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DSP.13 (Gioco d'azzardo), che sopra abbiamo riportato come esempio, è uno tra i componimenti più poveri sotto il profilo che stiamo analizzando: vi compare un verbo finito ogni 47,33 parole, e sempre in posizione defilata. La mancanza di una strutturante presenza verbale, e quindi di una identificabile azione, porta con sé anche

l'occultamento del soggetto dell'azione stessa (l'unico elemento morfologicamente riconducibile al protagonista storico della vicenda è l'aggettivo spennato del v.4). Abbiamo quindi una struttura comunicativa che rinuncia a indicare chi agisce e cosa fa; il contenuto del componimento risulta essere pertanto mero scenario, uno sfondo dal quale viene esautorato il suo protagonista naturale per lasciar posto, con ogni probabilità, all'io poetico. In questi termini, DSP.13 potrebbe essere l'ennesimo sogno fatto ad occhi aperti relativo ad una disgrazia e riattivato dall'io poetico grazie a dinamiche di tipo analogico; ad essere introdotto sulla scena sarebbe quindi l'io stesso, che osserva tutto con le consuete modalità enumerative. Le proposizioni del primo testo sono costruite su due sostantivi (rentrée, pretese), nel secondo testo su un sostantivo e un aggettivo (argomenti, pronti); il terzo testo è costruito su alcune enumerazioni: la prima relativa al luogo dell'avvenimento, le successive sullo sviluppo attributivo di morte e di finale.

Occultamento dell'azione e della sua titolarità, sembrerebbe si possa concludere. Vediamo un altro esempio:

1.

Le mani in mano.

Concentrazione... alla finestra... una sedia. Fuori lo spiazzo... i tetti... per l’orto... d’estate la siesta.

Dei mobili solo l’impronta sudicia sui muri. Ma chi gira in vestaglia, al buio,

in anticamera? Lei? (quale, poi...)

Fino alla consumazione dell’atto portato il gioco, l’incesto. Rannicchiati al buio in camera

matrimoniale; uno spiraglio, sempre, per la paura di riaprire gli occhi cieco.

2.

Orecchio-occhio, lanterna magica, sequenza, ancora

per diapositive a ruota libera, forse sulla sedia a dondolo. Qualche ora. La cerimonia religiosa (il ritardato arrivo della testimone, i pochi amici, le firme, le foto sul sagrato).

Impressioni sovrapposte. In cucina,

rumore di piatti. Tu? Lei? (L’una? L’altra?) Una fase intermedia?

(spiegazione della megera che inseguiva, inseguiva, questa notte.)

Ma chi avrà assistito al trasporto, alla spoliazione? La recisione drastica (del resto,

altrimenti, come?) del cordoncino, cruenta

(fino alla consumazione dell’atto... ………..) (DSP.4.1/2)

Questo componimento, tra i primi in DSP, descrive un evidente quadro familiare a seguito dell'accaduto, lo stringersi tra le mura domestiche dell'io narrante e delle figure femminili del titolo. I verbi, come indicato nel testo, sono veramente pochi, e quando ci sono non focalizzano il centro del racconto: al v. 6 (gira) del primo testo e al v. 12 del secondo (avrà assistito) compaiono due verbi di cui non si conosce l'attore (Ma chi... in entrambi i casi); poco prima, le altre due ricorrenze verbali sono assolutamente irrilevanti, si tratta addirittura del raddoppiamento lessicale del verbo di una secondaria relativa che si trova in una incidentale parentetica: anche qui, come in DSP.13, la presenza dei verbi è del tutto irrilevante per una ricostruzione narrativa del componimento, che è in effetti tutto scenario, descrizione di elementi composti su uno sfondo. Alcune spie lessicali presenti in particolare nel secondo testo (lanterna magica, sequenze, diapositive, foto, impressioni) potrebbero suggerire una ipotesi ermeneutica coerente: non vi sarebbero azioni perché l'io si troverebbe di fronte ad una istantanea, una foto, un ricordo o un sogno (si osservi al v. 4 del primo testo: d'estate la siesta), o a una successione di queste cose, come suggerirebbe l'alternanza tra porzioni di testo in carattere corsivo con altre senza marcatura grafica. L'io poetico solleciterebbe queste immagini con continue domande (contiamo nell'esempio nove punti interrogativi) volte ad identificare un titolare dell'azione, ma l'esito è quello di un desiderio che si realizza nel sogno:

3.

Di sera... la tv... sul divano, raggomitolata: «El mè ninin... El va!».

– Non ho mai pianto tanto. Recidi! – Hai ragione, aspetta:

A cena, interno di cucina. Il campanello. «Apro.» … ma la sorpresa... (stringendone la mano grossa sulla porta)… «vieni» alla madre «... vieni… dall’aldilà... in carne e ossa... lui...

È TORNATO.» 4.

Sulla tavola il pane, i pesci. I piatti di alluminio.

(DSP.4.3/4)

e che viene prontamente rovesciato al risveglio (testo 4), con l'esito scontato di tutto quel tramestio che si avvertiva in anticamera, in cucina, tra il rumore di piatti, ovvero una tavola imbandita, ma con il rilancio analogico delle pietanze che hanno caratterizzato un riconoscibilissimo episodio dell'unica persona che fu in grado di ritornare dalla morte.

