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Autonomia delle parti ed effetto reale

3. Natura giuridica

3.3. Autonomia delle parti ed effetto reale

Preso atto dell’accezione che l’orientamento dominante in dottrina dà alla nozione di vendita obbligatoria e del corrispondente contenuto dell’obbligo che nasce in capo al debitore, è d’uopo chiedersi se sia comunque possibile per le parti disporre dell’effetto reale: se cioè l’autonomia negoziale possa regolare o meno l’effetto traslativo.

L’unico strumento legislativamente previsto a tal fine è lo schema contratto preliminare-contratto definitivo o il patto di opzione.

Ma c’è spazio per negozi atipici? Molto spesso infatti ci sono casi in cui l’immediata trasferibilità non realizza l’interesse delle parti. Attenta dottrina rileva, infatti, che vi sono delle ipotesi in cui

a carico del venditore e l’obbligo del pagamento del prezzo a carico del compratore, cfr. Cass., 12 giugno 2015, n. 12274 in Fisco, 2015, 29, 2871 nota di BORGOGLIO.

102 Cfr. Cass., 16 maggio 2016, n. 9994, in Giur. It., 2016, 12, p. 2591 nota di RISPOLI (in cui viene confermato che il negozio è già completo in tutti i suoi elementi al momento della sua conclusione e tuttavia è parzialmente inefficace perché manca un requisito o una concausa della efficacia). In materia di mediazione ad esempio la giurisprudenza ha affermato che dato che il negozio su beni futuri è un contratto consensuale, che si perfeziona con il solo consenso per la deduzione delle provvigioni è al momento della conclusione che si deve fare riferimento, cfr. Cass., 12 giugno 2015, n. 12274, in Fisco, 2015, 29, p. 2871.

103 Cfr. BIANCA C.M., op. cit., p. 84 e CAPOZZI G., op. cit., p. 92: “anche la vendita obbligatoria, in latri termini, ha

natura di contratto consensuale e non di contratto reale, perché gli atti o i fatti ulteriori non appartengono alla fase formativa del contratto, ma alla sua fase esecutiva e sono privi di diretta efficacia causale sul risultato traslativo, risultato che deve riportarsi esclusivamente alla forza intrinseca del contratto di compravendita”.

Altra dottrina, invece, ritiene che la locuzione “effetto immediato” ex art. 1476, n.2 c.c. abbia un significato “uguale e

contrario” rispetto a quello ex art. 1376 c.c.. Infatti, occorre comunque un fatto o un atto successivo, prima del verificarsi

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l’immediato trasferimento del diritto risulta essere un effetto “inidoneo, per non dire controindicato” rispetto agli interessi perseguiti104.

È d’uopo premettere che l’atipicità può riguardare due aspetti fondamentali: il momento perfezionativo della fattispecie o – semplicemente - il momento della produzione degli effetti reali. a) La prima ipotesi riguarda il problema del riconoscimento all’autonomia negoziale del potere dare rilevanza - ai fini del perfezionamento della fattispecie - a ulteriori elementi. In questo modo l’effetto reale (nonché la conclusione del negozio) sarebbe posticipato ad un momento successivo, ad esempio la traditio. Se così fosse accanto alle ipotesi di contratti consensuali, le parti potrebbero stipulare fattispecie contrattuali a contenuto economico corrispondente in cui la consegna venga collocata non nella fase esecutiva del rapporto, ma in quella formativa del contratto (i cd corrispondenti contratti reali atipici)105.

La Cassazione ha assunto da tempo un atteggiamento di chiusura nei confronti di tale eventualità. I privati hanno il potere di determinare, entro i limiti posti dalla legge, il contenuto del contratto, ma non possono, invece, intervenire sulla disciplina dei suoi requisiti di validità e di efficacia. La predeterminazione delle condizioni cui è subordinata la rilevanza nell’ordinamento giuridico del regolamento degli interessi delle parti è sottratta al loro potere dispositivo. La regolamentazione degli aspetti strutturali è riservata al legislatore rispetto agli stessi contratti atipici. Non possono, dunque, essere create versioni consensuali atipiche che abbiano effetti identici a quelli ricollegati dalla legge al contratto tipico106.

