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Il cronotopo: tempo d‟avventura e mondo prodigioso

5. Tempo e spazio nel romanzo arturiano

5.1 Il cronotopo: tempo d‟avventura e mondo prodigioso

Si può certamente concordare con Segre sul fatto che la parabola del romanzo occidentale delineata da Michail Bachtin presenti un vuoto in corrispondenza del romanzo medievale (Köhler 1985, p. IX). Malgrado ciò, l‟opera Estetica e romanzo è particolarmente utile per la definizione di cronotopo, vale a dire «l‟interconnessione sostanziale dei rapporti temporali e spaziali», nella sua accezione letteraria. Sottolineando l‟importanza di questo concetto, che la teoria della letteratura ha mutuato dalle scienze matematiche, Bachtin ne parla come «categoria che riguarda la forma e il contenuto della letteratura». In esso – sostiene Bachtin – avviene la corrispondenza delle coordinate spaziali e temporali in un tutt‟uno «dotato di senso e di concretezza» (Bachtin 1979, p. 231), in cui entrambe le dimensioni assumono il massimo rilievo, traendo forza e senso l‟una dall‟altra in virtù della loro compenetrazione. Affermando come il cronotopo determini il genere letterario, Bachtin passa a enunciare l‟assioma per cui «il principio guida del cronotopo letterario è il tempo» (Bachtin 1979, p. 232).

Analizzando le specificità del tempo e del cronotopo nel romanzo cavalleresco, Bachtin rileva come in esso domini il cosiddetto «tempo d‟avventura», soprattutto di tipo greco, benché in taluni casi si osservi una maggior aderenza alla tipologia propria del «romanzo di avventure e di costume» di ascendenza apuleiana. Il tempo appare parcellizzato in una serie di segmenti di avventure e presenta con lo spazio un nesso puramente tecnico e astratto, massimamente funzionale alle dislocazioni, ai moti di convergenza e di divergenza intrapresi dai personaggi. Anche il cronotopo è analogo a quello greco, in quanto presenta un mondo “altro”, non di rado ostile, e piuttosto astratto. Tuttavia il tempo d‟avventura dei romanzi cavallereschi possiede le sue peculiarità innovative. Anzitutto, esso ammette regolarmente l‟immissione della casualità, eletta a categoria, in quanto questo tempo dell‟«a un tratto», secondo la felice denominazione bachtiniana, si produce laddove la regolarità evenemenziale si spezza, imprimendo una svolta inattesa. Nei romanzi cortesi il tempo dell‟a un tratto arriva a costituire la norma, pertanto si generalizza fino a prodursi con una ricorrenza alquanto abituale. I protagonisti del romanzo cortese paiono muoversi perfettamente a proprio agio e in maniera disinteressata in un mondo all‟insegna dell‟imprevisto e del mistero. Del resto, non potrebbe essere altrimenti: è noto infatti che, in ragione della loro stessa natura, i protagonisti traggono il senso della propria identità misurandosi costantemente con le prove in cui si imbattono. Da questo deriva l‟abbondanza di momenti in cui l‟idea di identità risulta centrale: è questa la casistica cui vanno ricondotte morti presunte, effettive o mancate agnizioni e il mutamento di un

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nome in un altro. Diversamente da ciò che accade nel romanzo greco, nei romanzi cortesi e cavallereschi il caso si concreta addirittura personificandosi nei vari individui che compongono la serie di avventure. A proposito dei protagonisti del romanzo cavalleresco, Bachtin fa notare come costoro siano individuali e nel contempo rappresentativi del mondo prodigioso in cui si aggirano: se da un lato ciascun personaggio appare individuato da tratti distintivi e conosce un destino diverso dagli altri, dall‟altro questi sembra porsi in luogo del mondo dal quale promana e con il quale forma un‟unità sostanziale. Non sfugge come lo spazio si presenti nel suo complesso uniforme: persino laddove esso costituisca un‟indiscussa minaccia per il cavaliere, non cessano di vigere i valori tanto cari all‟etica cortese. Lungo questo spazio il cavaliere si muove all‟insegna di una duplicità motivazionale, vale a dire alla ricerca continua di ardue imprese che gli consentano di ottenere gloria per sé e in nome del proprio signore (di qui la joie che a corte accompagna la ricezione di notizie sui trionfi riportati dall‟eroe errante). Inoltre tali personaggi non compaiono una tantum in un singolo romanzo, bensì popolano interi cicli e l‟immaginario comune e sovranazionale. Accanto al «tempo d‟avventura» si colloca così il «mondo prodigioso», fortemente permeato di simbolismo. Altrettanto prodigioso si qualifica il tempo, seppur in modo relativamente contenuto. Esso infatti subisce un processo di alterazione, ragion per cui talvolta le ore si dilatano, mentre i giorni si riducono a istanti. Allo stesso modo, il tempo può incantare fino ad assumere tonalità oniriche, risentendo dell‟azione deformante della soggettività. Altrettanto può dirsi per lo spazio, in cui si operano alterazioni analoghe in funzione soggettiva ed emozionale, che non esclude un‟ulteriore finalità simbolica (Bachtin 1979, pp. 298-302). La relazione tra tempo e spazio è suscettibile di varie trasformazioni, a maggior ragione se si riferisce al mondo soprannaturale, un universo per definizione estraneo alle leggi fisiche che regolano la quotidianità. Tale argomento si trova appunto al centro della riflessione di Todorov (1970, pp. 124-5), la cui monografia sulla letteratura fantastica sarà esaminata nel dettaglio più avanti (par. 5.5).

