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L’avanzata della pedagogia neoliberista

La problematica scolastica odierna Massimo Baldacc

2. L’avanzata della pedagogia neoliberista

I presupposti di un’egemonia politico-culturale dell’ideologia neo-liberista hanno conosciuto una massiccia avanzata tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta del secolo scorso (da noi hanno trovato iniziale espressione nella critica allo statalismo). Gli anni Ottanta, in particolare, sono contrasse- gnati dal governo Thatcher in Gran Bretagna e dalla presidenza Reagan in America. Il sommovimento ideologico che creano i loro orientamenti po- litici ha radici e implicazioni culturali ramificate. Dapprima viene annun- ciata l’eclisse delle grandi narrazioni della modernità (Lyotard, 1983), e quindi il passaggio a un’era post-ideologica. Poi, caduta l’Unione Sovieti-

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ca, viene proclamata addirittura la “fine della Storia”, che sarebbe giunta al capolinea col trionfo planetario del sistema liberal-democratico (Fuku- jama, 1992). Ma le cose vanno diversamente. Nella seconda metà degli an- ni Novanta, le socialdemocrazie europee – prima fra tutte il New Labour di Blair – abbandonano la loro impostazione classica per cercare una “terza via” (Giddens, 1999) tra questa e il neoliberismo. Di fatto, si produce un compromesso che finisce per risultare sempre più sbilanciato verso l’ottica neo-liberista. L’eco di questo slittamento si avverte anche nel campo sco- lastico-formativo. Il Rapporto Delors sull’Educazione per il Ventunesimo Se-

colo (Delors, 1997), promosso dall’Unesco, propone un’astratta concilia-

zione di elementi socialdemocratici e neoliberisti, di sviluppo umano e di produzione di capitale umano, che di fatto inclina il piano verso lo scivo- lamento neoliberista. Anche le politiche formative dell’Unione europea tendono progressivamente ad allinearsi con la nuova temperie politico- culturale: il Libro Bianco dell’Unione Europea, curato dalla Cresson (1995), mette in primo piano il problema dell’adeguamento dell’istruzio- ne alle dinamiche di un’economia globale basata sulla conoscenza; la Stra-

tegia di Lisbona (2000) concepisce una serie di traguardi formativi comu-

nitari da raggiungere entro un decennio, finalizzati a fare dell’Unione Eu- ropea l’economia più avanzata e dinamica del pianeta.

In questo nuovo quadro storico-culturale, il neoliberismo si presenta come l’ideologia del capitalismo globalizzato, come la concezione che so- stiene la sovranità dei mercati, ai cui imperativi non vi sarebbero alterna- tive. La stessa democrazia viene vista come un intralcio alle logiche della globalizzazione e dei mercati, e se ne sostiene il ridimensionamento in for- me compatibili con esse. L’ontologia sociale neo-liberista riduce tutte le re- altà sociali al concetto d’impresa, siano esse nazioni (l’azienda Italia), isti- tuzioni (l’azienda sanitaria locale, la scuola-azienda), o persone (ognuno deve essere l’imprenditore di sé stesso), eleggendo la concorrenza a motore primo dell’efficienza del sistema, e quindi a principio di ogni sfera sociale. E, in un’economia basata sulla conoscenza, il principale fattore di compe- titività dei sistemi-impresa è individuato nel “capitale umano”, nello stock di conoscenze e di competenze incorporato dai soggetti produttori duran- te i percorsi d’istruzione.

Nella concezione neo-liberista, la scuola si pone quindi, innanzitutto, come una fabbrica di capitale umano, come un’agenzia di formazione di produttori dotati dell’equipaggiamento cognitivo necessario alle aziende. Inoltre, la scuola rappresenta una palestra di competizione, nella quale il

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soggetto si deve socializzare con i meccanismi meritocratici che presiede- ranno alla vita sociale ed economica. In altre parole, la scuola neoliberista non mira all’educazione di cittadini democratici, ma alla formazione di produttori efficienti e competitivi (nonché conformisti sul piano del- l’ethos). A questo scopo, gli stessi istituti scolastici devono assumere la for-

ma d’aziende efficienti, capaci di competere nel mercato dell’istruzione e

soggette a rendicontare la produttività dell’investimento pubblico. In que- sto quadro, mentre i dirigenti scolastici divengono i manager dell’impre- sa-scuola, gli insegnanti assumono la veste di funzionari del capitale uma- no e/o di commessi del super-market formativo.

Nel nostro Paese, la fase della scuola neoliberista ha iniziato a muovere i primi passi con gli anni della cosiddetta Seconda Repubblica, caratteriz- zati da un inedito bipolarismo e dall’alternanza dei governi. Fin dal pro- gramma elettorale di Silvio Berlusconi (1994), le famose “tre I” (impresa, inglese, internet) annunciavano un disegno di modernizzazione della scuola secondo i dettami dell’aziendalismo neo-liberista. I successivi anni del Governo dell’Ulivo, hanno visto una certa affinità politico-culturale con l’orientamento della “terza via” (Prodi, 1994), che preferisce però par- lare di “nuova via” (Prodi, 1998). Senza giungere pienamente a imposta- zioni neoliberiste, varie misure – tutt’altro che prive di aspetti progressisti – risentono di alcune forme di contaminazione con tali impostazioni: dal

