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L‟espressione della pluralità d‟azione

2. Il punto sull‟entrelacement

2.1 L‟espressione della pluralità d‟azione

È noto che la rima, ancorché si presenti prevedibile o addirittura scontata, è solita produrre una pausa nel ritmo di lettura. All‟interno di un romanzo in versi ciascun distico di ottosillabi costituisce un‟unità a sé, sia sul piano visivo sia sul piano semantico (sens) e contenutistico (matière), sottoponendo il testo a una scansione regolare e decretandone a priori una durata fondata sulla parcellizzazione (Baumgartner 1994, pp. 63-4)1. La lettura di un romanzo in versi, da un manoscritto o da un‟edizione moderna, assecondava un ritmo regolare, obbligato dalla mise en page (Baumgartner 1994, p. 96).

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Baumgartner 1994, pp. 63-4: «une durée fragmentée, et regulièrement fragmentée, suspendue par la fin de ligne/de vers, et qui repart chaque fois à zero avec la majuscule (souvent dissociée du corps du mot) qui inaugure le vers suivant».

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Quanto all‟orizzonte d‟attesa connaturato alla versificazione dei romanzi arturiani databili tra il XII e il XIII, non si può ignorare che, all‟interno dello stesso testo o, più in generale, nell‟ambito dell‟intertestualità del genere romanzesco, siano solite ricorrere coppie identiche di parole in rima. Si tratta di un fatto a ben vedere inevitabile, se si considera che esso riguarda testi che condividono la tematica e le tecniche narrative in essi dispiegate e che presentano, nella maggior parte dei casi, un‟estensione considerevole. Queste rime possono essere banali e scontate, ma se ne possono rilevare anche d‟altro genere, la cui reiterazione sembra in certa misura dettata da una convenzione tesa a unire il senso delle parole rimanti a quello del testo nel suo complesso (Baumgartner 1994, pp. 49-50).

Il passaggio alla forma prosastica avvenne sotto la pressione di diverse istanze, tra le quali figura anzitutto una corrente di pensiero che all‟inizio del secolo XIII definì la prosa come l‟unica modalità idonea a riferire la verità, stigmatizzando di conseguenza il verso come mendace, in quanto vincolato (Baumgartner 1994, p. 83).

Riflettendo sulla selezione delle modalità espositive in relazione ai contenuti trattati, Erich Köhler osservava come il mantenimento della versificazione da parte dei successori di Chrétien producesse effetti assai diversi rispetto all‟impiego originario: anzitutto, si trae l‟impressione generale che esso costituisca una scelta anacronistica sia sul piano stilistico sia sul piano storico, in quanto al romanzo arturiano è richiesto ormai l‟impiego della prosa, molto più adatta a rendere l‟idea di pluralità che ne permea l‟intera struttura. La forma stilistica del romanzo cortese in ottosillabi, così come viene impiegata da Chrétien, era riuscita a conciliare due esigenze complementari: da un lato appare suscettibile di nuove immissioni, dall‟altro è comprensiva di un ventaglio di potenzialità che coincidono con l‟aventure, la quale racchiude in sé l‟idea di un potenziale avanzamento, ma esclude a priori il raggiungimento definitivo dell‟esito sperato, limitandosi a rinnovarsi di volta in volta. È proprio il tema del Graal a richiedere nuove forme letterarie in virtù della pluralità dei soggetti implicati. Nelle opere degli epigoni di Chrétien si assiste al passaggio a una nuova forma di individualità – nella misura in cui l‟individuo si pone a fondamento della pluralità – che in effetti necessiterebbe della forma prosastica, di gran lunga più confacente alla nuova tecnica compositiva, il cui avvento risulta in qualche modo anticipato dall‟indispensabile ricorso all‟entrelacement. Il principio per cui nella narrazione si produce l‟interruzione di un‟azione e si passa poi a considerarne un‟altra si dimostra particolarmente adatto a percorrere la totalità cui ambisce idealmente il romanzo e a tenerne uniti gli innumerevoli fili, seppur assoggettati a una medesima idea di fondo, che è costituita dal tema del Graal (Köhler 1970, pp. 350-1).

Un‟analisi relativa all‟impiego dell‟entrelacement consente una comprensione senz‟altro più penetrante della narrativa francese medievale nei suoi caratteri strutturali e stilistici (Delcorno

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Branca 1973, p. 12). Modalità narrativa di ascendenza medievale e propria del romanzo cavalleresco nel momento in cui godette della massima fortuna, l‟entrelacement è alla base della struttura «acentrica» e aperta che lo contraddistingue e che fa apparire la sua narrazione, pur sottoposta ad accurata pianificazione, un vero e proprio labirinto di avventure (Delcorno Branca 1973, pp. 15-6). Tuttavia questa idea si presta a incorrere in facili fraintendimenti: ecco perché sarebbe appropriato chiarire come le innumerevoli potenzialità comportate dalla logica dell‟entrelacement non debbano essere intese come sinonimo di una discrezionalità tout court o di pura aleatorietà nel procedere (Ferroni 2008, p. 143).