La datio rei viene ritenuta necessaria dal legislatore perché in alcuni casi serve a supportare una causa debole, per rendere vincolante una promessa in relazione a un rapporto che altrimenti sarebbe di pura cortesia (come nel caso del comodato). Altre volte, invece, è l’unico strumento idoneo per dare pubblicità ad un determinato rapporto (come nel caso del pegno). Inoltre in un ordinamento fondato

104 Ad esempio nel campo delle vendite immobiliari vi è il problema dell’interferenza della disciplina urbanistica. Si parla, infatti, di rischio urbanistico (del rischio di una sopravvenuta modificazione dello strumento che altera completamente i termini dell’accordo). Il differimento previsto dall’art. 1472 talvolta non è da solo sufficiente per permettere il controllo delle variabili collegati all’operazione. Pertanto spesso le parti sono interessate a spostare aventi nel tempo il momento del passaggio della proprietà al momento in cui tali eventualità possano considerarsi superate, cfr. CAMARDI C., Principio

consensualistico, produzione e differimento dell’effetto reale. I diversi modelli, in Contr. e impr., 1998, I, p. 572 ss.

105 Per approfondimenti si rimanda al capitolo terzo.

106 Cfr. Cass., 28 maggio 1998, n. 5264, in Giust. civ., 1998, I, p. 2159 ss., con nota di MAIMERI F., Pegno rotativo: la

dottrina ispira la Cassazione. Prime osservazioni; Cass., 26 gennaio 1996, n. 611, in Riv. Dir. Comm., 1997, II, 457 nota

di TASSINARI: “Mentre è possibile, nelle ipotesi di previsione legale di un contratto reale, che le parti elaborino in

luogo di esso un corrispondente contratto consensuale atipico, è invece da escludere che, essendo dalla legge previsto, per un certo assetto negoziale, il meccanismo regolatore della consensualità, vera e propria "via maestra" nella produzione degli effetti giuridici, le parti possano ad esso derogare, creando un modello reale atipico”.

In dottrina, sul punto riflessioni di CARPINO B., La rescissione del contratto, Artt. 1447-1452, in Comm.

Schlesinger-Busnelli, Milano 2000, pp. 54-55. Secondo alcuni autori non ci sarebbero ostacoli all’ammissibilità dell’ipotesi inversa,

ossia della creazione di un contratto consensuale parallelo a quello reale, con la precisazione però che il primo non potrà essere un semplice duplicato del secondo che rappresenta la figura tipica, cfr. FAVA P., Il contratto, Milano, Giuffrè, 2012, p. 1067. Si pensi ad esempio al contratto consensuale di mutuo di scopo, la cui consensualità, affermata dalla nota Cass., 10 giugno 1981, n. 3752, in Foro. it., 1982, I, p. 1687, con nota di NIVARRA, è ormai pacifica.

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sul principio del consenso traslativo, la consegna imposta quale elemento essenziale per il perfezionamento del contratto costituirebbe una forma di limitazione dell’autonomia privata.

La dottrina è, invece, divisa. Secondo alcuni autori in un sistema come il nostro, in cui basta il mero consenso per creare il vincolo contrattuale, sarebbe una contraddizione ammettere la trasformazione di un contratto consensuale in uno reale. L’autonomia privata è libera di inserire elementi di realità in un contratto, mantenendo però inalterato lo schema ex art. 1321 c.c.107: ad esempio prevendendo il differimento degli effetti reali alla consegna o al pagamento del prezzo108. Esiste comunque un orientamento possibilista in tal senso, le cui argomentazioni sono riportate all’interno del capitolo terzo.

b) Passando alla seconda ipotesi di atipicità, appare astrattamente possibile - in linea generale - modulare la produzione degli effetti reali.

Non si rinviene nel codice nessun ostacolo al riconoscimento in capo alle parti della possibilità di dare vita forme di vendita obbligatorie in cui l’effetto traslativo (e non il perfezionamento) è subordinato al compimento di un atto giuridico non negoziale109.

La dottrina è comunque divisa in ordine alla possibilità di consentire all’autonomia privata di dare vita a contratti atipici aventi ad oggetto una obbligazione di dare traslativo110.

