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All’interno del codice sono rinvenibili diverse norme che prevedono figure negoziali aventi ad oggetto beni futuri.

Si può costituire una servitù ex art. 1029 c.c. sia per assicurare ad un fondo un vantaggio futuro160, che a favore di un edificio da costruire o di un suolo da acquistare (ma in questo caso la costituzione non ha effetto se non dal giorno in cui l’edificio è costruito o il fondo è acquistato)161.

L’ipoteca e la fideiussione possono avere ad oggetto beni futuri (artt. 1938162 e 2823163c.c.).

160 In questo tipo di servitù esistono tutti gli elementi necessari ai fini costitutivi, vale a dire sia il fondo servente che quello dominante. Solo il vantaggio non è attuale.

161 In questa fattispecie, prevista nel secondo comma dell’art. 1029 c.c., al momento della stipulazione del negozio costitutivo manca uno dei presupposti della servitù: l’edificio da costruire o il fondo da acquistare. Secondo la Cassazione la differenza fra le due fattispecie previste nei commi 1 e 2 dell’art. 1029 c.c., sta in questo: “nel primo caso (servitù per

un vantaggio futuro del fondo dominante) esistono tutti gli elementi necessari per la costituzione della servitù, e cioè sia il fondo servente che quello dominante e la sola particolarità della fattispecie va ravvisata nel fatto che l’utilità per il fondo dominante non è attuale, ma verrà ad essere in futuro; nella seconda ipotesi (servitù a favore o a carico di un edificio da costruire o di un fondo da acquistare) all’atto del negozio costitutivo manca uno dei presupposti della servitù, l’edificio da costruirsi in seguito, a cui favore opererà la servitù. Da tanto consegue che nella prima ipotesi la servitù viene ad esistenza immediatamente; nella seconda si ha la costituzione di un rapporto obbligatorio, suscettibile di trasformarsi in un rapporto di natura reale soltanto nel momento in cui l’edificio viene costruito. Per stabilire in quale fattispecie si versi, occorre fare riferimento al criterio dell’attualità o meno dell’"utilitas" in cui si concreta il contenuto della servitù; qualora si controverta sull’identificazione del fondo dominante in servitù convenzionale - se cioè esso sia costituito dal terreno ovvero dall’edificio costruendo - occorre interpretare la comune volontà delle parti, come risultante dal contratto a suo tempo concluso per individuare a vantaggio di quale immobile venne costituito il diritto reale, tenendo presente che l’ipotesi di cui al comma 2 dell’art. 1029 c.c. ha carattere eccezionale e presuppone la sicura individuazione del fondo dominante nell’edificio erigendo”, cfr. Cass., 7 aprile 2000, n. 4346, in Diritto e Giustizia, 2000, 16.

Secondo la dottrina, invece, la convenzione di cui si parla dà luogo ad un negozio ad efficacia sospesa (condicio iuris) da cui scaturiscono: a) i c.d. effetti preliminari: una situazione preparatoria della futura servitù (il concedente non può pregiudicare il futuro acquisto della servitù e deve astenersi da quei comportamenti che impediscano la nascita della stessa); b) l’efficacia reale del contratto analoga a quella del negozio costitutivo di servitù sotto condizione; c) la possibilità della trascrizione della convenzione; d) l’imprescrittibilità della servitù, così come per i diritti il cui acquisto sia sottoposto a condizione, cfr. BRANCA,Servitù prediali, in Comm. Scialoja, Branca, sub artt. 1027-1099,

Bologna-Roma, 1979, p. 314 e ss..

162 La norma in materia di fideiussione è stata modificata dall’art. 10, L. 17.2.1992, n. 154 . In questa prima parte è sufficiente precisare che per obbligazione futura si intende ogni obbligazione, attualmente non sorta, che verrà ad esistenza. Sono incluse non soltanto le obbligazioni dipendenti da un rapporto in formazione, ma anche quelle in cui il processo di formazione dell’obbligazione si avrà soltanto in futuro (un’obligatio sperata, ma anche una spes obligationis). L’obbligazione condizionale può essere oggetto di fideiussione sia se la condizione è sospensiva che risolutiva, cfr. FRAGALI M, Fideiussione, in Enc. Dir., XVII, Milano, 1968, p. 358.

