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Le determinanti che incidono sulla continuità delle imprese familiari: criticità e fattori di sviluppo

3.1. Piccola impresa e longevità aziendale: i fattori che influiscono sulla continuità delle imprese familiar

3.1.2. La corporate governance nelle aziende familiar

La corporate governance intesa come “un complesso di regole, ruoli, relazioni e funzioni che lega i soci, le strutture di vertice e gli altri attori aziendali (gli stakeholder), concorrendo a determinare i caratteri di struttura e di funzionamento delle aziende e, in ultima istanza, le sue performance”58, ha come funzione primaria quella protettiva del

valore aziendale.

57 M. CAMERATA, Il processo di pianificazione economico-aziendale della transazione generazionale nella

PMI, Prospettive e sviluppo in ambito italiano, nell’ottica della competizione sui mercati, nell’era della globalizzazione, Gaia s.r.l., Edizioni Universitarie Romane, Roma, 2012

69 Partendo dal presupposto che non esiste un modello di governance valido per tutte le aziende, ma che questo varia in base alle circostanze che caratterizzano la vita di un’impresa e al modo in cui queste impattano sulla proprietà e sulla forma di governo, una corretta governance aziendale non deve rappresentare in nessun caso un puro adempimento formale, ma deve contribuire al raggiungimento degli obiettivi strategici dell’impresa al fine di rafforzare la sua competitività.

Nelle aziende di tipo familiare il ruolo di protezione del valore aziendale attribuito alla corporate governance si rende indispensabile per il legame che spesso si crea tra la famiglia proprietaria e l’impresa. Questo legame presenta potenzialità sia positive che negative59. Nel primo caso ci riferiamo alla dedizione della famiglia all’azienda e alla sua

conseguente capacità di sopportare sacrifici economici e personali per il bene dell’azienda stessa; nel secondo caso ci riferiamo ad atteggiamenti possessivi, a comportamenti di chiusura di fronte a esigenze aziendali che implicano l’ingresso di nuovi soci e di manager scelti al di fuori della famiglia e alla conseguente confusione tra amministrazione dell’azienda e della famiglia.

Quando si analizzano i meccanismi di governo di un’impresa, sia essa familiare o non, il punto di partenza dell’analisi deve essere l’assetto proprietario. La proprietà rappresenta mediante la forza volitiva e imprenditoriale, la primaria fonte di potere aziendale. Comprendere il ruolo della proprietà nelle imprese familiari aiuta ad interpretare meglio la reale funzione degli organi di governo al suo interno60.

Le aziende familiari italiane presentano una compagine proprietaria molto omogenea e solo di rado il capitale è aperto a soggetti esterni alla famiglia, come investitori istituzionali o investitori privati interessati ad investimenti nel medio-lungo termine. Chiudere l’ingresso nella compagine sociale a soci terzi costituisce un ostacolo alla crescita e allo sviluppo aziendale, obbligando l’impresa a rivolgersi solo a nicchie di mercato, alle volte poco remunerative e non in grado di assicurare la continuità dell’impresa nel tempo.

59 G. CORBETTA, Le aziende familiari, Strategie per il lungo periodo, EGEA, Milano, 2010

60 A. PUGLIESE, Assetti proprietari e meccanismi di governance nelle imprese familiari italiane, ResearchGate, Giugno 2006

70 Tale resistenza si estende anche nei confronti di cariche dirigenziali o di amministratore. Raramente, infatti, le persone vengono scelte in base alle esigenze dell’azienda in termini di competenze, dedizione e capacità di svolgere incarichi imprenditoriali o manageriali, circoscrivendo la scelta, come già detto, ai propri figli o familiari. Nel caso in cui il familiare inserito di azienda vi apporti poco o niente in termini di valore, questa finisce per accollarsi i costi senza ricavarne alcun beneficio61.

Collegata a questa problematica c’è la scarsa managerialità che spesso caratterizza le aziende gestite solo da familiari. L’inserimento di manager esterni, se avviene, è di frequente solo temporaneo ed il loro ruolo si identifica più con quello di consulenti piuttosto che di gestori d’impresa. La motivazione del manager in questione nel trasferire le proprie conoscenze all’azienda, potrebbe essere scarsa data la consapevolezza da parte sua che il rapporto con l’impresa giungerà a termine quando tale trasferimento sarà completato. Al più, un manager esterno inserito con cariche decisionali e gestorie all’interno dell’impresa viene ravvisato in un amico di famiglia o del fondatore, magari che ha partecipato emotivamente alla nascita dell’impresa divenendone poi attore chiave. Anche se il soggetto in questione non ha un legame di sangue con la famiglia, ne viene comunque considerato parte integrante.

Un’azienda familiare che vive una situazione di chiusura sia nei confronti di soci terzi che di manager-amministratori esterni, potrà svilupparsi solo qualora la famiglia abbia possibilità finanziarie e umane in grado di cogliere le opportunità che il mercato offre62.

