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Abbiamo visto che i componimenti a basso sono caratterizzati da una andatura narrativa lineare, eventualmente con singole riflessioni autoconcluse o con episodi in serie; e abbiamo anche visto, nel caso di GLN.1, che eventuali increspature nell’omogeneità versale dei testi possono indicare punti nodali, battute di arresto o inserti tipologicamente marcati rispetto ad una omogeneità formale e contenutistica dei testi collegati. Proviamo ad analizzare ora componimenti ad alto per vedere se queste intuizioni possano trovare conferma, concentrando in particolar modo la nostra attenzione su quei titoli che presentano, accanto appunto a elevati, testi molto brevi.

Partiamo dal primo componimento, la cui matrice abbiamo già incontrato in precedenza:

DSP.1 [29-36-24-15-8-4]; =11,37

Questo componimento d'esordio riguarda la notizia della morte del padre; i primi testi si distribuiscono narrativamente tra il ricordo, la descrizione dei fatti e del contesto familiare ed umano conseguente al fatto, tra la ricerca di un senso e l'analisi di luoghi e oggetti che ora come allora non forniscono indicazioni utili per la comprensione, fino alla consapevolezza che non ci sarà, lo sai bene/ conclusione migliore alla vicenda(DSP.1.4). I primi quattro testi presentano una certa continuità narrativa che viene interrotta negli ultimi due:

5.

IL CORPO (il primo, s’intende). ……….. Ma poi era venuto su dalle scale nel buio.

Avrà fatto di certo i cinque piani a piedi. ………. Nascosto nel portaombrelli. Identificato. Finalmente. Recuperato nel sonno. 6.

Un fischio ha fatto tutto il corridoio (lungo,

credo, una quindicina di metri) crescendo fino in fondo, sulla porta. Lì, poi, c’è stato qualcos’altro.

Un rumore forte

(un vetro rotto?

un vaso caduto?) (DSP.1.5/6)

DSP.1.5 chiude il racconto, fino a questo punto di una certa linearità, per tentare un riepilogo istruttorio che presenta molte falle conoscitive; l'ultimo testo è chiaramente un epilogo, una aggiunta che rilancia il discorso: l'io, abbiamo visto, ha terminato il suo racconto e tratto le sue scarne e incomplete conclusioni; quando tutto è finito e la porta dell'appartamento è chiusa, un forte segnale sonoro, simbolo o presagio dell'incidente, riapre la possibilità di ulteriori discorsi. L'alto valore di viene determinato da questa chiusura in calare quantitativo del finale, ma ciò che importa rilevare è che questi testi finali brevi non continuano la storia in maniera lineare, ma con modalità tipologiche diverse, appunto nella forma di un riepilogo e di un epilogo. Una andatura simile si può riscontrare in numerosi altri testi ad alto , e, nel caso di un finale particolarmente breve, anche in alcuni componimenti a inferiore alla media.

Prendiamo un altro esempio: DSP.10 [13-9-10-4]; =3,24. Il titolo si conclude con il seguente testo finale:

Si vedano poi le proiezioni ortogonali. L’effetto del dramma sul protagonista

in seguito: come assorbito, incassato (o devitalizzato).

(DSP.10.4)

DSP.10 si compone di quattro testi: nei primi tre vi si descrivono fantasie di morte, violenza subita e autolesionismo come effetto perverso dell'attesa di un evento che tarda ad arrivare; il quarto testo, quello in esempio, si colloca in un momento successivo rispetto all'evento o alla fantasia realizzata (si vedano poi..., in seguito...), concretizzando in forma di epilogo l'effetto del dramma sul protagonista come una sorta di accettazione della morte o della violenza.

Si veda ancora ACQ.14.7 [13-15-11-12-17-9-4]; =3,92: il componimento tratta del rapporto tra l'io poetico e la madre, in una serie di testi che tentano un recupero nella memoria di fatti ed affetti personali che spesso ne mettono in luce ad un tempo il conflitto e la necessità di una convivenza; la serie di testi viene terminata con il seguente:

Poi è venuto l’inverno e siamo usciti di casa... Così, le cose del passato,

a ripensarci adesso ci viene da sorridere.

(ACQ.14.7)

Vi è riconoscibile ancora un epilogo, una specie di cadenza di conclusione che non riguarda semplicemente la fine di un racconto, ma una riflessione su di esso e al di fuori di esso, operata in un tempo lontano: il presente testo descrive chiaramente un dopo che oltre ad essere cronologico è indiscutibilmente anche affettivo.

Vediamo ancora SCL.5 [14-7-16-9-21-2]; =6,24. Questo titolo si compone di sei testi che riflettono sui confini fisici dell'io, sulla materialità biologica del proprio supporto corporeo dal quale generano sentimenti e visioni. La narrazione si dipana tra riflessioni personali, ricordi e incontri con amici all'ospedale, per concludersi con uno straniante cambio diegetico. In SCL.5.E, l'io poetico osserva in prima persona le meraviglie del corpo umano su un atlante medico; la descrizione della geografia corporea prosegue per 17 versi, ma alla fine l'io vuole resistere alla tentazione di considerare l'esistenza come limitata al solo aspetto biologico:

«Tutta roba per i sacchi dell'umido» ho fatto, «però il reale non è così cieco e fangoso.» E mentre con le mani mi forbivo la bocca, gli occhi dell'amico erano due fessure.

