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In questo paragrafo ci concentreremo sul fatto che non esiste una sovrapposizione tra PMI e impresa familiare, ovvero non obbligatoriamente un’impresa familiare deve essere un’impresa di piccole o piccolissime dimensioni. Decidere di internazionalizzarsi, professionalizzare la famiglia, managerializzare l’impresa, non vuol dire che obbligatoriamente se ne perda il controllo. Gli azionisti sono coloro che apportano capitale di rischio e rappresentano, mediante la forza volitiva ed imprenditoriale, la primaria fonte di potere aziendale; spetta a loro la nomina dei membri del consiglio di amministrazione e del top management. In questo senso il grado di coinvolgimento della famiglia nella gestione dell’impresa non incide sulla caratterizzazione di family o non family business: un’impresa che intraprende un percorso di crescita e sviluppo, anche dimensionale, pur affidando la gestione dell’impresa a terzi rimane familiare se la famiglia continua a detenere quote di partecipazione azionaria e ad influenzare, seppur indirettamente, la gestione. Approfondiamo la tematica in questione.

Nei paragrafi precedenti abbiamo fatto riferimento alla piccola impresa associandola ad un’azienda a conduzione familiare, quasi come se questi due termini fossero sinonimi. Nel sotto paragrafo 1.1.2 ci eravamo posti la seguente domanda: “un’azienda familiare assume sempre l’aspetto della piccola dimensione?” Cerchiamo di dare una risposta.

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Attribuire ad un’azienda familiare l’etichetta di piccola dimensione non è corretto. Sono luoghi comuni le affermazioni: “le aziende familiari sono per lo più di piccola dimensione” oppure “le aziende di piccola dimensione sono generalmente aziende familiari”.

Con l’avvento della globalizzazione era convinzione comune, soprattutto per la scuola americana, che le aziende familiari sarebbero scomparse lasciando spazio ad aziende di tipo manageriale; si riteneva infatti che la piccola dimensione fosse solamente una fase del ciclo di vita di un’azienda e che questa fase dovesse essere superata per garantire la sua sopravvivenza31.

Nonostante le aziende familiari costituiscano la tipologia di azienda più diffusa sul nostro territorio, non è detto che queste debbano per forza essere di piccola dimensione; esse possono essere anche di dimensione media, grande o grandissima. Basta pensare ad aziende come Barilla, Fiat, Ferrero, Parmalat; sono realtà italiane di grandi dimensioni, con una governance strutturata e formalizzata, gestite da manager esterni, in cui la proprietà familiare esercita una qualche influenza sulla strategia dell’impresa.

Può quindi essere considerata familiare sia un’azienda di piccole dimensioni, che occupa meno di 50 dipendenti, con una governance semplice e costituita al suo interno solamente da familiari (imprese familiari tipiche del tessuto imprenditoriale italiano); sia un’azienda di dimensioni più grandi, che occupa più di 200 addetti, che ha deciso di internazionalizzare la sua produzione e di attuare un processo di managerializzazione e professionalizzazione, inserendo al suo interno soggetti esterni portatori di professionalità, specializzazione e competenze tecniche. In questo caso la famiglia esiste ancora nella veste proprietaria ma decide di fare spazio, almeno in parte, a soggetti dotati di particolari requisiti, in grado di consentire il progresso e l’espansione.

Possiamo quindi dare risposta alla domanda numero 3 proposta nello stesso sotto paragrafo 1.1.2: svincolare la famiglia dalla gestione dell’azienda, attribuendo questa funzione a manager ed amministratori esterni, consente di classificare un’azienda come familiare? A dispetto di quanto è generalmente intuibile, la risposta è affermativa.

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Uno studio condotto dal Family Business Group, un organo costituito dalla Commissione Europea per discutere i principali problemi delle aziende familiari nei singoli paesi, ha proposto una definizione di azienda familiare:

«A firm, of any size, is a family business, if: 1. The majority of decision-making rights are in the possession of the natural person(s) who established the firm, or in the possession of the natural person(s) who has/have acquired the share capital of the firm, or in the possession of their spouses, parents, child or children's direct heirs. 2. The majority of decision-making rights are indirect or direct. 3. At least one representative of the family or kin is formally involved in the governance of the firm.

Listed companies meet the definition of family enterprise if the person who established or acquired the firm (share capital) or their families or descendants possess 25% of the decision-making rights mandated by their share capital».

Esaminando questa definizione vediamo che:

- le aziende familiari possono essere di ogni dimensione e non solo piccole; - non è necessario che la famiglia possieda l’intero capitale della società, ma è

sufficiente il controllo della maggioranza delle azioni, se la società non è quotata, o il 25% se la società è quotata;

- i fondatori possono anche essere due o più persone non appartenenti alla medesima famiglia;

- non è necessario che sia coinvolta la famiglia fondatrice e l’impresa rimane familiare se chi l’ha acquistata è una famiglia imprenditoriale;

- il controllo può avvenire in forma diretta o indiretta (tramite Holding o altri strumenti);

- è necessario che almeno un membro della famiglia sia operativo con ruoli di governo o di gestione dell’azienda.