Pacchetto Treu (1997), che apre a forme di flessibilità del lavoro; alla Legge Bassanini (1997) col Regolamento sull’autonomia (1999), che – mossa da

un intento di superamento del tradizionale centralismo burocratico – isti- tuisce l’autonomia organizzativa didattica degli istituti scolastici, di cui de- ve essere espressione il Pof-piano dell’offerta formativa (espressione che non rinvia più al concetto di “bisogni educativi” – di matrice pedagogica –, ma a quello di “domanda formativa”, di sapore mercantilistico1), rischiando però di avallare una concezione aziendalista e concorrenziale della scuola; fino alla cosiddetta Riforma Berlinguer (in realtà una serie di misure con-

1 Non si tratta di una questione meramente nominalistica. La “domanda formativa” è espressione di un’esigenza soggettivamente avvertita. Il “bisogno educativo”, invece, costituisce una necessità oggettiva, indipendentemente dalla sua consapevolezza sog- gettiva. Anzi, solitamente, tanto più è marcato il bisogno educativo, quanto meno es- so è consapevole. L’evasione scolastica corrisponde all’assenza di domanda formativa, ma è indice di un drammatico bisogno educativo.

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cepite come tessere del medesimo mosaico, tra cui la Legge 30/2000 sul riordino dei cicli) (Berlinguer, 2001). Quest’ultima può essere vista come l’unico tentativo di una riforma organica e complessiva del sistema scola- stico compiuto nell’età repubblicana. Tuttavia, essa non è esente da limiti e compromessi che mostrano significativi arretramenti (dovuti probabil- mente a considerazioni di Realpolitik) rispetto ai disegni iniziali, in parti- colare sulla scuola d’infanzia, e sulla estensione dell’obbligo scolastico. In ogni caso, il mosaico berlingueriano sarà scompaginato dai governi succes- sivi.

Il tornante storico della ristrutturazione neoliberista della scuola è così affrontato pienamente dai governi di Centro-destra dal 2001 in poi. In una prima fase, quella dei ministeri Moratti e Gelmini (con la parentesi di Centro-sinistra e del Ministro Fioroni, fautore della politica del “cacciavi- te”, per correggere selettivamente alcuni aspetti della Riforma Moratti) la ristrutturazione neoliberista è intrecciata con una prospettiva di una con-

tro-riforma. Infatti, l’ispirazione neoliberista del Ministro Moratti, che si

esprime nella Legge 53/2003 o Riforma Moratti (che ripropone una se- condaria superiore basata sul dualismo tra i licei e un’istruzione professio- nale piegata alle aziende), e i suoi Piani di studio personalizzati (che riesu- mano l’ideologia delle doti naturali per giustificare gli esiti della competi- zione scolastica), si intrecciano con un’ideologia tradizionalista che celebra il primato della famiglia sulla scuola, e si richiama al merito e alla serietà come valori compromessi dalle politiche di sinistra e dai sindacati (per al- tro l’intreccio tra neoliberismo e tradizionalismo è tipico dell’orientamen- to neo-conservatore anche in altri Paesi occidentali). Col Ministro Gelmi- ni, questa tendenza contro-riformista diviene particolarmente marcata: dal ritorno dei voti numerici, al cinque in condotta, al grembiulino, fino alla riesumazione del maestro unico nella scuola elementare. In realtà, questa pioggia di provvedimenti che rispecchia i più ammuffiti stereotipi diffusi nell’opinione pubblica, tende a sviare l’attenzione rispetto ai gravi tagli di risorse alla scuola, i più ingenti di tutta la storia della Repubblica. Ma que- sta fase di liberismo mascherato da ritorno alla “sana” tradizione si esauri- sce con la fine dei governi di Centro-destra, nel 2011. Da qui in poi, pri- ma col governo tecnico Monti, poi coi governi guidati dal Partito demo- cratico, la ristrutturazione neoliberista si presenta senza paludamenti di sorta, forte della raggiunta egemonia politico-culturale, consolidata – an- ziché erosa – dalla grande crisi economica esplosa nel frattempo.

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compiuto allineamento della concezione della scuola alle posizioni neoli- beriste. La scuola è vista in un’ottica prettamente funzionalista, come su- bordinata al sistema economico-aziendale: deve servire alle imprese e farsi impresa essa stessa. Tende a svanire la preoccupazione per la formazione di cittadini democratici e capaci di pensare autonomamente e in modo criti- co. Ciò che conta è formare buoni produttori.

Qui possiamo solo accennare ai limiti e alle contraddizioni di cui soffre questa concezione (cfr. Baldacci et al., 2015): l’unilateralità formativa che enfatizza la figura del produttore a scapito di quella del cittadino (mentre lo sviluppo dell’essere umano completo deve coniugare queste due dimen- sioni); il nesso diretto e meccanico tra scuola e mondo produttivo – come se la scuola potesse formare produttori “chiavi in mano” per le imprese2 che rischia di formare competenze appiattite sull’esistente e soggette a ra- pida obsolescenza; il neo-autoritarismo dirigenziale, che mal si sposa con l’idea di scuola come comunità democratica; la vasta disoccupazione gio- vanile e le ridotte possibilità di mobilità sociale, in un Paese dove le occu- pazioni sono distribuite attraverso le reti di conoscenze familiari, più che attraverso il merito e la competenza. In conclusione, il neoliberismo porta al tramonta di un’idea di educazione che vede la crescita intellettuale e morale della persona come un fine in sé: la persona è degradata a mero strumento dello sviluppo economico.