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L‟azione nella narrazione: il ruolo dei personaggi nell‟entrelacement

2. Il punto sull‟entrelacement

2.4 L‟azione nella narrazione: il ruolo dei personaggi nell‟entrelacement

Si è visto come gli indicatori di trapasso fungano sia da elementi di divisione tra segmenti contigui sia da elementi connettivi tra segmenti collocati a distanza anche considerevole. Tuttavia Pampaloni richiama l‟attenzione anche sul ruolo svolto dai personaggi nella coesione di un‟opera. È infatti evidente che tutti i personaggi agiscono in funzione della trama, definendosi nella loro fisionomia attraverso le azioni che compiono e determinando lo sviluppo dinamico della storia attraverso le loro pulsioni interiori, opportunamente esplicitate. I personaggi principali (nella fattispecie, Perceval, Gauvain e Sagremor), essendo deputati allo sviluppo delle grandi unità drammatiche, presentano una maggiore complessità nella rispettiva caratterizzazione (Pampaloni 1971, p. 146). D‟altra parte, si nota la tendenza ad abbandonare precocemente i personaggi e gli sviluppi narrativi avvertiti come secondari, destinati a fare qualche sporadica quanto fugace comparsa, adducendo a giustificazione di non voler procurare noia al lettore o prolungare inutilmente la narrazione (Delcorno Branca 1973, p. 22).

Altre formule tipiche del romanzo arturiano in prosa, ma riscontrabili altresì nella Terza Continuazione, servono a richiamare l‟attenzione su di una nuova avventura che si sta profilando o a preparare la strada a una prossima agnizione, svelando l‟identità di un personaggio presentato come sconosciuto in un primo momento. In particolare, nel primo caso si dice che il protagonista in questione errò a lungo senza trovare avventure di sorta o fare incontri, prima di annunciare l‟arrivo o la sosta del cavaliere in un luogo strategico che promette dell‟azione (Delcorno Branca 1973, p.

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52). Cifra caratteristica del romanzo arturiano, il peregrinare assume un‟importanza del tutto inedita, in primo luogo ai fini della narrazione, che risulta improntata a un‟intrinseca linearità:

Les chevauchées des personnages opèrent un balisage strict, marqué par le syntagme parfaitement banal et anodin s’en va, parfois relayé par la mention du congé pris et de l‟action de monter en selle, en ancient français monter. […] La formule anodine et passe-partout du type il chevaucha ou erra (ou tout autre verbe de mouvement) tant que… accomplit cette joction aisée dans l‟espace et dans le temps (James-Raoul 2007, pp. 300-2).

Si tratta di un modo per dare conto del trascorrere del tempo e della distanza, infondendo all‟invenzione letteraria l‟idea prospettica di un paesaggio, benché tale proposito non appaia suffragato da una precisa volontà descrittiva. Ad ogni modo, l‟enumerazione dei diversi luoghi («…en co-occurrence avec des verbes de mouvement ou des adverbes, des prépositions indiquant une entrée ou une sortie tels entrer ou eissir, fors») concorre a restituire, almeno nel complesso, un quadro meno astratto. In secondo luogo, il moto dell‟eroe si carica di nuovi significati, tra cui quello di un cammino interiore e strettamente personale (James-Raoul 2007, pp. 298-302).

Per quanto concerne l‟agnizione, essa consiste nel riconoscimento dell‟identità di un personaggio in seguito alla somministrazione di una prova (un duello), il cui superamento ne consente il ritorno e la conseguente riammissione nel gruppo dei virtuosi, con la conseguente trasformazione in alleato di quello che era stato introdotto in precedenza come un antagonista non meglio identificato (Dalla Palma 1984, pp. 44, 176). In Chrétien, molti personaggi menzionati, inizialmente anonimi, finiscono per ricevere un nome proprio o, in sostituzione, una descrizione che li identifichi con precisione, fungendo spesso da rinvio alle loro origini o alla loro provenienza. Secondo la definizione fornita da Danièle James-Raoul, si tratta di «une étape décisive dans la mise en place de l‟effet-personnage et en même temps dans l‟avancement du tissage textuel». Questo processo, secondo cui la denominazione iniziale cede il passo al nome, avviene secondo tre modalità narrative consolidate: la prima prevede che la designazione per mezzo del nome intervenga subito nel processo della presentazione; la seconda prescrive che il nome si dia una volta che è stata fatta conoscenza, ma secondando la progressione logica della narrazione; la terza strategia invece implica che il nome sia taciuto, sicché tale reticenza, percepita come anomala, finisce per catturare l‟attenzione e creare un effetto di suspense. Nel primo e nel secondo caso, il nome detiene un valore demarcativo all‟interno della narrazione; nel terzo caso, invece, l‟indeterminatezza ingenera delle attese, incrementando di pari passo la tensione drammatica. Nel primo caso, l‟immediatezza dell‟anafora fornisce dei punti di riferimento alla storia, secondo una logica di linearità e di continuità; nel secondo e nel terzo caso, la catena anaforica concorre a costruire gradualmente un

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personaggio che è già in azione, facendo leva sulla memoria e sulle attese del pubblico (James- Raoul 2007, pp. 336-7).