(SCL.5.E.v.18-21)

Il forte stacco cronologico-narrativo tra questo testo ed il seguente finale viene certificato da alcune spie temporali e diegetiche:

La sua figura già massiccia saliva, volava in alto su una fune o un gancio.

(SCL.5.F)

Non è chiaro se la figura appartenga all'io poetico o al suo amico, ma è evidente che il distico costituisce una visione o una profezia (il corpo portato via in una macelleria industriale) collocata in un tempo altro rispetto a quello della narrazione

precedente, e, nel caso in cui il sua si riferisca all'io, anche da un punto di vista diegetico differente.

VIT.6 [9-8-13-7-14-5]; =3,20 si compone di sei testi. I primi cinque, tutti rigorosamente al presente, riprendono il tema della materialità del corpo e dell'esistente: ogni cosa, infinitamente piccola o immensamente grande, può essere definita e sostenuta con evidenze geometrico-matematiche; la parola, il pensiero, la voce e qualsiasi traccia a vario titolo significante non riescono ad essere più forti di un oggetto o un atto pur anonimi e silenziosi; il nostro dissolverci in materia è la parte migliore di noi. Così, non siamo noi a vivere, ma la realtà contestuale nella quale ci troviamo ci vive e ci succhia della nostra essenza vitale per disgregarci in corpuscoli. La geometria sostiene il nostro corpo fisico per renderlo funzionale all'ambiente in cui viviamo; allo stesso modo opera la società: ci sostiene dandoci una forma con lo scopo di fruire di noi. La cadenza di conclusione appare evidente dal cambio verbale dell'ultimo testo, in cui non appare più il presente della riflessione atemporale, ma l'imperfetto dell'esperienza personale vissuta:

Il busto puzzava di ammoniaca, grigioverde e pieno di gancini, divisa e tonaca sul mio costato, sopra il mio piccolo cuore nel distacco malato.

(VIT.6.F)

Il busto costituisce nell'esperienza vissuta dall’io poetico la geometria che configura e sostiene il proprio corpo, che ne detta la disciplina (divisa e tonaca), che garantisce una forma idonea per poter entrare nella dolce società crudele... che ci sorride e mastica (VIT.6.D).

SCL.1 [19-4-3-8-9-9-23-3]; =6,98 affronta un tema diffuso nell’opera, ovvero quello di una accidia che deve essere affrontata e superata per andare incontro all’altro, sia esso persona o realtà. Menzionando per antitesi la figura del Malone beckettiano che qui, contrariamente al personaggio dell’eponima opera non muore14, l’io poetico descrive desideri, riflessioni ed esperienze di apertura al mondo. All'altezza del testo G

si opera un cambio narrativo: non più verbi al presente, ma nel passato di un ricordo personale:

G. […]

In un ritaglio di foto, Icio ha un sorriso accennato, sapiente, e porta un gilerino a strisce, fatto in casa. Ma poi,

nelle sue bretelle di lana, alla vista del sole 10 sul laghetto tra i giardini e lo zoo,

sembrava volare come un uccellino estasiato tra la gente, felice della primavera e dei fiori, agitando le braccia. Eppure

era selvatico e solitario, propenso 15 a rannicchiarsi già allora nel torpore;

preciso e millimetrico nel gioco, ma atterrito dalla compagnia. «Questo bambino è un inetto

e non ha fantasia», 20 sentenziò un giorno qualcuno

amato sopra ogni cosa, e lui pensò che era vero. H.

Eppure ho varcato confini, mi sono inoltrato con gioia e paura verso terre ignote, città meravigliose.

(SCL.1.G/H)

Il bambino Icio (Maurizio) si sentiva a proprio agio nel mondo e nella natura, nonostante un carattere solitario. La correctiodel primo eppure giustifica l'attribuzione, da parte della persona amata (il padre presumibilmente), di un paradigma caratteriale insuperabile. Fino a questo punto quindi abbiamo un certo decorso narrativo che ha come risultato l'ingabbiamento dell'io poetico in un paradigma non desiderato, ma vi è un epilogo che giunge a disattendere tale risultato con un ulteriore eppure nel testo finale H: nonostante il giudizio, l’io ha varcato confini, ha cercato, certo con modalità tutte personali, di uscire dall'accidia relazionale andando incontro ad un mondo che meritava di essere conosciuto.

La coda breve con funzioni di riepilogo o di epilogo compare in forma doppia in DSP.6 [16-21-14-18-1-2]; =7,72:

5.

6.

Costa sangue costa sudore soldi. Non si sa mai, teniamolo.

(DSP.1.5/6)

Il componimento riflette sui concetti di autenticità e di modello comportamentale ricevuto da altre persone; in particolare, vi sono protagonisti i nonni, presumibilmente paterni, la cui figura viene tratteggiata attraverso lunghe enumerazioni di oggetti e che trova magistrale sintesi negli ultimi due versi del testo 4: tutto, tutto,/ tutto potrà servire chi lo sa. Il testo 5 è riepilogativo e ad un tempo confermativo del paradigma nel quale l'io poetico si riconosce (io sono proprio); il testo 6 rilancia il contenuto del componimento, confermando l'acquisizione della regola comportamentale con la certezza di un esempio.