107 Cfr. FRANZONI M., op. cit., p. 326.

108 In giurisprudenza si veda Cass., 8 agosto 1990, n. 8051, in Mass. Giur. It., 1990: “per quanto la condizione costituisca

di regola un elemento accidentale del negozio giuridico, come tale distinto dagli elementi essenziali astrattamente previsti per ciascun contratto tipico dalle rispettive norme, tuttavia, in forza del principio generale della autonomia contrattuale previsto dall’art. 1322 c. c. - dal quale deriva il potere delle parti di determinare liberamente, entro i limiti imposti dalla legge, il contenuto del contratto anche in ordine alla rilevanza attribuita all’uno piuttosto che all’altro degli elementi costitutivi della fattispecie astrattamente disciplinata - i contraenti possono prevedere validamente come evento condizionante (in senso sospensivo o risolutivo dell’efficacia) il concreto adempimento (o inadempimento) di una delle obbligazioni principali del contratto”; Cass., 24 febbraio 1983, n. 1432, in Mass. Giur. It., 1983 precisa che “nessuna incompatibilità di principio può ritenersi sussistente fra condizione ed esecuzione di una prestazione essenziale, quale è il pagamento del prezzo rispetto al contratto di compravendita, talché è bene ammissibile la deducibilità di quest’ultima come evento condizionante e non è qualificabile come condizione meramente potestativa bensì come condizione potestativa semplice”.

109 Ad esempio la data della stipulazione del rogito (considerato una riproduzione meramente formale del contratto originario nella quale le dichiarazioni delle parti assumono valore storico - rappresentativo e non manifestazione di una nuova volontà di trasferire), cfr. Cass., 20 aprile1994, n. 3741, in Giust. civ. mass., 1994, p.533: l’affermazione che le parti concordarono di differire l’effetto traslativo alla data di stipula del rogito notarile non è in contrasto con la natura di vendita ad effetti obbligatori perché l’effetto traslativo è stato collegato alla data del rogito e non alla stipula dello stesso, con la conseguenza che una volta decorso il tempo stabilito, l’effetto in questione si è automaticamente realizzato (ma anche laddove l’effetto fosse stato differito alla stipula del rogito con detto atto le parti non avrebbero espresso la volontà di trasferire l’immobile, ma la volontà di riprodurre il negozio anteriormente stipulato espressione, esso si, della volontà di trasferire).

110 Sull’ostilità della dottrina si veda CHIANALE A., op. cit., p. 35. BIANCA rileva che la sequenza titulus – modus non trova riscontro nella nostra legislazione in materia di vendita. Anzi il legislatore si è premurato di eliminare le formule ambigue del vecchio codice (“contratto per cui uno si obbliga a dare una cosa”, ex art. 1447), in La vendita e la permuta,

cit., p. 84.

Favorevoli al riconoscimento invece: SACCO R., Principio consensualistico ed effetti del mandato, in Foro.it, 1966, I, p. 1394; CHIANALE A., op. cit., p. 48 ss. Vedi anche GAZZONI F., Babbo natale e l’obbligo di dare, in Riv. not, 1991, p. 1417 ss, il quale rileva come spesso la Cassazione abbia utilizzato schemi tradizionali (di solito il contratto preliminare) pur di non ammettere che in concreto si trattava di un pagamento traslativo (es. padre che assolve il suo dovere di mantenimento donando un pezzo di terreno a una figlia). Un tale atteggiamento è “frutto di numerosi dogmi e pregiudizi ottocenteschi

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Quest’ultima è un’obbligazione sostanzialmente diversa da quella di dare ex art. 1476, n.1, c.c. (di consegna del bene), che è meramente esecutiva di un effetto reale già realizzatosi. Differisce, altresì, da quella ex art. 1476 n.2 c.c. (far acquistare la proprietà della cosa o il diritto se l’acquisto non è effetto immediato del contratto111) perché il fine dell’attività ivi prevista non è quello di far acquistare la proprietà (con un ulteriore negozio), ma di porre la cosa in condizioni di essere acquistata dal compratore (ad esempio attraverso l’individuazione o la selezione) 112.

Non sono mancate tiepide aperture, anche in passato, in cui si è distinto tra la vendita necessariamente obbligatoria e la vendita volontariamente obbligatoria113.

