volta per volta mediante il sindacato della Corte.

È stato rilevato che, restando ad una piatta ricognizione dei dati emergenti dalla normativa costituzionale in materia di rapporti fra

108 In materia di trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni

amministrative statali in materia di urbanistica e di viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale e dei relativi personali ed uffici.

109 A. D’ATENA, Osservazioni sulla ripartizione delle competenze fra Stato e Regioni (e sul

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Stato e Regioni, si potrebbe essere indotti a ritenere che la regola di tali rapporti è quella della garanzia di competenze rigidamente separate e distinte, certamente destinate a convergere nel perseguimento di obiettivi unitari, ma articolate in termini da richiamare «il modo delle rette parallele destinate a non incontrarsi mai, né mai a interferire». Ma ciò che più rileva è che «in pratica siffatta ricostruzione non ha mai avuto attuazione». Tanto, dunque, suggerisce la revisione delle previsioni costituzionali «alla luce dei dati offerti da un’esperienza la cui ampiezza e articolazione il costituente medesimo non aveva probabilmente nemmeno intravisto»110.

Altra parte della dottrina evidenzia la necessità di dare compiuta definizione al concetto della collaborazione e al suo regime positivo, in difetto, ammonisce, si incorrerebbe nell’impossibilità di porre limite alcuno alle competenze siccome legalmente determinate111.

Vi è chi, invece, non solo mette in risalto il rilievo costituzionale del principio, ma descrive altresì la collaborazione quale implicazione necessaria del sistema delle autonomie, ritenendo che non si possa far questione sull’an del principio a fronte della concreta attuazione posta in essere attraverso strumenti approntati dal diritto positivo112.

Altri113, avviando la sua riflessione dalla considerazione della natura pluralistica del nostro ordinamento114 «da quando fecero breccia nel disegno costituzionale le nozioni di autonomia e

110 S. BARTOLE, Supremazia e collaborazione nei rapporti tra Stato e Regioni, in Riv. trim.

dir. pub., 1971, 142 ss..

111 A. BARBERA, Regioni e interesse nazionale, Milano, Giuffrè, 1974.

112 G. D’ORAZIO, Gli accordi prelegislativi tra le Regioni (uno strumento di cooperazione

interregionale), in Giurisprudenza Costituzionale, 1977, 971 ss.

113 L. ARCIDIACONO, op. cit.

114 L’Autore si riferisce al pluralismo sostanziale, che attiene ad una divisione del potere

(tanto in senso orizzontale quanto in senso verticale) e non al pluralismo formale che è mera divisione di carichi di lavoro.

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decentramento»115, segnala l’esigenza di trovare strumenti atti a mantenere l’unità di indirizzo cui avrebbero potuto attentare forze disgregratrici.

È, infatti, da condividere l’impostazione secondo la quale l’impegno che l’organizzazione pluralistica esige, riguarda la ricerca di idonei collegamenti coi quali vengano assicurati, in uno, stretta collaborazione tra i centri di potere e opportuno coordinamento tra le attività da essi espletate.

In tal senso, dubbi di legittimità sono stati sollevati in ordine all’istituto dell’annullamento governativo degli atti emessi da qualunque autorità ex art. 6 T.U. 3 Marzo 1934 n. 383 (norma abrogata dall’art. 274, D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 26) e il potere di sostituzione da parte di organi statali nei riguardi di altri organi pertinenti ad enti minori116: «la loro indebita sopravvivenza costituisce motivo di serio ostacolo all’attuazione dell’autonomia».

La dottrina, proprio in questi anni, si pone il problema definitorio del concetto di collaborazione. Alcuni affrontano il tema nello studio dell’atto complesso, individuando un parallelismo fra «complessità» e «collaborazione di più volontà»117, altri risolve il rapporto fra organo ausiliato e organo ausiliario in termini di collaborazione (la cd. «collaborazione pertinenziale»)118. Ma non ci sembra che alcuno degli approcci prospettati giovi alla corretta determinazione dogmatica del principio.

115 L. ARCIDIACONO, op. cit., 5.

116 La gerarchia infatti implica fungibilità delle competenze, sicché al superiore gererchico

spetti l’esercizio delle attribuzioni proprie e di quelle di tutti i subordinati. Sull’argomento: L. ARCIDIACONO, Gerarchia, in Enciclopedia Giuridica, XV, Roma, Ist. Enc. It., 1989, ad

vocem.

117 G. MIELE, La manifestazione della volontà del privato nel diritto amministrativo, Roma,

1933.

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A tal fine, pare opportuno prendere le mosse dalla definizione del rapporto tra interesse pubblico e attività amministrativa, previa delimitazione della nozione di interesse pubblico119 e demarcazione della posizione dell’organizzazione statale nel sistema pluralistico120. Si ritiene che allo Stato spetti la conservazione e l’adeguamento dell’ordinamento costituzionale, l’ordine pubblico, la difesa nazionale, i rapporti internazionali, l’amministrazione della giustizia e tutte le funzioni in materie per le quali la Costituzione ha ritenuto di dover sancire una riserva di legge ordinaria, compresi i criteri di collegamento con gli enti autonomi121.

In riferimento, specificamente, al potere amministrativo è stato affermato che ad esso debba guardarsi con le lenti del modulo contrattuale, un potere il cui esercizio è ispirato alla collaborazione non soltanto, né primariamente, quale mezzo per evitare un eventuale giudizio innanzi alla Corte, sibbene come «strumento normale (perché congeniale alla struttura policentrica) di razionalizzazione dei rapporti fra i pubblici poteri, in alternativa ai mezzi che dominavano la struttura organizzativa nello Stato liberale ed accentrato»122.

La collaborazione può, dunque, essere definita come quella situazione nella quale versano i centri di potere allorché la realizzazione dell’interesse di cui sono gestori è condizionata dalla sussistenza un altro interesse attribuito alla cura di un altro ente. Ciò importa che i vari attori istituzionali coinvolti dialoghino al fine di

119 Inteso in senso etimologico quale interesse del popolo, dello Stato-comunità.

120 L. ARCIDIACONO, op. ult. cit., 130: «Attraverso le libertà garantite dalla Costituzione, le

innumerevoli istanze si coagulano in altrettante entità, capaci di darsi una organizzazione adeguata e di esprimere un proprio indirizzo. Esse si pongono accanto allo Stato trovando lo spazio necessario di manovra per la propria azione».

121 L. ARCIDIACONO, op. ult. cit., 135 ss. 122 L. ARCIDIACONO, op. ult. cit., 148.

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esercitare in maniera ottimale i relativi poteri, adeguatamente ponderando i vari interessi in gioco.

Da ciò deriva che non debbano inquadrarsi nell’ambito della collaborazione: gli atti derivanti da rapporti di controllo, quelli consultivi e quelli strumentali, la delega, l’avvalimento123 e, comunque, tutti quegli atti che non siano frutto della composizione di interessi di cui si fanno interpreti i soggetti del rapporto (si propende, cioè, per una dinamica della collaborazione simile, per certi versi, a quella delle trattative contrattuali inter privatos).

II.4.3 – La sentenza della Corte costituzionale n. 175 del 1976 e il

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