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La discesa nell'oltre del sogno e della memoria non è un capriccio, ma una sorta di missione. È una prosecuzione con altre modalità del viaggio che caratterizza la seconda parte di DSP, un viaggio per intraprendere il quale è necessario vincere una condizione di inerzia e superare i paradigmi comportamentali inautentici. Il tema fu affrontato in DSP con riferimento al nonno:

(È la mediazione quella che rovina il dialogo, l’approccio autentico. Qualcuno che provvede a tutto e ha le scorte, le riserve, gli imballaggi pronti...)

(DSP.6.2.v.6-9)

Le identità precostituite e derivate, sembra dire il poeta, sono un problema, impediscono un approccio autentico alle cose e alle persone. La questione ritorna prepotente in ACQ:

Dimenticheremo, dimenticheremo dal palco superbo delle recite.

(ACQ.1.B.v.1-2) A parziale conferma, sappi

che d’estate persino, Igor, mi dicono, zampetta nella sabbia su una buca, s’intrufola cercando il fresco, quiete.

(ACQ.6.2 La meccanica dei rapporti intorpidisce... ecco

il dilatarsi, l’interagire degli strati e poi... non c’è più storia, evolversi. I gesti si ripetono, si ghiacciano.

(ACQ.9.F.v.8-) Dipingerò come il cinese anch’io

la morte del fiore sulla terracotta con un tratto lieve sul bianco candido della tazza: ultimo meccanico approccio... [...]

(ACQ.10.A.v.1-5) Lo so,

l’abitudine non è un conforto. Così noi due, personaggi scipiti,

circolavamo un po’ nell’ombra, un po’ nella memoria. (ACQ.11.v.)

Inoltrarsi nell'oltre comporta innanzitutto un distacco dal palco delle recite; i gesti ripetuti sono a tal punto inautentici da non riuscire a comunicare nulla; l'io che si rinchiude in camera per inseguire le proprie idee non ha nulla di singolare, anche il cane (Igor) d'estate si chiude in una buca alla ricerca di frescura. Anche la produzione artistica conforme a modelli acquisiti, è un approccio meccanico; l'abitudine rende scipiti, ombre che vagano senza chiara meta.

In un paio di testi, anche l'amore con la propria amata rischia di innescare automatismi stranianti, soffocanti:

1. [...]

Girando la chiavetta, la rana balla tutto intorno... Cerchi di buio caldi,

ispessendosi; la mia schiena

dolcemente intiepidita e umida; nell’azione, l’ombreggiatura degli spigoli,

le punte acuminate dello sguardo proteso, verso il fondo dell’imbuto: le evoluzioni

sarebbero arrivate fino al grido. 2.

Non c’è abbastanza aria… apri... non c’è luce... gli astanti più vicini, maschere... Mi soffoca, mi opprime. Al centro il ruolo dei modelli,

si esprime il padrone delle luci, il grande airone impennato; [...]

[...]O nondimeno

il gioco pallido del volto, il roteare

assurdo dei suoi occhi, le labbra fini, gli scatti secchi, ritmici del collo, i lapsus,

i proverbi, quel nomignolo... Comparse alla ribalta, dunque, come si legge. Passeggeri inattesi, pronti al pubblico, essi stessi spettatori; [...]

(ACQ.13.1/2)

L'amore è un automatismo, una danza rituale che ha un innesco meccanico e un decorso prevedibile (si sa già dove le evoluzioni sarebbero arrivate). La prospettiva è soffocante, ripetitiva al punto da seguire dei modelli fin nei minimi dettagli e movimenti, come si fosse delle comparse, dei personaggi preparati per un pubblico.

Strettamente legato al tema dell’autenticità dei comportamenti è quello della fisionomia e del corpo, con particolare riferimento alla somiglianza e quindi alla derivazione del paradigma genetico:

Il gergo familiare, vanamente imitati i piedi di mio padre a spatola, le bianche,

poco virili, ossute mani di un impiegato o un medico; i due gradi sociali di automobile:

la topolino, la millecento...