Il negozio di dare traslativo attraverso il quale si trasferisce la proprietà in adempimento di un obbligo preesistente (solvendi causa) viene comunemente definito pagamento traslativo e non è estraneo al nostro ordinamento.

Gli ostacoli che sono stati frapposti in ordine alla sua ammissibilità sono sostanzialmente due: l’art. 1376 (il principio consensualistico) e l’art. 1325, n. 2 cc che vieta gli spostamenti traslativi astratti. L’art. 1376, tuttavia, non codifica un dogma assoluto114. Sono rinvenibili all’interno del codice, infatti, numerose eccezioni allo stesso: i negozi di costituzione dei diritti reali di garanzia, le ipotesi di vendita obbligatoria, la donazione di modico valore.

che la S.C. non riesce a superare”. La giurisprudenza, infatti, dovrebbe “avere il coraggio di affermare a chiare lettere che nel nostro ordinamento ben può trovare autonomo spazio l’obbligo di dare, al quale segue il pagamento traslativo”.

L’obbligo di dare può essere assunto a titolo gratuito (ed allora lo schema sarà quello ex art. 1333 c.c.). Se prevede una controprestazione, invece, si sarà davanti a un contratto che potrà essere qualificato anche come atipico e il trasferimento della proprietà avverrà con un pagamento traslativo.

111 Rileva attenta dottrina che – proprio per evitare di creare dubbi – si è usata la locuzione “far acquistare” e non “trasmettere”, cfr. RUBINO D., op. cit., p. 310.

112In quest’ultimo caso la parte sarebbe obbligata ad un facere negoziale che consiste nella manifestazione di un consenso con funzione traslativa. Un esempio, con le dovute precisazioni, è rappresentato dal contratto preliminare. Il contratto definitivo, infatti, secondo parte della dottrina, ha una causa sua interna e una esterna (solvendi). Tuttavia differisce dal

modus adquirendi puro perché il negozio definitivo è esso stesso “titolato”, contraddistinto cioè da una funzione sua

propria che è idonea a giustificare di per sé il trasferimento. Il fenomeno della scissione tra titulus e modus non è, comunque, estraneo al nostro ordinamento. L’obbligo di dare è previsto dallo stesso legislatore all’interno del codice in diverse ipotesi e può avere fonte legale (ex art. 746 c.c. in materia di collazione di beni immobili), oppure derivare da una sentenza (ex art. 2058 c.c.c, quando il danneggiante viene condannato a trasferire un bene dello stesso genere e qualità della cosa distrutta), da testamento (ex art. 651 c.c.), da contratto (ad esempio quello di mandato senza rappresentanza con obbligo di ritrasferimento, ex art. 1706, comma 2, c.c. o quello di società per quanto concerne i conferimenti ex art. 2253 e 2254 c.c.) o anche da regole morali o sociali laddove si ammetta che si possa adempiere l’obbligazione naturale attraverso un negozio traslativo.

113 Cfr. GAZZARA G., op. cit., p. 128. Nella vendita necessariamente obbligatoria rientrano tutte le ipotesi in cui l’effetto reale non si può produrre immediatamente per la natura stessa del rapporto (come in caso di vendita di beni futuri). Mentre nella seconda categoria si inquadrano tutte le ipotesi in cui la natura del rapporto, oggettivamente considerata, avrebbe reso possibile l’immediato trasferimento del bene se le parti non avessero modificato il contenuto precettivo del negozio. 114 Suddetta norma codifica un principio già affermato e desumibile dall’art. 1321 c.c. (il contratto nasce con l’accordo) e che non rappresenta né quello più antico né quello più sicuro per la regolamentazione del traffico giuridico, visto che non dirime i conflitti tra più soggetti derivanti dalla contemporanea esistenza di più titoli attributivi. Neanche la consegna della cosa nei contratti reali può considerarsi un principio di ordine pubblico, visto che attenta dottrina ha elaborato la distinzione tra contratti in cui la realità è una essentialia negotii (quelli gratuiti) e quelli in cui è una naturalia negotii (quelli onerosi), cfr: FRANZONI M., op. cit., p. 314 ss.; CAMARDI C., op. cit., p. 599 (nel rispetto del principio causalistico e senza oltraggio a quello del consenso traslativo, le parti possono programmare un trasferimento di proprietà nell’ambito di una sequenza procedimentale che separi consenso e trasferimento); SACCO R., Il contratto, Milano, UTET, 2016, p.