Analizzando le specificità del cronotopo arturiano peculiare del romanzo in versi, va detto che si tratta di un mondo precisamente situato, essenzialmente bretone e occidentale, costantemente sottoposto agli assalti del meraviglioso, localizzato in un passato remoto che, ancorché medievale e non antico, si oppone alla contemporaneità del XII secolo quanto ai valori vagheggiati (James- Raoul 2007, p. 270).

Chrétien propose delle soluzioni interessanti per la rappresentazione del tempo destinate ad esercitare un forte ascendente sugli ulteriori sviluppi del romanzo bretone. Un atteggiamento adottato specificamente da Chrétien e successivamente dai suoi imitatori del secolo XIII consiste nel rinunciare a porsi in una situazione di divenire, al contrario di quanto si osserva per gli autori dei romanzi antichi. Situando il complesso dei suoi romanzi all‟interno delle coordinate spazio-

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temporali proprie del regno arturiano, Chrétien si pose senz‟altro sulla scorta di Wace, la cui influenza emerge soprattutto dal Conte du Graal. Dal Brut di Wace egli mutuò il quadro temporale sotteso alla narrazione, che figurava in tal modo provvista di un punto d‟ancoraggio. Tuttavia Chrétien sospende e cristallizza il tempo arturiano desunto dalla cronaca di Wace in un eterno presente non meglio precisato, privilegiando un momento dalla durata indeterminata e dai limiti indefiniti, per poi sottoporlo a un‟alterazione corrispondente alle dimensioni della propria opera. In questo tempo lineare, «présentifié» (secondo la definizione di Baumgartner), che non contempla né un inizio né una fine, e che perciò si configura svincolato da ogni determinazione storica nonché dilatabile a discrezione dell‟autore, si inseriscono le opere di Chrétien e dei continuatori del Conte du Graal. Dando prova di un‟acuta presa di coscienza riguardo ai limiti imposti da una simile prospettiva spazio-temporale, Chrétien aprì un ventaglio di possibilità per gli scrittori del secolo XIII introducendo Gauvain, un eroe facente capo a un‟avventura all‟insegna della discontinuità e della ripetitività. Appaiono evidenti le ripercussioni sul piano letterario alle quali tale scelta diede adito: gli epigoni di Chrétien, concedendo uno spazio assai più generoso alla figura del nipote di Artù, sono scaduti spesso e volentieri nella mera ripetizione, a detrimento dell‟originario potenziale di rinnovamento, tradendo in questo modo l‟intento che nel modello era sotteso a un simile espediente. Di conseguenza, una narrazione di questo tipo falliva nel restituire una rappresentazione che abbracciasse il tempo umano dall‟inizio alla fine, alla maniera di quello cristiano. Soltanto con l‟ultimo romanzo, il Perceval appunto, ha osservato Baumgartner, viene effettivamente esperito il tentativo di ritagliare un segmento di tempo lineare, a suo modo dotato di un principio e di una conclusione, dallo sfondo di virtuale eternità alla quale è improntato il ciclo: a questo spazio corrisponde una storia che, quantunque si svolga in maniera lineare, sembra percorrere una traiettoria circolare, in un moto di riavvolgimento (Baumgartner 1994, pp. 419-21).