L'ipotesi che in DSP l'occultamento dell'azione e dell'attore offrano all'io poetico una scena o immagine vuota da interrogare trova riscontro anche nei seguenti testi:

2.

Mossa ulteriore:

– La filovia... vuota… disabitata… ridicola l’asta, la sbarra (beffa? di chi?) orizzontale a mezz’altezza... i più, ottusi, nell’esercizio assurdo, avvinghiati, accapigliati a scavalcarla, battendo i denti, precipiti

al biglietto (il pupazzo-tramviere e i posti a sedere

sotto due dita di polvere). 3.

Perdurante l’assenza; spasmodica l’attesa; estrema

soluzione addotta dalle proprie mani: – Spillo macchinalmente alzato dalla destra; situazione, tentazione frenetica; stretto tra le due dita all’altezza del naso. Fermo. Colta la mira: giusto giusto a perpendicolo nella pupilla dell’occhio destro. Sangue. Inevitabile lo svenimento.

(DSP.10.2/3)

Nella cornice dell'emblematico titolo In attesa del dramma, DSP.10, l'io vive una serie di sogni ad occhi aperti in un contesto di attesa e assenza e aventi ad oggetto violenze e atti di autolesionismo: nei due testi proposti non c'è agente non c'è azione, solamente contesto, sfondo, scenario di un qualcosa che c'è senza capire quale volontà

di determinarlo vi sia sotto. E di sogno vero e proprio si tratta in questo testo di DSP.12 (Levataccia):

Le cinque meno un quarto. Suona l’ora. La mano spenzoloni sul comodino, (Ma già prima

ogni mezzora cercare l’orologio vedere diffidente per premere osservare

sapere constatare.) Buio e freddo nella casa vuoto languore allo stomaco. Poche

mosse abituali (ad es.: specchio, sapone, water, caffelatte, vestiti, valigie, serratura). E

fuori alla fermata fredda del 91. Tornando ancora alla base: ma la fuga poté dirsi arrestata. Nonostante gli spari gli inseguimenti l’ansia il complice l’irreparabile le accuse inamovibili.

(Proseguire in un’ipotesi omicida aguzzare per tempo l’occhio avanti.)

(DSP.12.3)

Un testo composto di due ampie sezioni con un solo verbo in ciascuna in posizione sintatticamente defilata; la descrizione di un susseguirsi di sogni nel dormiveglia di una movimentata notte ferragostana, la descrizione di luoghi onirici senza alcuno che vi agisca, una finale fantasia di morte che non si sa ricomporre se non in un elenco privo di nessi.

La chiave di lettura della descrizione di una istantanea di diversa e varia natura (non più una foto, ma un quadro) trova conferma anche fuori di DSP, in un testo appartenente a FNT, una raccolta in generale a indice di rarità verbale relativamente basso, ma che qualifica questo specifico testo tra quelli ad indice più alto (26,50). In questo caso, gli elementi per inquadrare alla perfezione il testo e il suo significato sono resi espliciti, prima ancora che dall'ermeneutica generale della raccolta, da una glossa aggiunta al sottotitolo:

L’ospite bilanciato da Chagall a Velàzquez

Prima persona o terza ben confuse e le due teste sovrapposte ai vetri verdi: le due figure sono forse una.

il capo nell’erba, il cappello caduto nel verde spalmato, bagnato,

il pino, il cielo lilla e il tetto dell’infanzia, le braccia al cuore a croce,

lo steccato:

ma forse è un pretesto di narciso. Di casa eppure estraneo, provvisorio e centrale aspirato in un risucchio di luce

dietro la piccola folla delle damigelle, i sovrani, il cane, i nani,

l’artefice, l’ospite bilanciato. Eccomi, sono lui,

i piedi sui gradini della porta a un passo dalla luce bianca del mondo che c’è fuori.

(FNT.2.C)

Possiamo considerare questo testo, letteralmente, un dittico. Vi si descrivono due quadri: Il poeta sdraiato di Marc Chagall (1915), e Las Meninas di Diego Velasquez (1656). La ricognizione visiva delle immagini non necessita di verbi, che infatti compaiono solamente con quattro ricorrenze. Significativo il fatto che si tratti sempre di forme del verbo essere, in un contesto in cui Cucchi intende operare una fusione tra se stesso e uno dei personaggi rappresentati. In questo modo è chiaramente programmatica la confusione tra prima e terza persona, cioè tra io e personaggio del quadro steso nell'erba in uno scenario ad un tempo infantile e sognante (le due figure sono forse una); e ugualmente programmatica è la fusione tra l'io e quel personaggio in tutto e per tutto secondario, sfuggente, decisamente uscente del quadro di Velasquez che si trova in fondo un po' alla destra (Eccomi, sono lui). Due ricorrenze verbali compaiono alla fine di ciascun dittico, in una posizione che assume valore di epilogo, ma quel che più conta è osservare che si tratta di un dittico che descrive l'accidia e il suo superamento verso la luce bianca del mondo/ che c'è fuori. Gli elementi dell'istantanea dalla congerie descrittiva alla rarefazione verbale ci sono tutti, ma in questo caso si opera una evoluzione stilistica differente rispetto ai precedenti esempi analizzati: quello che in precedenza era scenario svuotato da soggettività, ora si popola di personaggi, anzi, ora si popola dell'io.