(ACQ.6.1) Dimenandosi, abbozzando

infantili mossettine, provate poco prima, allo specchio. [...] [...] «l’effimero,

il caduco, lo stile dei cantanti, gli applausi, l’assemblea...» Come gli attori,

i mimi del varietà. Niente in quei connotati,

sbolliti dal buio, fittizio interlocutore, di meno anonimo, banale, che un paio di vistose orecchie appuntite, un grosso naso rosso, spugnoso.

(ACQ.6.2.v.14 sgg)

Ricreare una propria fisionomia, fisica e quindi, metaforicamente, interiore, è l'obiettivo della discesa. Numerosi sono i passi che alludono al concetto, al disfarsi e al rifarsi del corpo: nell'oltre della profondità si danno nuove opportunità compositive che si staccano dai paradigmi e dai modelli imposti dagli altri:

l’identità delle visioni, possibili metafore gratuite...

i succhi interni, pappa vischiosa che ristagna, da assimilare, distribuire, espellere.

ACQ.4.5 Fare del moto, questo il consiglio...

parlo per voce di un estraneo, un amico...

facce che tendono a scomporsi, fondersi; gli intrusi si moltiplicano... i ruffiani, ambigue

fisionomie multiple...

belluino, scimmiesco, folto di sopracciglia d’improvviso sulla fronte, l’innocuo, piccolo C., cresciuto a dismisura, lo sguardo, il sorriso, già ebete, pauroso…

(ACQ.4. [...] Eppure i pigri

rinunceranno fatui alla bagarre, al lento assorbimento, al calcolo obbligato delle forze... [...]

ACQ.9 Ricorrente a spaventosi intervalli...

materialità dell’ombra questo dissolversi dei contorni, graduale inarrestabile espandersi, sfaldarsi del corpo... immobile

illuminato quadrante: il gomitolo, la crocchia sull’osso cavo; avanzava in bilico slittando l’uomo della cesta. Libero, viscido agitarsi, germogliare...

ACQ.9.E [...] «Dimestichezza

vorrà pur dire sfuggirne il controllo» eppure «che resistenza potrà mai opporre

la pelle e non piuttosto decomporsi, macerarsi, già sbiancata come nell’olio...»

(……….)

La parte fisica, immersa nelle profondità, assimila, espelle, scompone, fonde, assorbe, sfalda, dissolve, germoglia, macera, decompone in nuove visioni, fisionomie, silhouette. Non è esclusa, oltre al diluirsi nell'informe, l'acquisizione di una nuova nascente forma, al modo dell’embrione che si va formando nel grembo:

Unghiuti piedini, amorevole broncio. All’ora che i conti non si chiudono, quale filtro mai s’insinua, tenero crapino, intollerante bisbetico cuoricino... Solo più bava e grinze.

(ACQ.8)

L'avventura, affascinante e coinvolgente, sembra alla prova dei fatti di difficile concretizzazione:

4.

Si viaggiava attorno... ma non con moto

uniforme; a balzi, piuttosto, a scosse

vertiginose... ogni giro, ormai, sembrava avvicinarci lentamente al fondo; però in modo sensibilissimo. Ero già al calcolo delle forme,

delle geometriche parvenze che sprofondano; gorgogliavo senza sosta, senza

respiro dentro; tra i rottami, laggiù, qualcosa dev’esserci stato, non capivo...

qualcosa... non c’è dubbio... Ma come proteggersi, nell’annaspare ridicolo, aggrapparsi

5.

Poi, le rotazioni divennero

a grado a grado meno veloci. La schiuma e l’arcobaleno poco alla volta dileguarono e il fondo di quel baratro apparve lentamente evolversi. Riportando l’attore

a occhi aperti, gli avanzi della scena.

(ACQ.13.4/5)

È la catabasi che ha consentito di acquisire nuove sensazioni e conoscenze, ma il fondo è sempre in un oltre insondabile, e così non è possibile raggiungerlo e trattenere gli approdi conoscitivi del viaggio. Il corpo, suggerisce il poeta, è pur sempre una protezione rassicurante, che non si riesce ad obliterare del tutto. Inevitabile, al testo 5, la conseguente anabasi e la deludente constatazione che ritornare al livello della realtà significa ritornare sulla scena come un inautentico attore.