163 Tale disposizione prevede che non possa essere iscritta validamente ipoteca su beni futuri, fino a quando il bene non sia venuto ad esistenza (al contrario del codice del 1865 che prevedeva un netto divieto in tal senso all’art. 1977). Tale norma si giustifica in ragione della vigenza del principio di specialità dell’ipoteca di cui all’art. 2809, comma 1, c.c.. L’accezione di bene futuro è la stessa riportata nel secondo paragrafo. Anche con riferimento a tale forma di garanzia reale si sono contrapposti due orientamenti in ordine alla natura giuridica e agli effetti medio tempore prodotti dal negozio stipulato: la tesi del negozio in corso di formazione e quella del negozio completo (e della validità dell’iscrizione prima della venuta ad esistenza dell’oggetto dell’ipoteca, con conseguente limitazione del disposto dell’articolo in esame ad ipotesi del tutto particolari, cfr. PERLINGIERI P., Interpretazione abrogante dell’art. 2823?, in Riv.Giur.Edilizia, 1968, II, p. 21). Come conseguenza della stipulazione del negozio sorge immediatamente l’obbligazione in capo al concedente di attivarsi affinché la condizione si realizzi (cfr. RAVAZZONI A, Le ipoteche, in Tratt. Rescigno, Milano, Giuffrè, 2006, p. 314) o quantomeno l’obbligo di non frustrare l’aspettativa del creditore, cfr. FRAGALI M., Ipoteca (dir. priv.), in Enc. Dir., XXII, Milano, 1972, p. 785. Esistono comunque dei casi, in cui, secondo la dottrina, è possibile l’iscrizione dell’ipoteca prima della venuta ad esistenza del bene. In particolare: l’art. 2811 c.c. - che ricomprende nella garanzia ipotecaria i miglioramenti, le accessioni della cosa ipotecata, i quali non sarebbe altro che un’estensione di ipoteca a cose future -

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Tuttavia dalla lettura di suddette norme si ricavano esclusivamente dati che riguardano la fase genetica dell’accordo: i citati negozi sono considerati completi di tutti gli elementi essenziali ex lege sin dal momento della loro stipulazione. Di conseguenza sono idonei a produrre tutti gli effetti non incompatibili con l’inesistenza della cosa164. Dagli articoli 771 c.c. e 458 c.c. emergono, invece, due ipotesi di impossibilità giuridica del bene futuro, non estendibili in via analogica.

Con riferimento al rapporto, invece, il legislatore, non ha dettato una disciplina generale. Pertanto si è aperto un lungo dibattito dottrinale volto a ricercare gli istituti compatibili e applicabili nel caso in cui le parti non abbiamo deciso di prevedere una disciplina provvisoria caratterizzata da obbligazioni di carattere conservativo e cautelare.

a) rimedi in caso in cui il bene non venga ad esistenza

Il paradigma normativo dal quale generalmente si è partiti per la ricostruzione del fenomeno, come più volte rilevato, è il contratto di vendita. L’unica norma che descrivere le conseguenze in caso di mancata venuta ad esistenza del bene è l’art. 1472, comma 2, c.c. il quale - con una formula ambigua - prevede la nullità del negozio.

La dottrina si è interrogata a lungo sulla portata della previsione di tale invalidità.

Secondo alcuni autori deve essere intesa come “espressione traslata di una diversa vicenda” ed in particolare va assimilata alla situazione del non avveramento della condizione165.

L’espressione “è nullo” è allora da interpretarsi come “diviene inutile”166. Solo da un punto di vista empirico – e non giuridico – potrebbe equipararsi la nullità all’inefficacia. Ma la sterilità di una fattispecie non causa la sua invalidità 167. La nozione di nullità ex art. 1472 c.c., infatti, peccherebbe sia per difetto - dato che non prevede l’ipotesi di mancata venuta ad esistenza per inadempimento imputabile - che per eccesso - perché pone nel nulla gli effetti che medio tempore si sono prodotti tra le parti in relazione ad un negozio con effetti solo parzialmente sospesi.