Sebbene non esista una regola che definisca l’esatto numero di manager familiari e non familiari da inserire in azienda, un’azienda familiare dovrebbe essere in grado di istituire al suo interno il giusto mix di questi soggetti. Ad ogni modo, il processo di inserimento di un manager esterno è possibile solo in seguito del raggiungimento di una certa maturità culturale, in particolar modo da parte dell’imprenditore che deve essere in grado di passare da “operatore diretto” a “leader di un team manageriale”63.

Fino a qui abbiamo fatto riferimento alla riluttanza da parte della famiglia nel voler inserire manager esterni all’interno dell’azienda, attribuendogli la causa della loro

61 A. MEZZADRI, Il passaggio del testimone, Sedici casi di successo in imprese familiari italiane, Franco Angeli, Milano 2012

62 Ibid. pag. 27

71 assenza al suo interno. In alcuni casi però, la loro assenza può essere dovuta al mancato interesse da parte di questi soggetti ad operare in un’azienda familiare. I manager provenienti da aziende multinazionali possono manifestare qualche disagio a lavorare in un’azienda familiare per varie ragioni64:

- faticano a lavorare in un contesto fortemente influenzato dalla presenza di uno o più imprenditori proprietari;

- pretendono una definizione dei confini organizzativi molto precisa e l’imprenditore, a volte, non vuole procedere in tal senso;

- sono abituati ad una divisione del lavoro che prevede la presenza di numerosi collaboratori ai quali delegare molte attività operative;

- non accettano di essere valutati solo in base alla redditività annuale, ma anche nelle loro capacità di portare a compimento impegnativi processi di sviluppo e creazione di valore;

- si trovano coinvolti in dinamiche relazionali tra familiari che possono avere un impatto negativo sulle proprie performance.

Il processo di inserimento di un manager esterno è pertanto possibile solo in seguito all’accrescimento della dimensione aziendale, ad un cambiamento culturale dell’imprenditore in prima persona, ma che deve essere trasmetto all’intera organizzazione e ad un cambiamento delle strutture organizzative. Le strutture organizzative delle imprese familiari sono in genere poco formalizzato o presentano elementi di discordanza tra forma e sostanza. Una simile gestione rischia di compromettere la continuità aziendale nel caso in cui l’imprenditore, per qualsiasi motivo, dovesse venir meno, o comunque può causare forti rallentamenti al processo di maturazione dell’organizzazione.

Fino a qui parlando dei ruoli direttivi e gestori ricoperti da soggetti estranei alla famiglia, abbiamo fatto riferimento ai soli manager aziendali. Sebbene ogni manager assunto all’interno di un’impresa non è detto che rivesta anche il ruolo di amministratore nel consiglio di amministrazione, è giusto ricordare che molti o comunque alcuni di questi

64 Ibid. pag. 135

72 potrebbero risiedere al suo interno insieme ai soci familiari o ad altri membri della famiglia nominati dall’assemblea dei soci.

Andiamo per gradi e cerchiamo di capire le diverse composizioni che può assumere il consiglio di amministrazione di un’azienda familiare.

Le aziende familiari, in particolar modo quelle di piccole dimensioni, hanno un consiglio di amministrazione in cui c’è piena sovrapposizione tra i suoi membri e i soci familiari. Questa configurazione può essere “raccomandabile” in un’impresa alle prime fasi del ciclo di vita aziendale, quando i fondatori sono più focalizzati sul costruire l’attività piuttosto che sul gestire l’impresa e l’adozione di un consiglio di amministrazione più articolato potrebbe portare più costi che benefici.

Una composizione più articolata vede un consiglio di amministrazione composto dai membri della famiglia proprietaria, ovvero: i soci fondatori, prima di cedere completamente ai figli le quote di partecipazione, e quindi prima che il processo di ricambio generazionale si concluda, decidono di attribuirgli maggiore responsabilità conferendogli un ruolo all’interno di questo organo. Si tratta pur sempre di una situazione in cui le decisioni strategiche e operative sono rimesse ai soli familiari con il rischio che le decisioni di governo d’azienda non vengano prese in modo corretto in quanto la capacità di giudizio potrebbe essere influenzata dalla stessa parentela; in altre parole la capacità di giudizio è influenzata da legami affettivi o dal non voler creare tensioni e discussioni che potrebbero ripercuotersi a livello familiare.

Le aziende familiari che decidono di aprire la capacità decisionale all’esterno hanno maggiore probabilità di successo nel lungo periodo. Esse inseriscono all’interno del consiglio di amministrazione amministratori non appartenenti al nucleo familiare apportando numerosi vantaggi all’organo di governo65: in primo luogo si vanno ad

attrarre nuove competenze, risorse e punti di vista che possono arricchire la visione dell’azienda di famiglia; in secondo luogo rafforzano il ruolo dell’organo gestorio evitando che questo sia un puro adempimento formale. Inoltre, un soggetto esterno apporta un valido contributo alla gestione dei rapporti famiglia-impresa svolgendo il ruolo di intermediario nel caso di conflitti tra i familiari. Tale ruolo ha un’importanza

73 particolare laddove eventuali conflitti tra soci possono incidere negativamente sulle performance aziendali e sulle scelte di gestione.

