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Il tema della vendetta in Manessier

3. Linee guida per un‟analisi dell‟intreccio

3.2 Il tema della vendetta in Manessier

È indubbio che i continuatori del Conte du Graal hanno generalmente saputo creare la chiave di lettura della propria opera. Non ha fatto eccezione in questo Manessier, il quale ha eletto il movente della vendetta a filo conduttore della propria Continuazione e, pur attenendosi in gran parte alla tradizione delineata nell‟opera di Chrétien, non ha rinunciato a piegare la storia ai propri fini edificanti, caricandola di un senso, seppur generico, di misticismo. Tuttavia questa scelta ha finito per indebolire notevolmente il potenziale della letteratura che si sarebbe ispirata, più o meno liberamente, a Chrétien (Gallais 1972, p. 49). Come nella maggior parte dei continuatori, in Manessier la guarigione del Re Pescatore dipende strettamente dall‟esito felice dell‟impresa compiuta dall‟eroe, tanto che è l‟annuncio stesso della vittoria di Perceval su Partinal a liberare il sovrano dalla propria infermità. Per questo motivo Manessier si allontana da Chrétien, per il quale la missione di Perceval consisteva invece nel conseguire la salvezza per mezzo della conoscenza, o meglio, della rivelazione (Gallais 1972, pp. 51-2).

A questo punto è necessario introdurre un‟opera che con il Conte di Chrétien intrattiene più di un parallelismo: il racconto gallese Peredur. Non è questa la sede per affrontare il problema spinoso connesso alla sua datazione, né per addentrarsi nell‟indagine dei rapporti intertestuali che indubbiamente sussistono tra i due racconti.

Peredur è il nome del protagonista, corrispondente al Perceval gallese del romanzo francese (Marx 1959, p. 107): nome bretone, anche Peredur, come Perceval, allude all‟avventura stessa, nella quale il protagonista scopre il segreto della valle dove si trova il castello. A confortare l‟ipotesi della filiazione bretone del racconto, nel Peredur compaiono tre personaggi, guerrieri della corte di Artù, appartenenti all‟antica tradizione gallese, i quali portano i nomi di Gwalchmei (corrispondente a Gauvain), Owein e Gweir, assenti nell‟opera di Chrétien. Tra le altre analogie che sussistono tra i due testi, vi è il fatto che nel corso delle avventure Peredur visiti due castelli, ciascuno dei quali appartiene a uno dei suoi zii, che egli non conosce, essendo stato allevato in solitudine dalla madre vedova. In particolare, presentando il tema celtico dell‟eroe cresciuto in segreto dalla madre per

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sfuggire a eventuali vendette, il romanzo gallese è in linea con le versioni francesi. Nel primo castello Peredur si imbatte nel proprietario, claudicante, che non è altri che suo zio: quest‟ultimo si diletta pescando proprio come il Re Pescatore, gli impartisce dei validi consigli e lo inizia all‟arte delle armi, alla maniera di Gornemant. Presso il secondo castellano, anch‟egli suo zio, Peredur mette alla prova la propria forza, poi assiste a un‟insolita processione, composta da una lancia, portata da due nobili giovani, e da due fanciulle che portano una testa umana immersa nel sangue. Dinanzi a tale spettacolo, che non manca di suscitare manifestazioni di dolore tra i presenti, l‟eroe, provando una certa soggezione e rammentando le disposizioni impartitegli dal primo zio, si astiene dal porre ogni domanda al riguardo: se soltanto si fosse informato, avrebbe saputo che la testa appartiene a uno dei suoi cugini, figlio del proprietario del castello. Spetta infatti a Peredur di vendicarsi delle streghe di Kaerloyw, colpevoli della morte del cugino e di aver mutilato o ferito lo zio. Intervenuto poi in difesa di una castellana contro le nove streghe, a motivo della vittoria riportata, Peredur le costringerà a riceverlo alla loro corte, dove imparerà l‟arte di combattere e la cavalleria. Presso la corte di Artù a Caerleon, Peredur riceverà i rimproveri di una fanciulla dalla pelle scura, corrispondente all‟Orrenda Damigella del Conte du Graal, per essere rimasto in silenzio. In seguito egli farà ritorno al castello del re zoppo – nel quale le figure dei due zii si sovrappongono fino a confondersi – ritrovandovi Gwalchmei e un giovane, più volte incontrato sotto forme diverse, tra cui il giovane che portava la lancia e la messaggera dalla pelle scura.