L‟entrelacement si presenta come una delle caratteristiche fondamentali proprie del romanzo arturiano in prosa, di cui è spia la celeberrima formula situata in apertura di capitolo “or dist li contes”. Bisogna tuttavia osservare che esso costituisce l‟adattamento, o meglio, il perfezionamento di una tecnica inaugurata da Chrétien. Già dall‟Yvain al Lancelot è possibile rilevare un parallelismo tra la durata delle avventure di Yvain e di Gauvain, mentre il procedimento dell‟alternanza fa la propria comparsa con il Perceval: in esso si nota come al vuoto di memoria dell‟eroe della durata di cinque anni corrispondano le avventure facenti capo a Gauvain (vv. 4816- 6213)2. Con il Lancelot e il Perlesvaus l‟entrelacement assurge a costante del romanzo arturiano in prosa. Quest‟ultimo appare costituito dalle avventure di vari cavalieri che, figurando disposte lungo il medesimo segmento temporale, si presentano a loro volta interrelate: ciascuna di esse si interrompe in momenti determinanti, per poi giungere a intersezione con un‟altra vicenda, cui fanno naturalmente capo altri personaggi. Sono in particolar modo i personaggi, infatti, a subire l‟influsso dell‟entrelacement, giacché esso, imprimendo un determinato ordine progressivo alle vicende che li riguardano, ne definisce la gerarchia, operando precisamente sul piano del senso. Si comprende perciò come l‟effetto principale sortito da questa tecnica consista nel generare un senso di attesa all‟interno della narrazione e, segnatamente, di restituire una prospettiva pluralista e simultanea che permetta di cogliere l‟illimitato universo romanzesco nella totalità delle sue componenti. Sostituendosi a uno svolgimento temporale propriamente lineare, l‟entrelacement sostanzia la

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vv. 6217-38: «PERCHEVAX, ce conte l‟estoire, / A si perdue la miemoire / Que de Dieu ne li sovient mais. / .V. fois passa avriels et mais, / Ce sont .v. an trestot entier, / Ains que il entrast en mostier, / Ne Dieu ne sa crois n‟aora. / Tot einsi .v. ans demora, / Ne por che ne laissa il mie / A requerre chevalerie; / Et les estranges aventures, / Les felenesses et les dures, / Aloit querant, et s‟en trova / Tant que molt bien s‟i esprova, / [N‟onques n‟emprist chose si grief / Dont il ne venist bien a chief]. / Soissante chevaliers de pris / A la cort le roi Artu pris / Dedens les .v. ans envoia. / Ensi les .v. ans emploia / N‟onques de Dieu ne li sovint, / Et au chief des .v. ans avint…» (Le Roman de Perceval ou Le Conte du

Graal, pp. 263-4. «Perceval, racconta la storia, ha perso la memoria a tal punto da non ricordarsi più di Dio. Cinque

volte passarono aprile e maggio, [sono] cinque anni tutti interi, senza che egli entrasse [mai] in chiesa, e non adorò né Dio né la sua croce. Così trascorse tutti i cinque anni, ma non per questo egli abbandonò il proposito di divenire cavaliere; e le strane avventure, quelle insidiose e quelle dure, andava cercando, e ne trovò tante con le quali si mise bene alla prova, [mai si cimentò in un‟impresa tanto ardua della quale non venisse felicemente a capo]. Sessanta valorosi cavalieri inviò come prigionieri alla corte di re Artù nel corso di quei cinque anni. Così impiegò i cinque anni e mai gli sovvenne di Dio, e al termine dei cinque anni accadde…»).

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dimensione temporale propria della narrazione e le infonde uno spessore, avvalendosi a tale scopo delle fila facenti capo ai vari personaggi (Baumgartner 1994, pp. 103-4). Ecco dunque che la continuità e la linearità risultano compromesse nella misura in cui si cerca di ovviare agli inconvenienti comportati dalla crescente complessità diegetica che impone frequenti e sistematici stacchi narrativi e un‟azione concretamente frammentata in una successione di episodi lasciati in sospeso. A questo proposito, James-Raoul parla di «une esthétique de la disjonction, de la rupture» che si affianca a «une esthétique de la proportio» specificamente connaturata al modus scribendi medievale. Introdotto per la prima volta nell‟ultimo romanzo di Chrétien, l‟entrelacement viene perfezionato nel secolo seguente con i romanzi in prosa e le cronache, verosimilmente come effetto del progresso della lettura silenziosa (James-Raoul 2007, pp. 542-3).