e gli artt. 566 e 1025 c. nav. - che prevedono la possibilità di iscrivere ipoteca su navi o aeromobili fin dal momento dell’annotazione in apposito registro dell’inizio della loro costruzione. In caso di edificio da costruire alcuni autori ritengono che l’iscrizione dell’ipoteca sia possibile non appena questo abbia un minimo di consistenza tale da consentire la descrizione con sufficiente precisione ai fini dell’iscrizione (che si estenderà poi automaticamente), cfr. RUBINO

D., L’ipoteca immobiliare e mobiliare, in Tratt. Cicu, Messineo, Milano, 1956, p.110

164 Sono incompatibili gli effetti reali o la consegna della cosa. Nulla esclude che possano comunque atteggiarsi in modo diverso (o se ne potranno verificare addirittura nuovi e sempre di natura obbligatorie) al fine di realizzare il peculiare assetto di interessi voluto dalle parti, cfr. SCOGNAMIGLIO R., Dei contratti in generale. Art. 1321 – 1352, cit., 1970, p. 373.

165 Deve darsi atto però che si fonda però su una diversa ragione. In questo caso viene a mancare definitivamente un elemento indispensabile per la produzione degli effetti tipici del contratto e di conseguenza viene meno la stessa ragione per la permanenza degli effetti già verificatisi, cfr. SCOGNAMIGLIO R., op cit., p. 375.

166 In tal senso anche BETTI E. Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 242 e GAZZARA G., op. cit., p. 178. Secondo quest’ultimo autore la non nullità si ricaverebbe dallo stesso secondo comma dell’art 1472 c.c. che prevede la validità del contratto se concepito come aleatorio anche se il bene non venga ad esistenza.

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Non può configurarsi, inoltre, la nullità perché non è ammissibile che un contratto inizialmente valido e poi dichiarato nullo per una invalidità c.d. sopravvenuta. Per questi motivi si parla allora più in generale di inefficacia168.

Escluso il vizio genetico, rimane dunque da chiedersi quali siano i rimedi esperibili dalle parti in caso di mancata venuta ad esistenza del bene.

Secondo un primo orientamento - se quest’ultima circostanza risulta irrealizzabile - il contratto si risolve per sopravvenuta impossibilità della prestazione. Il giudice dovrà, pertanto, verificare se sia derivante da causa imputabile all’altra parte (art 1218 c.c.) o meno.

Nella seconda ipotesi lo scioglimento del contratto opera di diritto. Per questo motivo parte della dottrina sottolinea che in questi casi non si abbia una vera e propria risoluzione. Tuttavia la si qualifica in tal modo perché la disciplina e gli effetti che ne conseguono sono i medesimi avuto riguardo il venire meno del sinallagma169.

In giurisprudenza si è precisato che l’impossibilità sopravvenuta della prestazione derivante da causa non imputabile al debitore paralizza qualsiasi domanda di adempimento e determina (se definitiva) la risoluzione del contratto, ai sensi degli art. 1463 e 1256, comma 1, c.c.., con la conseguente applicazione delle norme generali sulla risoluzione (ed in particolare di quella sulla retroattività). La domanda di risoluzione per inadempimento - che tende ad una pronuncia costitutiva e si fonda sul comportamento doloso o colpevole di una parte - ha presupposti e natura diversi dalla domanda di risoluzione per impossibilità sopravvenuta, che invece mira ad una pronuncia di accertamento in conseguenza di fatti estranei alla sfera di imputabilità dei contraenti. per tali motivi si ritiene violato il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, ove - avendo le parti domandato la risoluzione del contratto per contrapposti inadempimenti - il giudice dichiari la risoluzione del contratto ex art 1463 c.c. per sopravvenuta impossibilità della prestazione contrattuale170.

Secondo autorevole dottrina in caso di certezza in merito alla non venuta ed esistenza del bene opera la risoluzione di diritto, ma non ex art. 1463 c.c., bensì direttamente ex art. 1472 c.c.. La prima differisce, infatti, dalla seconda perché può avere luogo anche in caso di impossibilità parziale e impossibilità totale solo provvisoria qualora la parte non abbia più un apprezzabile interesse all’adempimento171.