È il momento in cui Peredur apprende la verità e la missione che gli spetta. Partito per portare a compimento la sua vendetta, con l‟aiuto di Gwalchmei e di Artù, Peredur uccide le streghe, le quali avevano già previsto, grazie alle loro doti profetiche, che avrebbero trovato la morte per mano dell‟eroe al quale avevano rivelato i loro segreti (Marx 1965, pp. 113-5).

Pur configurandosi come una sorta di doppio del Perceval, il Peredur risale a una tradizione diversa, anch‟essa del XII secolo (Marx 1959, p. 95). Sebbene sussistano delle evidenti analogie con il Conte du Graal, nel Peredur non vi è parola del Graal ed è pressoché del tutto assente dalla storia l‟interpretazione cristiana. Secondo Jean Marx, appare alquanto verosimile che gli autori gallesi si siano serviti di un racconto più antico, al quale si sarebbe ispirato il conte d’aventure che Chrétien sostenne di aver consultato (Marx 1959, p. 107). L‟ipotesi che il Peredur derivi da una fonte francese, anche quella di cui si servì Chrétien, è da respingere: Marx (1965, p. 117) si dichiara più propenso a credere che il Peredur, nella sua forma antica, sia di molto anteriore al conte d’aventure francese, la cui contaminazione è tuttavia visibile nella forma a noi pervenuta del racconto gallese.

Se si eccettuano la debolezza compositiva e la narrazione di livello francamente modesto, il Peredur costituisce una testimonianza preziosa riguardo alla forma antica del racconto che, grazie

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all‟intermediazione di un «conte d‟aventure» in francese, è servito da base per il Conte du Graal. Del resto, il romanzo gallese racchiude un numero di particolarità e di costumi celtici, assenti nel testo di Chrétien e in disaccordo con esso. Trasmesso unicamente da una versione del XIV secolo, il Peredur non deve aver subito l‟influenza del testo Chrétien, bensì di quel conte francese che Filippo d‟Alsazia consegnò al poeta della Champagne, dal quale quest‟ultimo trasse l‟ispirazione per l‟opera che si accingeva a comporre (Marx 1965, p. 113). Ancora, secondo Marx, questo conte d’aventure in origine avrebbe contenuto non soltanto gli avvenimenti narrati da Chrétien fino alla sua morte, ma anche un quadro d‟insieme coerente al proprio interno, dove al proposito della vendetta si affiancavano altresì i motivi della guarigione e della liberazione. Nella sua forma più antica, senz‟altro anteriore al conte d’aventure francese, tale storia doveva essere sprovvista tanto del Graal quanto delle suggestioni cristiane che si avvertirono in Chrétien (Marx 1965, p. 121). Per quanto concerne la datazione del Peredur, lo stesso Frappier nella sua recensione all‟opera di Jean Marx, La léggende arthurienne et le Graal (1952), non nasconde di nutrire dei dubbi al riguardo, a suo parere giustificabili trattandosi pur sempre di un testo in lingua gallese. Rifacendosi all‟ipotesi di Marx, Frappier obietta al collega di non essersi espresso con sufficiente chiarezza in merito alla presunta derivazione del Peredur dal Perceval, di cui avrebbe costituito un‟imitazione. Malgrado questa incertezza di fondo, Frappier riconosce a Marx di aver ammesso l‟influenza del Perceval o Conte du Graal sul Peredur, in quanto è indubbio che quest‟ultimo ricalca la storia narrata da Chrétien. Un altro aspetto contestato da Frappier consiste in un‟asserzione di Marx che farebbe risalire il Peredur, come altri romanzi gallesi, a una tradizione più affine agli istituti e agli antichi racconti celtici: secondo Frappier, tale questione non è suffragata da una trattazione soddisfacente che ne giustifichi la pur considerevole portata (Frappier 1977, pp. 394-5). Diversi elementi rinviano a una matrice celtica: la peculiare caratterizzazione delle streghe e il polimorfismo del giovane cugino di Peredur. Ugualmente antichi sono il tema dell‟incantesimo che grava sul castello e la figura del re ferito e claudicante, che nel Peredur ha subìto un curioso sdoppiamento, avvenuto verosimilmente ad opera di un copista maldestro, il quale avrebbe operato un‟indebita fusione, dopo aver frainteso che la vendetta che Peredur è chiamato a compiere è di fatto una sola, ancorché sortisca diversi effetti. Denominato «coup félon» nella tradizione arturiana in lingua francese, il colpo che le streghe hanno inferto allo zio proprietario del castello (designato in seguito come re) ferendolo, e al giovane principe decapitato, ha irretito il castello in un incantesimo, che cesserà soltanto nel momento in cui sarà fatta vendetta. Di conseguenza, l‟apparizione della lancia, adoperata presumibilmente a tale proposito dalle streghe, non può che rievocare tale colpo (Marx 1965, pp. 116-7).

