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Cambiamento climatico, nuove professioni, formazione

Pierluigi Malavas

1. Cambiamento climatico, nuove professioni, formazione

Il clima è un bene comune, e i disastri ambientali correlati al global war-

ming costituiscono un emblema che sintetizza quello che sta accadendo al

pianeta (Malavasi, 2015, pp. 35-43). Di fronte alla gravità del degrado de- gli ecosistemi, alla questione dell’acqua potabile, alla perdita di biodiversi- tà, all’aumento degli eventi meteorologici estremi, alla desertificazione di ampie aree del pianeta, all’innalzamento del livello degli oceani, ciascuno di noi percepisce che è in gioco la sopravvivenza del genere umano.

Combattere le cause umane che producono il riscaldamento globale implica disporre di informazioni scientificamente attendibili e maturare una coscienza educativa dei problemi, promuovere la formazione di abitu- dini virtuose e una mobilitazione collettiva. La Conferenza sui cambiamen-

ti climatici delle Nazioni Unite tenutasi a Parigi sul finire del 2015 si è

conclusa con un importante accordo, la cui attuazione richiede un impe- gno corale in un incerto quadro geopolitico. È in questo scenario che occorre

prendere coscienza della necessità di nuove professioni ambientali, delle re- sponsabilità formative connesse con le ricerche sulla sostenibilità ambientale, economica e sociale, del crescente investimento delle scienze e in modo peculia- re della riflessione pedagogica per promuovere, accompagnare e far prosperare reti, progetti, percorsi, azioni educative rivolte alla cura della casa comune.

Non v’è ambito del sapere che possa ignorare i mutamenti sistemici dettati dalla “svolta ecologica” nell’ambito dei processi culturali, delle attività pro- duttive e degli stili di consumo o eludere l’attuale sensibilità dell’opinione pubblica per le problematiche riguardanti il rispetto e la custodia del crea- to (Calabria, 2014). Di fronte allo straordinario patrimonio delle risorse naturali e ai sorprendenti risultati della ricerca scientifica e tecnologica, la

pedagogia dell’ambiente ha al suo centro la dignità e la promozione del-

l’umano, di ogni uomo e di ogni donna. “C’è bisogno non di un’etica qua- lunque ma di un’etica amica della persona che risponda alle sue esigenze morali più profonde” (Benedetto XVI, 2009, n. 45).

Le ambiguità e le incognite del cosiddetto Paris Agreement, con cui la ventunesima Conferenza delle parti (COP 21) si è conclusa, riguardano la reale efficacia di quegli impegni volontari degli Stati su cui si regge l’archi- tettura dei contenuti dell’accordo: limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi; cento miliardi di dollari l’anno fino al 2020 in favore dei Paesi in via di sviluppo; un forte meccanismo di coinvolgimento e monitoraggio (http://ec.europa.eu/clima/policies/international/negotiations/paris_it).

Terra, natura e disastri ambientali. Le proposte di un’educazione ecologica

L’intesa di Parigi è divenuta effettiva ovvero è stata ratificata da più di 55 Paesi, responsabili di non meno del 55% delle emissioni di gas serra. In gioco, sul finire del 2015, c’era non solo l’autorevolezza politica del Pae- se in cui si è svolta l’assise, duramente colpito dagli attentati terroristici, o la necessità di pervenire ad un successo diplomatico che non mortificasse le attese dell’opinione pubblica mondiale. In gioco c’era la sorte di una convenzione delle Nazioni Unite che riconosce l’esistenza di un cambia- mento climatico causato dall’attività umana e attribuisce ai Paesi indu- strializzati la responsabilità principale nella lotta contro questo fenomeno. Stime e analisi convergono sulla possibilità che il degrado e la distruzione di sistemi naturali sui quali gli esseri umani contano per vivere siano sce- nari realistici. L’intesa raggiunta nel vertice di Parigi costituisce un indub- bio passo avanti nel contrasto alla “globalizzazione dell’indifferenza”. Gli effetti del degrado ambientale colpiscono con particolare violenza i più poveri e le generazioni future. Si può asserire che la pace passa per il clima (Malavasi, Zoboli, 2016, pp. 5-8). Un accordo globale come quello rag- giunto a Parigi da tutte le delegazioni rappresenta una tappa del percorso e un segnale rivolto al mondo imprenditoriale, alla società civile e alla co- munità scientifica per proseguire con convinzione la strada verso un’eco- nomia a basso contenuto di carbonio.

Sul Paris Agreement ci sono luci ed ombre. L’accordo è stato comunica- to e accolto dall’opinione pubblica mondiale come un risultato straordi- nariamente innovativo, ma i 29 articoli dell’accordo contengono diversi elementi già presenti negli sviluppi più recenti del regime internazionale di governance del cambiamento climatico, in particolare riguardo agli obiettivi globali di mitigazione (riduzione delle emissioni) e di supporto finanziario e tecnologico internazionale ai Paesi in via di sviluppo. Ci si ri- ferisce alla possibilità di utilizzare i carbon sink agroforestali come contri- buto al raggiungimento dei propri obiettivi, alla possibilità di soddisfare gli impegni nazionali di riduzione delle emissioni utilizzando strumenti di tipo Emission trading internazionale, Clean development mechanism (Cdm) e Joint implementation, all’impegno al trasferimento internazionale di ri- sorse finanziarie verso i Paesi in via di sviluppo, alle previsioni di trasferi- mento tecnologico e al capacity building internazionale, anche connesso al trasferimento finanziario.