A un lettore dei romanzi francesi del XIII secolo appariva perfettamente comprensibile lo snodo del tessuto evenemenziale, in quanto la narrazione era esemplata su un modello cronachistico, all‟insegna di una «temporalità oggettiva» puntualmente scandita dall‟esplicita enunciazione delle determinazioni temporali. In questo modo al lettore è dato di stabilire la cronologia di un‟avventura pluriarticolata, grazie al cosiddetto «punto d‟ancoraggio» (Praloran 1999, p. 7) che lega le varie storie, nonché di prevedere, seppur con un certo grado di approssimazione, il momento in cui verrà ripreso il filo della narrazione in precedenza interrotta (Praloran 1999, p. 10).

In particolare, questo procedimento narrativo si addice bene a un‟opera come la Terza Continuazione, in virtù del meccanismo, osservabile già dall‟esordio in medias res, del riprendere le fila lasciate in sospeso dalla precedente continuazione, non mancando tuttavia di cogliere in essa, come nelle opere precedenti, i nodi insoluti alla maniera di spunti da svolgere e sviluppare al momento opportuno e in maniera del tutto autonoma. A questo proposito, risulta appropriata l‟osservazione formulata da Daniela Delcorno Branca che questo modo di riprendere e sviluppare ciò che è stato precedentemente narrato, in maniera esplicita o allusiva, e d‟illustrare nel contempo una virtualità di nuove prospettive, faccia sì che un racconto siffatto si situi «in una prospettiva ciclica, in qualche modo dipendente da quanto altri hanno già narrato e continuamente suscettibile di nuove diramazioni» (Delcorno Branca 1973, p. 22). A corroborare questa tesi interviene un ulteriore fattore, che sarà esaminato nel dettaglio in seguito con il nome di „alternanza tematica‟: tra i passaggi più tradizionali ed eminentemente pragmatici della narrazione rientrano quelli segnalati e annunciati dall‟autore stesso, funzionali a sottolineare una transizione da una scena all‟altra, e perciò sentiti altamente necessari in un contesto ciclico affinché si sviluppino diverse azioni destinate a intrecciarsi. Non è superfluo ricordare come spesso a tali passaggi sia associata la promessa di seguitare la storia interrotta in un secondo momento (Delcorno Branca 1973, p. 32).

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Nell‟analisi condotta da Pio Rajna sulle chiuse e gli esordi dei canti dell‟Orlando furioso si possono ricavare alcune importanti indicazioni d‟ordine metodologico che tornano utili per spiegare il funzionamento dell‟entrelacement nella Terza Continuazione. Innanzitutto, le chiuse e gli esordi sono i luoghi in cui gli autori annunciano di intendere concedere una pausa a se stessi e agli altri. Nella Terza Continuazione si può osservare una prassi analoga a quella impiegata dai rimatori popolari, i quali erano soliti chiudere alludendo al seguito del racconto, sebbene sussista una sostanziale differenza che consiste precisamente nell‟assenza, in Manessier, della formula di raccomandazione a Dio o ai santi di sé e del pubblico. Tuttavia tale forma di commiato e soprattutto l‟annuncio del prosieguo sono opzionali (Rajna 1975, p. 96).

Manessier immagina di recitare dinanzi a un pubblico: opta per seguire un altro filo, talvolta riassume o accelera la narrazione per evitare di annoiare gli ascoltatori, annuncia la continuazione dell‟episodio in un tempo più o meno prossimo. Più interessante si configura il discorso sugli esordi: se al commiato si abbina di solito un preavviso, nell‟invocazione è spesso presente un richiamo relativo al punto in cui la narrazione si era interrotta e inteso a riagganciare il racconto con il suo precedente. Nella Terza Continuazione si hanno perlopiù esordi costituiti dal solo richiamo degli eventi anteriori, i quali possono situarsi nell‟episodio immediatamente precedente o in chiusa di episodi sì precedenti, ma collocati ancor più indietro nella scansione narrativa. Per questi ultimi, in particolare, si pone con maggior urgenza la necessità di un riepilogo dei fatti accaduti per l‟ovvio motivo della più o meno considerevole distanza intercorsa dall‟interruzione della vicenda. All‟invocazione seguono spesso dei riferimenti temporali relativi alla vicenda narrata, funzionali a circostanziare l‟avvenimento di cui si dice in un‟ora del giorno, un mese o una stagione dell‟anno, anche se poi il processo dei fatti non sembra affatto collimare con la successione temporale dichiarata (Rajna 1975, p. 99). Nella sua trattazione Pio Rajna rammentava che l‟uso di incominciare un episodio ricordando costantemente la conclusione dell‟episodio precedente poteva risultare sgradevole agli uditori, mentre riprendere il racconto come se non fosse mai stato interrotto poteva nuocere al significato sotteso alla scansione episodica, la quale doveva verosimilmente rispecchiare un‟interruzione reale della recitazione davanti a un pubblico (Rajna 1975, p. 102).