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Il legislatore vieta la contrattazione su oggetto non ancora venuto ad esistenza in quelle specifiche ipotesi in cui la volontà delle parti non può proiettarsi verso il futuro. Ad esempio: la donazione di cosa futura ex art. 771 c.c. e il divieto di patti successori relativi ad una eredità futura ex art. 458 c.c.. Con riferimento alla prima ipotesi, la teoria che individua la ratio dell’ostilità legislativa

In giurisprudenza: il rimedio della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, che è escluso nell’ipotesi di compravendita avente effetto traslativo immediato, ancorché sia stato pattuito il differimento della consegna della cosa venduta, è invece “applicabile allorché la vendita abbia, anziché effetti reali immediati, solo efficacia

obbligatoria, con effetto traslativo differito ad un momento successivo alla conclusione del contratto, dipendendo il trasferimento del diritto, oltre che dal consenso, dal verificarsi di un fatto ulteriore, quale, per la vendita di cose indicate solo nel genere, la specificazione o, per la vendita di cosa altrui, l’acquisto della proprietà da parte del venditore” (cfr.

Cass. Civ., 23 maggio 1988, n. 3575, in Mass. Giur. It., 1988), sempre che fra il momento della conclusione e quello dell’esecuzione si siano verificati avvenimenti straordinari o imprevedibili tali da rendere l’adempimento della prestazione, in tutto o in parte, ancora dovuta, eccessivamente oneroso per uno dei contraenti, cfr. Cass. civ. Sez. II, 18-02-1999, n. 1371, in Mass. Giur. It., 1999.

176 V. Cass., 28 febbraio 2013, n. 5050, in Imm. e propr., 2013, 5, p. 327: al fine di qualificare il contratto come aleatorio, è necessario verificare se, al momento della conclusione del contratto, vi sia - per volontà delle parti o per legge – una situazione di obiettiva incertezza circa i vantaggi o lo svantaggio economico che potrà derivare dal regolamento negoziale. Oppure anche quando, per la struttura del contratto posto in essere, è a carico di una delle parti il rischio di un evento causale che potrà incidere sul contenuto del suo diritto o della sua prestazione. L’alea opera sin dall’inizio come elemento essenziale del sinallagma.

177 Durante la vigenza del codice del 1865 si era negata l’ammissibilità dell’esperimento dell’azione di rescissione di un contratto di compravendita di beni futuri per due motivi. Innanzitutto perché prima della venuta ad esistenza del bene non vi è alcun contratto di compravendita (teorie dualiste). Inoltre era impossibile stabilire a priori la sproporzione tra il valore della cosa e il prezzo, visto che la prima è accertabile solo nel momento in cui nasce. Tuttavia entrambe le obiezioni sono state facilmente superate. Non è più sostenibile la tesi che scinde il negozio in due distinti contratti: sin dall’inizio vi è una compravendita di beni futuri. Il valore della cosa, infine, generalmente è valutabile sin dal momento della conclusione del contratto. Se non lo è non è possibile neppure stabilire il corrispettivo, pertanto non è configurabile una lesione o un depauperamento, cfr. PERLINGIERI P., op. cit., p. 240. Favorevole alla sua ammissibilità anche SCOGNAMIGLIO R., op. cit., p. 376.

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all’ammissibilità della stessa nell’intento di porre un freno agli atti di prodigalità del donante la ratio di suddetta norma è ad oggi quella dominante sia in dottrina che in giurisprudenza179.

Occorre dare atto che si sono susseguite diverse tesi. Storicamente, sotto la vigenza del codice del 1865, veniva spiegata attraverso il ricorso ad un principio francese “donner et reteneir ne vaut”180. La donazione di beni futuri non era considerata spoglio attuale e irrevocabile (dato che dipendeva sempre dal donante il procurarsi l’acquisto di questi ultimi) e quindi si poneva in contrasto con suddetta inderogabile regola181.

Altri autori, invece, hanno operato una differenziazione tra donazione di singoli beni futuri o donazione di un complesso di questi ultimi. In particolare, la donazione di una indeterminata universalità o un complesso di beni futuri sarebbe nulla perché contrastante con il divieto dei patti successori ex art. 458 c.c. (e quindi assimilabile alla attribuzione mortis causa). Il singolo bene futuro, invece, potrebbe essere donato, ma solo con effetti obbligatori: con produzione del conseguente effetto reale nel momento in cui viene ad esistenza la cosa in caso di bene futuro (e automaticamente, non appena il donante abbia acquistato la proprietà in caso di beni altrui)182. In tal modo, tuttavia la donazione dispositiva di beni altrui si tramuterebbe sempre in obbligatoria, sicché non solo il divieto ex 771 c.c. non avrebbe più ragion d’essere, ma si eclisserebbe totalmente il ruolo della volontà del donante.

In realtà vi è un collegamento tra il divieto di patti successori e il divieto di donazione di beni futuri ex 771 c.c.. La seconda parte del primo comma dell’art. 458 c.c., infatti, vieta i patti di tipo dispositivo e rinunciativo: in entrambi i casi l’oggetto del negozio non è rappresentato da un proprio diritto (come nel patto istitutivo), bensì da un diritto soggettivamente futuro (che il soggetto non ha, ma potrebbe ricevere dalla successione non ancora aperta). Quindi ci si è chiesti che tipo di rapporto intercorra tra le due norme.