Il risultato marcatamente inedito e rilevante del Paris Agreement è rap- presentato dal numero dei Paesi che si sono impegnati ad adottare degli

Pierluigi Malavasi

duzione delle emissioni. É un elemento che avvicina un accordo davvero globale sul clima. É ciò che può essere riconosciuto come il cosiddetto “miracolo di Parigi”. Tuttavia si tratta di un risultato ottenuto al costo di conferire agli impegni di riduzione un carattere poco reciprocamente vin- colante e sul piano globale poco incisivo in tempi immediati. Senza con- tare l’attuale orientamento dell’Amministrazione statunitense e le dichia- razioni di noncuranza a tal riguardo.

Gli impegni sulle emissioni assunti dai Paesi attraverso il Paris Agree-

ment sono unilaterali e davvero assai diversi e asimmetrici: alcuni dei target

di riduzione presenti negli Intended Nationally Determined Contribution riguardano le emissioni assolute rispetto a dati lontani, come le emissioni del 1990, e quindi sono molto impegnativi (è il caso dell’Unione Euro- pea); altri obiettivi riguardano le emissioni – oppure l’intensità di emissio- ni del Pil – rispetto a standard vicini, come le emissioni del 2005, e quindi meno impegnativi (è il caso degli Stati Uniti e della Cina). Il successo po- litico di inclusività ottenuto a Parigi, mentre è molto promettente data la natura evolutiva dei regimi di governance per l’ambiente, paga quindi un prezzo in termini di scarsa obbligatorietà reciproca e limitata incisività im- mediata nelle emissioni globali. Nel suo complesso, la somma degli impe- gni nazionali di riduzione che accompagna il Paris Agreement è quindi am- piamente insufficiente rispetto a quanto richiesto dall’obiettivo dei 2°C e ancor più rispetto all’annunciato obiettivo di 1,5°C.

Secondo la prospettiva euristica contrassegnata dal titolo di questo con- tributo, Terra, natura e disastri ambientali. Le proposte di un’educazione eco-

logica, l’accordo di Parigi può essere inteso come un successo per la co-

scienza politica e formativa, su scala planetaria. Si tratta di verificarne l’in- cidenza reale sull’orientamento geopolitico globale ovvero fino a che pun- to rappresenti un elemento di svolta nel percorso, fin qui deludente, di go-

vernance dei problemi ambientali e in modo peculiare delle emissioni che

influiscono sul cambiamento climatico.

L’intesa negoziale raggiunta prevede in modo esplicito lo svolgimento di programmi formativi sullo sviluppo sostenibile. Richiede un coinvolgi- mento duraturo a livello internazionale, e al medesimo tempo all’interno delle politiche nazionali, al di là dei mutamenti al vertice delle ammini- strazioni e degli esecutivi. E chiama in causa la lungimiranza delle scelte effettuate a livello di organismi governativi e istituzionali, il rigore della ri- cerca scientifica multidisciplinare a supporto, l’attenzione ai percorsi for- mativi, la cura delle persone: su tutti i piani in cui si svolge la sfida del fu-

Terra, natura e disastri ambientali. Le proposte di un’educazione ecologica

turo della casa comune, centrale è il ruolo che compete alle università. Af- frontare i problemi ecologici emergenti significa investire sull’educazione e sull’attività euristica multidisciplinare, su nuove professioni in dialogo con le comunità, le associazioni, gli enti pubblici, il mondo imprendito- riale.

L’ambiente come energia per la vita provoca politiche e saperi, ricerca e

didattica a considerare il creato come dono, a cui deve ispirarsi un’economia

del capitale umano e un’educazione degli adulti. La pedagogia, nella sinfonia

delle tradizioni di ricerca e nella ricchezza dei suoi diversi settori discipli- nari, è chiamata ad approfondire ed elaborare in modo progettuale temi e questioni di frontiera.

Dal degrado ambientale alla governance dello sviluppo, dalla sostenibi- lità educativa al well-being, si tratta di raccordare formazione al lavoro e

cura per le relazioni umane, mondo imprenditoriale e sussidiarietà, in so-

cietà segnate dall’accelerato mutamento economico e tecnologico, in vista dell’educazione alla responsabilità personale e collettiva per l’esercizio del diritto alla cittadinanza attiva.

Di là e attraverso la contesa sulle risorse del pianeta e il sensazionalismo sui problemi dell’ambiente, al centro è la coscienza educativa e spirituale per generare quella fraternità, quella cittadinanza planetaria, all’alba di un

green new deal, che non può esaurirsi soltanto nella scoperta di nuove classi

di profitto, come risultato di una reingegnerizzazione innovativa ed ecolo- gica dei processi produttivi.