In questa sede anzitutto ci si soffermerà a dare conto dei luoghi della Terza Continuazione in cui compaiono delle transizioni all‟episodio seguente, segnalate esplicitamente dall‟autore: mi riferisco certamente alla fine e all‟inizio di ciascun episodio, quando all‟interruzione di una storia, giunta a una battuta di arresto, corrisponde l‟avvio o la ripresa di un‟altra, non di rado accompagnata da un riassunto esplicativo utile a fare il punto della situazione. Formulando i suoi rilievi sulle situazioni narrative che accompagnano le transizioni nei romanzi arturiani, Pio Rajna aveva spiegato come vi fosse interruzione di un segmento e conseguente alternanza precisamente nei punti in cui l‟azione conosceva un momento di sosta o quando la storia, divenuta meno avvincente a seguito dell‟allentamento della tensione narrativa, cominciava a perdere sensibilmente attrattiva. Ad ogni modo, il fatto di mutare soggetto con una certa frequenza risponde a una necessità ineludibile proprio perché costitutiva dei romanzi della Tavola Rotonda, poiché è la molteplicità attanziale in essi coinvolta a esigere inevitabilmente un frazionamento del racconto, che assurge così a principio compositivo. Come avverte Pio Rajna, «Non c‟è arte la quale possa far camminare parallele parecchie azioni slegate, senza prenderle ad una ad una, e ad una ad una condurle innanzi per un tratto di via». Tuttavia, per questo genere di romanzi, rimane ferma la possibilità che le numerose fila, essendo divise nettamente l‟una dall‟altra, si ricongiungano o confluiscano momentaneamente, attraverso l‟espediente di un incontro per via o in occasione di un torneo o di una riunione della corte indetti da Artù (Rajna 1975, pp. 143-4).

Vedremo dunque che in genere una storia si ferma perché il personaggio su cui essa è incentrata è impossibilitato ad autodeterminarsi combattendo, ossia ad esternare la sua funzione – non va infatti dimenticato che sono le azioni che egli compie, sotto l‟influsso di varie circostanze, a caratterizzarlo – oppure a seguito di un moto di allontanamento, per il quale ci si attende più avanti uno svolgimento in certa misura prevedibile. Tale moto sembra rientrare in una delle tre situazioni narrative individuate da Dalla Palma: precisamente, quella «situazione che, pur non presentando dei pericoli o delle assenze d‟identità10

, si può definire genericamente aperta» (Dalla Palma 1984, p. 19).

Considerando invece il rilievo che l‟azione assume nella narrazione, non sarà superfluo sottoporre gli snodi più importanti a un‟analisi improntata alla definizione dei ruoli svolti dai vari personaggi, adottando a tale scopo le fondamentali premesse logiche teorizzate da Claude Bremond. Nell‟intraprendere un‟analisi narratologica di questo tipo sarà necessario tuttavia conciliare due

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La presenza di un pericolo e l‟assenza di un‟identità costituiscono, nella fattispecie, le due precedenti situazioni narrative che Dalla Palma ha individuato.

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istanze, espresse dallo stesso autore, prevalenti rispettivamente nella Logica dei possibili narrativi del 1966 e nella Logica del racconto del 1973: se in un primo momento si tratta di ricondurre determinati processi (afferenti a due tipi generali: il miglioramento da ottenere e il peggioramento prevedibile) al ruolo appropriato, individuato dalla sua incidenza sul racconto, successivamente invece il personaggio stesso è agente oppure oggetto del processo, a seconda che operi una modificazione o ne subisca l‟effetto. Nel passaggio da un‟opera all‟altra, si ricava pertanto l‟impressione di un‟insistenza marcata più sui ruoli che sul récit, che in questo modo viene a configurarsi come una concatenazione di ruoli11. Ecco dunque che l‟attenzione di Bremond è posta alla definizione dei ruoli possibili, ripartiti in due grandi categorie, quella di paziente e quella di agente. Segre tuttavia non può esimersi dal constatare come in ultima analisi prevalga sui ruoli il processo, essendo il rapporto con le persone (agente e paziente) un mezzo per definire il processo e stabilirne l‟eventuale volontarietà. Ancora, Segre insiste sulla necessità di ribaltare i rapporti tra personaggio e azioni: a suo avviso, un‟azione è rilevante nella misura in cui è rappresentativa del carattere e della volitività di un personaggio, il quale ha in sé la ragione dei propri moventi e delle proprie potenzialità, nonché la facoltà di unificare le funzioni che gli sono pertinenti (Segre 1974, pp. 36, 43-6). Tuttavia, tale indicazione deve tenere debitamente conto di quel processo di «tipizzazione» che investe l‟universo letterario dei personaggi, per la caratterizzazione dei quali si rivela senz‟altro più opportuna una valutazione che abbia ad oggetto i rapporti semantici che intercorrono tra segmenti contigui e distanti (Dalla Palma 1984, pp. 24-5). Soltanto in un momento successivo all‟analisi funzionale dell‟intreccio, vale a dire una volta indagati i rapporti narrativi, sarà possibile passare a considerare gli eroi, riconducendoli perlomeno ai tipi corrispondenti (Dalla Palma 1984, pp. 12-3).

Segre suggerisce di tentare una rappresentazione dei rapporti tra i personaggi, ciascuno dei quali deve essere in un primo momento considerato di per sé, e solo successivamente messo in relazione con le fasi del racconto, per verificare l‟intervento di eventuali modificazioni. Interrogatosi in merito alla validità delle sequenze come indicatori, Segre insiste infine sulla necessità di non limitarsi alla logica delle funzioni, allegando un‟esortazione a risalire alle cause, a ricercare le costanti narrative nella singola opera, ma a non tralasciare quanto di essa appare distintivo perlomeno sul piano contenutistico (Segre 1974, p. 67).

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