L’inserimento di questi soggetti alle volte è limitato a consiglieri di cui l’imprenditore “si fida”, come il commercialista di famiglia, l’avvocato o altri consulenti, che sebbene sulla carta potrebbero far apparire il consiglio di amministrazione “ben composto”, in realtà è probabile in questi casi che l’autorità decisionale resti comunque nelle mani del fondatore o dei suoi familiari, per quanto questi ultimi potrebbero non essere formalmente amministratori delegati.

L’inserimento di soggetti esterni alla famiglia non dovrebbe essere limitato ai soli consiglieri di fiducia ma dovrebbe estendersi anche a persone che non hanno alcun legame con l’imprenditore o con soggetti legati all’azienda e definiti per tal motivo indipendenti.

Il concetto di indipendenza è un tema centrale della governance aziendale. Si definisce indipendente secondo il codice di autodisciplina66 l’amministratore che non intrattiene, né ha di recente intrattenuto, neppure indirettamente, con l’emittente o con soggetti legati all’emittente, relazioni tali da condizionarne attualmente l’autonomia di giudizio (art. 3 – 3.P.1).

Si capisce quindi che l’amministratore indipendente è un amministratore esterno che non ha alcun incarico direttivo all’interno dell’azienda (non ha alcun ruolo manageriale) e non avendo alcun tipo di legame con l’azienda e con i soggetti coinvolti al suo interno sarà in grado di esprimere un giudizio in modo distaccato ed oggettivo e di prendere decisioni autonomamente senza subire influenza alcuna.

66Il codice di autodisciplina è stato emanato per la prima volta nel 1999 e successivamente rivisitato nel 2002; la sua ultima versione risale a dicembre 2011.

Non è una legge né un regolamento ed infatti il mancato rispetto di quanto riportato al suo interno non comporta sanzioni. Si rivolge principalmente alle società quotate sebbene l’adesione alle sue best practice è raccomandabile ad ogni azienda.

Si basa su adesione volontaria e sul principio del “comply or explain” (adeguati o spiega). L’azienda che non si vuole adeguare al codice di autodisciplina perché la sua situazione non si adatta alle best practice, deve semplicemente dare una motivazione che l’ha indotte a non aderire, totalmente o parzialmente, alle raccomandazioni contenute nel codice. La spiegazione è rivolta agli investitori o agli stakeholder in generale (principalmente analisti finanziari e risparmiatori).

74 La presenza di amministratori indipendenti è generalmente circoscritta alle imprese quotate nei mercati finanziari. Date le sue peculiarità è chiaro che il suo contributo è utile, se non essenziale, anche nelle aziende di tipo familiare (quotate o meno) dove il processo decisionale può essere influenzato dai legami di sangue tra i membri della stessa famiglia. Infatti, un amministratore indipendente all’interno di un’azienda familiare67:

- stimola il senso di autodisciplina e di responsabilità del capo azienda e del management, a monitorare il management, a favorire l’introduzione di strumenti di reporting più sofisticati, rigorosi e collegati alle performance manageriali, a vigilare sui conflitti di interesse e a proteggere gli interessi delle minoranze;

- dal punto di vista strategico apporta esperienze e competenze a integrazione del patrimonio di conoscenze dell’impresa;

- gestisce le relazioni con altri portatori di interesse nei confronti dell’impresa; - favorisce una corretta impostazione dei rapporti famiglia-impresa.

Riguardo a quest’ultima prospettiva, essi possono favorire una gestione non orientata all’emotività quanto, invece, alla professionalità, soprattutto laddove emergono tensioni tra i familiari soci, gestori o non gestori, di una stessa generazione o di generazioni diverse.

Il corretto funzionamento del consiglio di amministrazione è funzionale allo sviluppo nel lungo termine dell’impresa. Il timore di perdere il controllo dell’azienda e la paura che informazioni confidenziali possano essere diffuse a terzi da parte dei consiglieri esterni fa sì che la principale tipologia di consiglio di amministrazione utilizzato sia quello composto solo da familiari o al più da persone di fiducia. Si evince quindi un clima di avversione al rischio da parte della famiglia nell’aprirsi nei confronti di soggetti esterni, avversione che, vedremo nel prossimo paragrafo, si estende anche ad altre situazioni. Una governance evoluta, inoltre, comporta costi addizionali e maggiore formalità a cui gli imprenditori non sempre vogliono sottoporsi. Avere un consiglio di amministrazione composto coerentemente con la complessità dello scenario in cui l’impresa intende

75 agire, nonché con la disponibilità della famiglia ad ascoltare i pareri altrui è il primo passo per ottenere una governance adeguata68.