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Simonetta Polenghi

gi è sotto gli occhi di tutti, essa configura anche la crisi della politica in senso moderno, non solo del suo primato, ma anche della sua funzione de- cisiva” (ivi, p. 90). Come pedagogisti dobbiamo fortemente interrogarci su questo sfilacciamento morale della dimensione politica e non essere corre- sponsabili di questo processo. La tutela dei diritti delle donne, dei disabili, dei migranti, dei diversi si radica in una cultura del rispetto dell’altro, che presuppone un’antropologia, con o senza fondamenti metafisici, ma co- munque innervata di umanesimo, un umanesimo che vacilla di fronte al relativismo imperante.

L’uomo è un essere sociale, la società è una unione organica di indivi- dui. Dewey (1950, p. 457) ha detto che “la democrazia è in se stessa un principio educativo”. La discussione, la libertà di pensiero sono essenziali per la democrazia e la crescita civile. Pedagogia allora significa pensiero cri- tico, problematicismo, dialogo, confronto. Non significa steccati, fratture, né giochi di interessi personali o particolari. Significa avere di mira il bene comune.

Di fronte al bullismo, al cyberbullismo, alla violenza sulle donne, al razzismo, ai problemi ambientali la pedagogia ha un compito ineludibile di richiamo all’umanesimo e dunque a una cultura del rispetto e della le- galità. Come Siped, dobbiamo farci interpreti di queste istanze, rispon- dendo con rigore scientifico e con coerenza di atteggiamenti. La forte ten- sione etica che attraversa i grandi pedagogisti, da Rousseau a Gramsci, da Montessori a don Milani, ci ricorda che una pedagogia senza etica perde fondamento.

Riccardo Massa, scrivendo della “fine della pedagogia nella cultura con- temporanea”, affermava nel 1990 che “al pedagogo ossessionato dal desi- derio di formare si era sostituito un trasmissore di contenuti: l’angoscia pe- dagogica è divenuta angoscia didattica. Il formare e l’educere come dimen- sione esistenziale significante si sono rattrappiti in una professionalità che si preoccupa esclusivamente di por mano ad itinerari asettici. Più ancora che quello di educazione, il termine di educatore è stato abiurato e messo da parte. Il successo del paradigma istruzionale presso la maggioranza de- gli insegnanti sta ad indicare che un ruolo caratterizzato dal prendersi cura dei problemi di soggetti che vanno crescendo […] è diventato un atteggia- mento insostenibile nella cultura contemporanea” (Massa 1990, p. 87).

Se pensiamo a molte politiche ministeriali sulla nostra scuola, credo che queste parole siano ancora valide: da un lato abbiamo l’assalto dei di- sciplinaristi, ma dall’altro abbiamo anche visto una pedagogia dove ri-

Le emergenze educative nella società contemporanea: etica e pedagogia

schiano di prevalere visioni parziali e limitanti. La parola “cura” in questa citazione di Massa è fondamentale. Rimanda all’“I care” di don Milani, (Sani, Simeone, 2011), all’attenzione per i più deboli, ma anche a noi stes- si, per via della nostra ontologica fragilità (Mortari, 2002, 2006).

Come l’educatore deve avere cura dell’educando, noi dobbiamo custo- dire la pedagogia italiana, farla crescere, dando spazio ai giovani, stimolan- do il confronto, la partecipazione, ricordando l’insegnamento dei maestri che sono venuti prima di noi. Solo così saremo interlocutori credibili e po- tremo avere ascolto. Potremo anche dire cose scomode. Come si esercita questo impegno della pedagogia di fronte alle emergenze educative?

La risposta a mio avviso si trova nelle parole scritte da Cesare Scurati, nel 1996, nella prefazione a Volti dell’educazione: “educare è senza dubbio una delle forme del servire, ma questo non deve essere confuso con la de- bolezza. Solo chi è forte (competente, preparato, sicuro) può imbandire la tavola agli altri; solo chi ha può dare: il servizio dell’educatore, quindi, non è il servire dello schiavo, ma l’invito del signore, che ha in sé la ricchezza del contenuto, la bellezza del dono e l’attrazione del gesto. […] Educare non vuol dire possedere, i modi dell’appropriazione non sono mai i modi dell’educazione […] I volti dell’educazione non sono altro che il volto dell’umanità come volto della vita, della storia e della cultura; la loro iden- tità è la presenza del servizio, […] della comprensione, della forza, della cooperazione, della sintesi” (pp. 7-8).