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Più complesso è invece il percorso dottrinale volto a superare il secondo scoglio: la necessaria causalità di tutti gli spostamenti di ricchezza.

L’ordinamento si preoccupa che ogni forma di manifestazione di autonomia negoziale abbia una causa: un soggetto non può depauperarsi senza che questo impoverimento corrisponda ad una logica di mercato, di scambio, salvo diversa disposizione legislativa115. Ed è per questi motivi che gli unici modi attraversi i quali un soggetto poteva disporre e spogliarsi dei propri beni erano la vendita – nelle forme espressamente previste dalla legge – e la donazione.

Il principale problema, quindi, rispetto al riconoscimento dell’obbligazione di dare in senso tecnico (e quindi alla scissione tra titulus e modus da parte dei privati al di fuori delle specifiche previsioni legislative) era data dall’impossibilità di rinvenire uno strumento giuridico diverso dalla vendita per realizzare l’effetto traslativo. Non era ammesso il negozio gratuito atipico.

Con il superamento della teoria della causa in astratto e la valorizzazione di quegli interessi che le parti hanno oggettivamente dedotto nel contratto, si è riusciti a dotare di giustificazione causale anche tali negozi. La nozione di gratuità, infatti, va distinta da quella di liberalità. Il negozio gratuito è sorretto da un interesse patrimoniale che può giustificare lo spostamento.

Pertanto non vi è più nessuna difficoltà - dal punto di vista causale - ad ammettere la previsione di un’obbligazione di dare traslativo, la quale può essere adempiuta attraverso un negozio gratuito atipico solvendi causa con giustificazione esterna116.

Tuttavia tale fenomeno viene dalla dottrina ritenuto estraneo alla vendita prevista nel nostro ordinamento, proprio perché la stessa è concepita come un negozio che è e rimane già di per sé traslativo117.

Anche a voler ammettere la possibilità di creare una versione atipica della vendita in linea con il modello romanistico, è bene comunque rilevare che la scissione in questi due negozi ha ulteriori importanti ripercussioni.

Innanzitutto ci si chiede come si atteggi in questi casi il requisito della expressio causae. L’atto di trasferimento ha una causa esterna e la dottrina è orientata nel senso di ritenere fondamentale la menzione della giustificazione causale in caso di beni immobili118.

929 (il consensualismo appare più come una tendenza, che come un dogma). L’art. 1376 è una norma dispositiva e interpretativa della volontà delle parti. Si pensi, altresì, al fatto che in alcune regioni italiane vige il sistema tavolare. 115 Laddove non c’è lo scambio si ha una causa donativa o il gioco d’azzardo ed entrambi i fenomeni sono espressamente previsti e disciplinati dal legislatore ed ammessi solo entro certi limiti.

116 Se invece ci si sofferma solo sulla causa in astratto, non essendoci alcun corrispettivo, manca qualsiasi forma di razionalità economica.

117Cfr. LUMINOSO A., La vendita, cit., p. 312.

118 Il fatto che la causa sia esterna esclude che in questi casi si abbia astrattezza del negozio. Il principio di causalità rileva in maniera differente a seconda che il negozio abbia effetti reali od obbligatori. Nel secondo caso la causa si presume esistente anche se non dichiarata, salvo prova contraria (ex art. 1988 c.c.). Se il negozio è, invece, traslativo è richiesto il massimo rigore (forma scritta e expressio causae), cfr. GAZZONI F., Manuale di diritto privato, cit, p. 831.

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Inoltre sorgono problemi nel caso in cui la causa esterna manchi (perché ad esempio il titulus è invalido). La tesi prevalente, in quest’ultimo caso, ritiene che il pagamento traslativo sia nullo per mancanza di causa. Altra dottrina, influenzata dagli ordinamenti in cui la scissione tra titulus e modus è la regola, ritiene invece che il pagamento non sia nullo ma semplicemente indebito119