168 Secondo la dottrina è la legge stessa a richiedere la venuta ad esistenza del bene,cfr.BIGLIAZZI GERI L,BUSNELLI F.D., BRECCIA U.,NATOLI G., Diritto civile. 1.2: Fatti e atti giuridici, cit., p. 692; BIANCA C.M., La vendita e la permuta, cit., p.343.

169 Sul punto GAZZONI F., op. cit., p. 1034.

170 Cfr. Cass., 28 gennaio 1995, n. 1037, in Mass. Giur. It., 1995.

171 L’impossibilità sopravvenuta può essere anzitutto parziale. Tuttavia anche laddove fosse totale non sarebbe comunque assimilabile alla risoluzione di diritto per la non venuta ad esistenza del bene, perché l’impossibilità può essere non definitiva, ma temporanea e non equivalere, quindi, all’inesistenza della cosa, cfr. PERLINGIERI P., op. cit., p. 229.

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La risoluzione di diritto, però, può aversi solo quando il decorso fattuale è certo e a qualsiasi domanda di risoluzione conseguirà una sentenza di natura meramente dichiarativa172.

In caso contrario (ossia incertezza sulla imputabilità della mancata venuta ad esistenza della res, totale o parziale), soccorrono in favore della parte tutti i normali rimedi di impugnazione, giudiziali e stragiudiziali. Il contratto è ancora in piedi e c’è l’interesse allo scioglimento del vincolo sinallagmatico.

In particolare, laddove la mancata venuta ad esistenza del bene dipenda da un fatto imputabile, l’altro contraente potrà chiedere la risoluzione ex art. 1453 cc173 e il risarcimento del danno (corrispondente all’interesse positivo).

Inoltre, trattandosi di un contratto perfetto, sono utilizzabili tutti gli altri strumenti contro l’inadempimento compatibili con la sua natura e funzione.

In caso di mancata o inesatta esecuzione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ragioni dell’altra parte, la parte può esperire sia i rimedi di natura conservativa, che caducatoria.

I primi sono diretti a ottenere la conservazione del vincolo e volti a superare la sopravvenienza che vizia il meccanismo casuale.

Il rimedio per eccellenza inquadrabile in questa categoria è l’azione di esatto adempimento. Quest’ultima spetta al creditore che sia interessato all’esecuzione coattiva della prestazione dovuta mediante relativa condanna174.

Suddetto rimedio in forma specifica è in astratto compatibile con il negozio su oggetto futuro. Infatti da quest’ultimo nasce l’obbligo di non frustrare la legittima aspettativa giuridica dell’altra parte che può avere anche contenuto positivo (interrompere l’usucapione di un terzo, compiere atti conservativi o produrre/costruire direttamente il bene).

Va tenuto conto innanzitutto della natura giuridica dell’obbligazione nel caso concreto. Ad esempio: se si tratta di prestazioni di fare infungibile (un quadro di un famoso pittore) o di non fare (astenersi dal compiere qualsiasi atto che possa determinare il trasferimento, l’estinzione del diritto o una diminuzione del valore dello stesso), insieme alla condanna dovrà essere chiesta l’applicazione delle

172 Sempre PERLINGIERI P., op. cit., p. 219.

173 Tale azione è esperibile sia quando il venditore non si adoperi tempestivamente ed adeguatamente per la venuta ad esistenza, sia quando - ad esempio - il compratore non versi gli acconti di prezzo dovuti, cfr. SCOGNAMIGLIO R., op. cit., p. 376.

174 L’inadempimento del debitore assume rilevanza, per l’ordinamento positivo, indipendentemente dalla sua potenziale carica dannosa. Quest’ultimo, quindi, inteso come atto lesivo dell’interesse creditorio, rileva di per sé stesso, anche quando non cagioni al creditore un danno, ossia una perdita patrimoniale o una lesione di un interesse non patrimoniale (e rileva nei termini della impossibilità sopravvenuta), cfr. BIANCA C.M., Dell’inadempimento delle obbligazioni, in SCIALOJA A./BRANCA G. (a cura di), Commentario del codice civile, Bologna, Zanichelli, 1967, p. 153.

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misure coercitive ex art. 614bis c.p.c. (ossia il pagamento di una determinata somma di denaro per ogni successiva violazione o ritardo nell’adempimento della prestazione principale).