Anche qui il perno è l’umanesimo, e l’idea centrale del servizio legato alla forza del diritto, del dovere kantianamente inteso e della giustizia: la democrazia nasce dal mettersi a servizio degli altri. Abbiamo ancora questa capacità di metterci a servizio? Di concepire il nostro lavoro di pedagogi- sti, il nostro lavoro in questa Società che è la Siped come servizio? Io credo che questa sia la strada, l’unica strada autentica, che rispecchia la signifi- catività etica della cura pedagogica.

La politica ha bisogno di una pedagogia accademica impegnata per il bene comune. La cosiddetta “Legge Iori” (uso questo termine improprio, perché come è noto l’onorevole Vanna Iori è riuscita a salvare il nucleo del progetto di Legge Iori-Binetti inserendolo in alcuni articoli della legge di bilancio) è ora realtà grazie a quattro anni di impegno costante e di lotta della collega. Se la pedagogia italiana oggi ha un riconoscimento pubblico, questo va certamente annoverato in primo luogo al risalto di questa batta- glia, che ha visto uniti il mondo accademico, Siped in testa, e gli operatori in campo educativo. Dopo anni di studi e di richieste pressanti, finalmen-

Simonetta Polenghi

te le professioni educative sono state riconosciute: un risultato storico, che impone ora di continuare a lavorare: non lasciamo il campo scoperto, con- tinuiamo, come singoli e come Siped, il nostro impegno per risposte eti- che e competenti alle emergenze educative.

Wolfgang Brezinka in Educazione e pedagogia in tempi di cambiamento

culturale ha condotto una analisi lucida e disincantata dei mali della socie-

tà contemporanea, una società “disorientata”, priva di solidi punti di rife- rimento, che invece avevano le società precedenti. Tuttavia egli contestava che la nostra società vedesse la fine dell’educazione, e incitava al Mut zur

Erziehung: abbi il coraggio di educare, il coraggio di educare bene. E an-

cora invitava a non dimenticare la pedagogia pratica, che non è neutra, ma che si espone moralmente (Brezinka, 2011, pp. 141-1443). Queste parole: democrazia, partecipazione, eticità, coraggio ci devono guidare per affron- tare le sfide che ci attendono.

Bibliografia

Acone G. (1994). Declino dell’educazione e tramonto d’epoca. Brescia: La Scuola. Brezinka W. (2011). Educazione e pedagogia in tempi di cambiamento culturale. Milano: Vita e Pensiero (ed. or. Erziehung und Pädagogik im Kulturwandel, München 2003).

Massa R. (1990). Educare o istruire? La fine della pedagogia nella cultura contem-

poranea. Milano: Unicopli.

Mortari L. (2002). Aver cura della vita della mente. Firenze: La Nuova Italia. Mortari L. (2006). La pratica dell’aver cura. Milano: Mondadori

Sani R., Simeone D. (eds.). (2011). Don Lorenzo Milani e la scuola della parola:

analisi storica e prospettive pedagogiche. Macerata: EUM.

Scurati C. (ed.) (1994). I volti dell’educazione. Dal bisogno sociale alla professiona-

In questo intervento intendiamo dare una sommaria caratterizzazione alla problematica scolastica odierna. Tale problematica, infatti, non è configu- rata una volta per tutte, in modo a-storico, secondo un’idea di scuola pe- renne. Sebbene vi siano alcuni tratti di lunga durata dell’istituzione scola- stica, la sua problematica è soggetta al divenire storico, e assume perciò forme specifiche nei diversi periodi di tempo.

Ciò premesso, articoleremo il nostro intervento in tre punti. Nel primo daremo un’enunciazione complessiva, ma sommaria, delle linee che carat- terizzano l’odierna problematica scolastica. Nel secondo punto, daremo qualche cenno di approfondimento rispetto a tali linee. Nel terzo, infine, prospetteremo un orientamento pedagogico generale rispetto alla proble- matica tracciata.

1. La scuola al bivio

La scuola si trova oggi di fronte a un bivio: da una parte il mercato, con i suoi meccanismi concorrenziali e i suoi imperativi d’efficienza sociale; dall’altra la democrazia, con il suo progetto d’emancipazione umana. E la scuola si trova a scegliere quale strada imboccare. Questa, detta in modo sommario, è la tesi che sta alla base del presente intervento. Cerchiamo di circostanziare brevemente tale tesi e dare un primo chiarimento sulle sue implicazioni.

L’odierno scenario sociale è caratterizzato da un’economia globalizzata basata sulla conoscenza. La rivoluzione produttiva – sotto la spinta delle nuove tecnologie – tende a essere continua, e questo crea una pressione sulla scuola da parte del sistema politico-economico, affinché essa provve-

II.

La problematica scolastica odierna