La definizione del Family Business Group presenta comunque elementi discutibili in quanto considera familiari:

- le imprese dove il fondatore è l’unico familiare impegnato in azienda, creando quindi confusione tra il concetto di azienda familiare e di azienda imprenditoriale.;

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- le imprese dove i soci non solo legati da legami di parentela o affinità; un azienda di questo tipo può essere considerata familiare se i fondatori hanno coinvolto i coniugi e/o i figli nei processi decisionali.

In definitiva, la definizione proposta dal Family Business Group è condivisibile precisando però che la natura di azienda familiare si acquisisce solo quando il fondatore o i fondatori coinvolgono la famiglia nel processo decisionale.

È importante precisare che la dimensione dell’impresa è una variabile rilevante ma da sola non è indicatore di efficienza. Le capacità di crescita e sviluppo di un’azienda dipende da numerosi altri fattori, quali:

- la capacità dell’imprenditore di creare un network di relazioni in grado di consentire l’accesso a risorse e competenze distintive;

- la capacità dell’azienda di acquisire conoscenze e competenze esterne facendole divenire proprie;

- la corretta gestione del passaggio generazionale;

- l’evoluzione nel rapporto famiglia-imprese e quindi il grado di apertura verso l’esterno.

Un’azienda familiare che intraprende un percorso in questo senso è un’azienda che può passare dalla piccola dimensione ad una dimensione più grande, senza però perdere il carattere di familiarità. Ci riferiamo ad un’azienda che è stata in grado di gestire adeguatamente il passaggio generazionale, inserendo in azienda quei familiari dotati delle giuste competenze e conoscenze idonee a ricoprire determinati ruoli e con una propensione alla leadership e allo spirito innovativo e imprenditoriale. Ma non solo. Ci riferiamo ad un’azienda che non prende decisioni solamente basandosi sulle esperienze passate; accade spesso che l’imprenditore/fondatore sia restio ad ascoltare idee di soggetti terzi estranei alla famiglia e utilizzi come base per prendere le decisioni solo le esperienze e i successi (e gli insuccessi) passati. Una scarsa propensione all’innovazione e allo sviluppo tecnologico è il primo passo falso che un’azienda familiare può fare. Uno spirito conservativo e una riluttanza al cambiamento metteranno quasi sicuramente un’azienda familiare nella condizione di essere esclusa dal mercato.

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Ci riferiamo inoltre ad un’azienda che è stata in grado di far evolvere il rapporto famiglia- impresa e di aprirsi a soggetti esterni. Non di rado un’azienda familiare tende a far ricoprire ruoli rilevanti al suo interno (ad esempio nel CdA e/o nel top management) ai soli membri della famiglia. Questo, oltre a costituire un problema nel momento in cui il familiare non sia in grado di assolvere a determinati compiti per mancanza di esperienza o competenza, accentua il problema se non c’è un organigramma aziendale che specifica le mansioni che ognuno dovrebbe ricoprire, con il rischio quindi di una sovrapposizione di ruoli o di una duplicazione dell’autorità.

I conflitti familiari poi, conseguenza del fenomeno della deriva generazionale e del raffreddamento dei soci32, se non adeguatamente gestiti avranno effetti negativi sulle

performance aziendali e quindi sui risultati conseguiti. Una o più figure esterne, con una visione oggettiva e distaccata su tematiche che possono essere sensibili per la famiglia, costituiscono un valido contributo allo sviluppo e al successo aziendale.

Tutte queste tematiche verranno approfondite nei successivi capitoli. Quello che preme evidenziare in questo momento è il fatto che un’azienda familiare, se non adeguatamente gestita è destinata a rimanere statica, se non addirittura ad involvere. Utile nell’intento di capire il percorso che può intraprendere un’azienda familiare al fine di crescere e svilupparsi, mantenendo però il carattere di family business, è la classificazione di imprese familiari fornita da Gallo33. Tale classificazione, secondo Gallo,

individua i possibili stadi che un’impresa familiare attraversa nel suo processo di crescita. Vediamola nel dettaglio.

1. Impresa familiare del lavoro: caratterizzata, oltre che dalla normale proprietà familiare, dalla numerosità dei membri della famiglia che lavorano nell’impresa. Ci riferiamo alle imprese di prima e seconda generazione.

32 Deriva generazionale: fenomeno a cui un’azienda familiare non può sottrarsi. Consiste nell’aumento del numero dei familiari coinvolti nell’attività d’impresa, con conseguente aumento della complessità aziendale.