Inoltre il sistema dei rimedi può variare a seconda della fattispecie contrattuale di riferimento (si pensi a quella peculiare del contratto di vendita). Pertanto la compatibilità in astratto dell’azione di esatto adempimento va verificata in concreto in relazione al singolo negozio.

Lo stesso discorso vale per l’azione di risarcimento in forma specifica. Quest’ultima diverge da quella di esatto adempimento sia sul piano contenutistico che su quello dei presupposti. Il risarcimento in forma specifica è volto ad eliminare il danno causato dall’inadempimento del debitore. La domanda mira a costringere quest’ultimo ad eseguire una prestazione sostitutiva e diversa rispetto a quella originariamente dovuta e idonea a rimuovere materialmente il danno cagionato. Proprio per questo motivo (prestazione diversa da quella dovuta) è discussa la sua applicabilità in ambito contrattuale al di là delle ipotesi tipiche e richiede il doppio vaglio ex art. 2058 (non deve essere impossibile o eccessivamente onerosa).

b) gli altri rimedi

Nella fase che precede la certezza circa la mancata venuta ad esistenza del bene, è possibile che le parti necessitino di ulteriori tutele, ad esempio nel caso in cui la prestazione di una delle due parti divenga eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenienti straordinari e imprevedibili.

L’impegno delle parti in ordine ad un oggetto futuro, infatti, può dilatarsi anche per lungo tempo. Di conseguenza le condizioni originarie della pattuizione possono mutare sensibilmente o venire meno. In qualsiasi operazione contrattuale è insito un profilo di incertezza in ordine al valore economico delle prestazioni originarie. Ciò vale sia per i contratti di natura commutativa, che per quelli aleatori (destinati ad una esecuzione continuata, periodica o differita). È opportuno, infatti, tenere distinta l’alea in senso economico (legata alla sopravvenienza di eventi futuri non prevedibili e non imputabili che possono alterare il valore economico della prestazione) da quella in senso tecnico-giuridico (che concerne esclusivamente i contratti di natura aleatoria).

La dottrina e la giurisprudenza ritengono generalmente ammissibile l’esperimento del rimedio della risoluzione ex 1467 c.c.175 per porre rimedio a sopravvenuti squilibri patrimoniali eccessivi e

175 Cfr. SCOGNAMIGLIO R., op. cit., p. 376 e PERLINGIERI P., op. cit., p. 230. La risoluzione ex art. 1467 c.c. è ammessa per il contratto ad esecuzione continuata/periodica o differita. Il negozio ad oggetto futuro rientra nella seconda ipotesi. Secondo PERLINGIERI, inoltre, l’eccessiva onerosità ex parte venditoris non potrà più essere chiesta dopo il trasferimento della proprietà. Per attivare il rimedio occorre sempre e comunque che la prestazione della parte che l’invoca sia non esaurita al tempo della sopravvenienza. Quanto alla controprestazione bisogna distinguere: nel caso di onerosità diretta (la prestazione diventa più costosa o preziosa), la controprestazione può anche essere esaurita al tempo della sopravvenienza (ciò che importa è il mancato esaurimento della prestazione direttamente colpita dall’onerosità); invece nel caso di onerosità indiretta (si svilisce la controprestazione), anche la controprestazione dev’essere, in quel momento, ancora in itinere, cfr. anche ROPPO V., Il contratto, cit,, p. 949.

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imprevisti in caso di negozio avente ad oggetto un bene futuro. La natura dello stesso è infatti commutativa e non aleatoria176. Va verificata sempre e comunque la straordinarietà della causa che ha comportato l’alterazione del rapporto o dei suoi effetti.

Non sembrano esserci ostacoli neanche per l’ammissibilità dell’azione per la rescissione del contratto177. Autorevole dottrina ha riportato l’esempio di un contratto di compravendita di un bosco al taglio del quale manchino dieci anni e ricorrano tutti i presupposti dell’art. 1448 c.c. (squilibrio della prestazione valutabile al tempo del contratto, stato di bisogno e approfittamento per trarne un vantaggio, perduranza della lesione al tempo della domanda). Se si negasse l’esperibilità dell’azione di cui trattasi la parte lesa dovrebbe attendere dieci anni e subire l’evidente aggravio dell’onere probatorio178.