Il divieto di patti successori ha un ambito di applicazione più vasto in quanto vieta non soltanto i patti dispositivi e rinunciativi stipulati con spirito di liberalità (che sarebbero comunque vietati ex art. 771 c.c.), ma altresì quelli in cui si ravvisi una causa onerosa (o anche gratuita). La ratio del divieto in

179 Si citano a titolo di esempio opere e pronunce indicate nelle note precedenti: cfr. TORRENTE A., La donazione, II ed. agg. in CARNEVALI U.-MORA A. (a cura di), in Trattato di diritto civile e commerciale (già diretto da CICU A.,MESSINEO

F.,MENGONI L., continuato da SCHLESINGER P.), Giuffrè, Milano, 2006, p. 407.

In giurisprudenza, invece, Cass. 5 maggio 2009, n. 10356. Secondo la giurisprudenza l’esigenza, che ne è alla base, è quella di porre un freno agli atti di prodigalità e di limitare l’impoverimento ai beni esistenti nel patrimonio del donante. 180 Si collega, in altre parole, il divieto all’irrevocabilità del consenso. Tuttavia la possibilità di non adempiere è un rischio che nasce anche in caso di donazione obbligatoria. Pertanto non può ritenersi un elemento decisivo. In realtà le parti, nel momento in cui stipulano la donazione, anche nel caso in cui la si consideri un contratto a consenso c.d. anticipato, sono già vincolate e hanno il dovere di non impedire la futura nascita del diritto.

181 In dottrina: TORRENTE A, op. cit., 491; CAPOZZI G., Successioni e donazioni, II, Giuffrè, Milano, 2015, p. 1530; BONILINI G. (a cura di), Delle donazioni, in GABRIELLI E. (diretto da), Comm. del cod. civ., UTET, Torino, 2014, p. 110; TRINGALI F., Le donazioni, Giappichelli, Torino, 2010, p. 230.

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questo caso è diversa e più ampia: evitare la speculazione sulla morte altrui. Interesse ritenuto non solo non meritevole di tutela dal nostro ordinamento, ma addirittura non tollerato per ragioni di ordine morale.

Nel nostro ordinamento il divieto dei patti successori è strettamente collegato alla regola secondo la quale la delazione può avere come fonti solo la legge e il testamento (unico negozio mortis causa ammesso) ex art. 457 c.c.183.

La dottrina ha rilevato che la ratio del divieto sarebbe diversa per ciascuno dei tre tipi di patti successori indicati nell’art. 458 c.c.184.

Rispetto ai patti successori di tipo istitutivo (con cui un soggetto trasferisce la titolarità di tutti o di una parte dei beni che lascerà alla propria morte ad un altro soggetto o si impegna a disporre per testamento in un certo modo) si ritiene che il fondamento della nullità sia rinvenibile nella tutela della libertà di testare, la quale verrebbe pregiudicata dall’atto con cui si dispone dei propri beni irrevocabilmente, con effetto a partire dal momento della morte.

Il divieto dei patti dispositivi (ossia quei patti con i quali taluno dispone dei diritti che gli possano derivare da una futura eredità) invece si ricollega a quello ex art. 771 c.c.. Sono entrambi negozi inter vivos (successori sta ad indicare che hanno ad oggetto diritti mortis causa) che non minacciano la libertà di disporre del testatore. Quest’ultimo, infatti, non partecipa al negozio. La nullità in questo caso è comminata sia a tutela dei “giovani prodighi inesperti che, malconsigliati da persone di pochi scrupoli, sarebbero portati a dilapidare in anticipo le sostanze che avrebbero dovuto ereditare dai loro parenti” e sia per impedire convenzioni immorali come il votum corvinum o il votum captandae mortis (perché un simile patto porterebbe alla nascita dell’intimo desiderio del decesso del soggetto della cui successione si tratta).

Attraverso i patti rinunciativi, invece, si rinuncia ai diritti che possano comunque derivare da una successione non ancora apertasi. Sono quindi qualificabile come una sottospecie dei patti dispositivi, poiché anche la rinuncia è qualificabile come atto di disposizione rispetto ad una eredità futura (il beneficiario in questo caso deve comunque essere un soggetto chiamato all’eredità)185.

183 V. BONILINI, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, 8a ed., Torino, 2016, p. 22.

184 Sul punto CACCAVALE C., Il divieto dei patti successori, in RESCIGNO (a cura di), Successioni e donazioni, I, Padova, 1994, p. 26 e IEVA M., Art. 458, in GABRIELLI E. (diretto da), Commentario del codice civile, Milano, UTET, 2009, p. 28. 185 In relazione ai patti rinunciativi si veda FERRI L., Successioni in generale, 3a ed., in Comm. Scialoja, Branca, sub artt. 456-511, Bologna-Roma, 1980, p. 83 ss.

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Capitolo II:

CONTRATTI AD EFFETTI REALI E OGGETTO FUTURO