Raffreddamento dei soci: è una conseguenza diretta del fenomeno della deriva generazionale. Consiste nell’affievolimento dell’intensità dei legami tra membri della famiglia coinvolti in azienda, i quali non sono legati stretti vincoli di parentela.

33 S. TOMASELLI, Longevità e sviluppo delle imprese familiari. Problemi, strategie e strutture di governo, Giuffrè, Milano, 1996

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2. Impresa familiare di direzione: la famiglia intende mantenere la proprietà dell’impresa, ma dimostra la tendenza a limitare l’ingresso dei membri in azienda a quelli più capaci, destinandoli a ricoprire ruoli manageriali.

3. Impresa familiare di investimento: è evidente la separazione tra il sistema famiglia e il sistema impresa, in quanto il gruppo familiare di comando va solamente a definire le strategie e a controllare gli investimenti.

4. Impresa familiare congiunturale: in questa circostanza la persistenza della continuità familiare è puramente casuale e si denota una maggiore precarietà dell’unione proprietaria familiare.

Questa evoluzione può essere vista come una lenta e graduale trasformazione delle aziende familiari nel tempo, collegata al fenomeno della deriva generazionale.

Il fenomeno della deriva generazionale e la complessità da esso derivante, non comporta di per sé un problema se l’azienda è costituita da una struttura di governance adeguata a gestire tale complessità. Si capisce quindi come la presenza di amministratori esterni possa essere indispensabile non solo per l’integrazione del patrimonio di competenze e conoscenze aziendali con il loro background di esperienze, ma per la loro capacità di rafforzare l’organo di governo (non rendendolo più un solo organo formale in cui le decisioni vengono prese con discussioni e scambi di opinione) e per la capacità di regolare i conflitti tra i familiari, contribuendo quindi a far evolvere il rapporto famiglia-impresa. Difatti, la progressiva professionalizzazione che si manifesta con l’aumento delle dimensioni e l’apertura del capitale di rischio a soci esterni, è una condizione che garantisce il successo delle aziende familiari34.

Druker, ne Il grande cambiamento, enuncia quattro regole fondamentali per governare efficacemente un’azienda familiare35:

1. Costa meno mantenere un parente incapace che metterlo a libro paga in azienda. Questa regola stabilisce che i membri della famiglia non devono assumere un ruolo rilevante in azienda senza competenze almeno di un livello pari a quello degli altri dipendenti. Questo potrebbe creare situazioni di conflitto che spinge i dipendenti validi a lasciare l’azienda.

34 L. ANSELMI, Aziende familiari di successo in Toscana, Franco Angeli, Milano, 2007 35 Ibid. pag. 27

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2. Inserire nei vertici dei consigli di amministrazione top manager esterni (non occorre essere membri della famiglia per governare un’azienda familiare!). Questa regole richiede di assegnare uno dei ruoli di top management ad una persona esterna che non sovrapponga gli affari di famiglia con il business. 3. Aprire il middle management a professionisti esterni. Questa regola prevede

l’affidamento a professionisti esterni di posizioni di responsabilità manageriale, come la gestione delle risorse umane, il marketing, la finanza… che sono funzioni tendenzialmente complesse che difficilmente possono essere ricoperte unicamente dai membri della famiglia.

4. Gestire adeguatamente il ricambio generazionale. Questa regola richiede di gestire in modo adeguato la transizione generazionale nelle funzioni di management.

Un’azienda familiare che rispetta queste regole, conclude lo studioso, è un’azienda in cui la parola chiave non è famiglia, ma azienda. Le aziende che hanno successo sono quelle in cui il conflitto tra il sistema famiglia ed il sistema impresa è risolto a favore di quest’ultima e nelle quali la famiglia tende ad essere sistematicamente distinta dall’azienda36. Il successo di queste aziende, come in ogni altra azienda, deriva dalla

capacità di competere sui mercati, di essere redditizie e di attrarre il consenso degli interlocutori, ed è su queste tre dimensioni che un’azienda è chiamata a valutare il proprio equilibrio.

Un investimento di private equity può dare il giusto stimolo a intraprendere un percorso di crescita e sviluppo come esposto poco fa. L’intervento di un Fondo potrebbe essere utile ad incentivare il raggiungimento di performance aziendali e reddituali e, nell’ intento di raggiungere tale obiettivo, l’azienda sarebbe stimolata ad inserire figure manageriali al suo interno o comunque ad utilizzare strumenti quali sistemi di budgeting e di controllo di gestione (qualora non li utilizzasse), in grado anche di effettuare previsioni future. Parleremo infatti in seguito dell’importanza di pianificare.

Questi sono alcuni dei possibili contribuiti che un fondo di private equity o di private debt sarebbe in grado di fornire. Un’attenta lettura del capitoli successivi renderà più esaustiva la loro comprensione.

36 Ibid, pag.28

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Capitolo secondo

Il mercato del private equity e del private debt: meccanismo e