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Giuseppe Tognon

2. Il problema del pluralismo

L’intimità che la riflessione pedagogica ha avuto con la storia della nostra civiltà è stata profonda. Nella civiltà occidentale il ruolo dell’educazione è progressivamente cresciuto con l’importanza data ad un modello di uomo attivo, polivalente ma omogeneo, che secoli di teologia, di politica e di fi- losofia hanno plasmato, fino a quando le scienze dell’educazione lo hanno

Giuseppe Tognon

scomposto in una miriade di profili funzionali. Il funzionalismo è diven- tato dominante proprio nella prima metà del Novecento ed ha ispirato la ricerca di una teoria generale della cultura, il confronto tra l’antropologia culturale e l’etnologia e la discussione sulla differenza tra cultura e civiltà. Ma ancora nel Novecento il passaggio dalla rappresentazione dell’uomo dei Greci alla «rappresentazione del mondo del fanciullo» di Piaget (1926) è stato meno traumatico di quanto sembri perché era interno ad una me- desima idea di continuità delle dinamiche dello sviluppo dell’uomo. Co- me esempio di specializzazione funzionale basta qui citare la «funzione simbolica» che nella ricostruzione delle diverse fasi dello sviluppo cogniti- vo del bambino Piaget ha collocato alla fine della fase senso-motoria, in- torno ai due anni di età. La psicologia genetica, ad esempio, adotta lo stes- so impianto costruttivista che viene usato per analizzare i sistemi culturali, cioè l’evoluzione qualitativa tra un pensiero ingenuo e un pensiero adulto, tra la pretesa di una lettura immediata della realtà ed una sua rappresenta- zione matura che è il frutto di una continua coordinazione di dati e pro- cessi.

In questo quadro di sostanziale immutabilità archetipica, il problema del pluralismo pedagogico va oltre la pluralità dei fatti educativi e oltre la varietà delle dottrine pedagogiche e si apre ad una riflessione sulla possibi- lità di ‘pensare’ il pluralismo all’interno di una civiltà che è stata dominata da una potente spinta teleologica e da una immensa fiducia in una funzio- ne universalizzante del pensiero.

Se il pluralismo è concepito semplicemente come la manifestazione del molteplice interesse – la curiositas latina di Apuleio – non potrà mai essere il luogo di un confronto radicale tra concezioni diverse dell’uomo e con- tribuire efficacemente alla riflessione sulla libertà umana. L’adattamento dell’uomo all’ambiente esterno è un dato di fatto, ma l’adattamento del- l’uomo al suo ambiente spirituale è stato invece il problema centrale della nostra epoca. Allo stesso modo, c’è da chiedersi se è l’unità del fine che può garantire l’unitarietà delle diverse esperienze educative o se invece la continua intromissione della soggettività (in tutte le sue forme: sostanza, anima, io…) e la densità delle esperienze personali non finisca per allon- tanarla. Anche l’unitarietà è piuttosto una dimensione riflessiva, rivelatrice della necessità per l’uomo occidentale di dare, come ha spiegato Cassirer nella sua Filosofia delle forme simboliche (1923-1929), un senso alla molte- plicità sensibile attraverso l’esercizio di funzioni simboliche. La conoscen- za per concetti non è che una di queste “forme”, al pari del linguaggio co-

Il “secolo breve” della pedagogia. Riflessioni sul pluralismo

mune, del mito, della narrazione e anche del sogno: sono tutte irriducibili a regole formali di funzionamento della macchina umana e vanno oltre i segni materiali perché custodiscono un «di più» di senso.

La fenomenologia e l’ermeneutica contemporanee si sono mosse alla ri- cerca di questo «di più» di senso, ipotizzando una stratificazione dell’espe- rienza umana e la sua irriducibilità al puro linguaggio dei segni. Hans Blu- memberg ha cercato di mostrare che la portata affettiva, sentimentale, del- la narrazione metaforica occidentale si rivela e si potenzia soltanto attra- verso una lunga gittata educativa nella cultura umanistica, l’unica che, at- traverso metafore non convertibili in un concetto, conservi la memoria di tutte forme topiche della cultura europea, anche di quelle matematiche o filosofiche.

La pedagogia ha svolto una funzione decisiva nel collegare ciò che è sta- bilito e ciò che va formandosi e ha reso un servizio prezioso di «trasforma- zione» del contesto umano che ha condotto il precedente e antichissimo sistema semiotico (e magico) del corpo, della natura, a trasformarsi in un sistema simbolico, a fissarsi in segni parole e culture, al servizio di un fine sovraordinato, cosmico, non necessariamente trascendente, che si pensava interpretasse un bisogno umano universale. Più volte nella civiltà occiden- tale si è tentato – invano – di prendere le distanze dal simbolico, quando ad esempio lo si riteneva, come scrive Todorov (1977, p. 286), una forma di debolezza propria di chi non sa vigilare su se stesso o che fa parte di ca- tegorie marginalizzate dal pensiero razionale dominate (gli animali, i sel- vaggi, i bambini, le donne, i pazzi, i poeti…). Era questa anche la condi- zione degli Antichi, i quali non conoscevano che quel tipo di pensiero. La pedagogia speciale, l’antropologia pedagogica, la pedagogia interculturale possono trovare oggi nella simbolica antica un terreno di elezione – un te- sto fecondo – ed è grave che non utilizzino il patrimonio della nostra tra- dizione, come in sostanza ha fatto, talvolta in maniera caricaturale, la psi- canalisi. Riflettere sulla pedagogia in chiave pluralista diventa dunque un’occasione per riposizionare il modello teleologico occidentale in una dimensione simbolica che consenta di prendere coscienza dell’esito ‘colo- nizzatore o assolutista’ della “nostra” o comunque di “una” tradizione cul- turale, senza tuttavia rinunciare alla finalità di educare l’uomo come se fos- se il modello dell’intera umanità.

Giuseppe Tognon