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A un raffronto tra il Peredur e il Conte du Graal, già Frappier aveva intravisto un‟importante analogia riguardante la rappresentazione della lancia, dalla quale, nella prima come nella seconda opera, sgorga del sangue: a dire il vero, nel Peredur, il flusso si presenta assai più consistente, in quanto non si tratta di qualche semplice goccia, bensì di «trois ruisseaux de sang» (Frappier 1977, p. 293). Antonio Pioletti ha individuato più di un parallelismo tra le due opere, rilevando altresì un‟importante corrispondenza con la Continuazione di Manessier, che consiste precisamente nel tema della vendetta, allorché la testa tagliata di Partinal, ucciso da Perceval, viene esposta sulla torre più alta del Castello per ordine del Re Pescatore (vv. 41897-918). Si ricorda infatti che anche nel Peredur, dopo che è sopraggiunto nella sala del castello appartenente allo zio, il protagonista vede entrare due uomini che portano un‟enorme lancia sanguinante, seguiti da due fanciulle recanti un vassoio con una testa tagliata immersa nel sangue, alla vista della quale Peredur non pone alcuna domanda, mentre i presenti lanciano forti grida e gemiti (Pioletti 1984, p. 27).

Malgrado non esiti a definire oscuro il rapporto tra i due testi, Frappier non manca di ravvisarvi un‟altra corrispondenza che consiste nel grande piatto portato dalle due fanciulle, che a suo parere farebbe luce sulla forma e sulle dimensioni del Graal, contribuendo a sostanziare la percezione letteraria e simbolica del misterioso oggetto nel primo stadio della sua evoluzione (Frappier 1977, p. 70):

…la forme de l‟objet n‟est pas celle d‟un vase liturgique, mais celle d‟un large plat creux. C‟est ensuite qu‟il est devenu ciboire et calice. La forme du Graal a évolué parallèlement au concept du Graal.

Si apprenderà poi, a conclusione del racconto, prima della vendetta finale, che la testa tagliata appartiene al cugino di Peredur, ucciso dalle streghe di Kaerloyw, la quali hanno ferito anche il primo zio di Peredur e causato la rovina del paese. Nella parte finale è fornita da un cugino di Peredur la spiegazione della funzione dei personaggi e degli episodi cruciali (Pioletti 1984, pp. 38- 9). Perciò il significato del corteo viene svelato nei termini seguenti: la lancia è l‟arma usata nell‟omicidio del cugino di Peredur e per ferire il suo primo zio, mentre la presenza della testa tagliata portata nel vassoio va ricondotta, a fronte della mancanza di elementi religiosi di rilievo che la ricolleghino alla leggenda di Giovanni Battista, ad alcuni racconti celtici, in particolar modo al mabinogi gallese Branwen, figlia di Llyr (Pioletti 1984, pp. 42-3). Con la denominazione di Mabinogion si intendono propriamente quattro rami o racconti, uno dei quali ha come protagonista Branwen, figlia di Llyr. Accomunati dalla presenza di figure mitologiche, elementi di fantasia e meravigliose avventure, tali racconti derivano da una tradizione di „bardi‟, antichi poeti cantori dei popoli celti, e di recitanti che trattavano di soggetti risalenti a una tradizione orale. Tra i temi che concorrono a sostanziare questo tipo di racconti, figura il gioco di rivalità, doni e scambio di servizi

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(“potlatch”, secondo la denominazione offerta dalla moderna etnografia e adottata anche da Marx). Riguardo al significato di Mabinogion, sembra che esso si riferisca all‟infanzia, alla giovinezza e alle avventure degli eroi (Marx 1959, p. 94). Figura leggendaria nonché personaggio dei Mabinogion gallesi, Bran il Benedetto (Bendigeit Vran) è una divinità gigantesca che regna sulla Gran Bretagna; figlio di Llyr, come suo fratello Manawyddan, ha anche una sorella, il cui nome è Branwen. Stretta a scopo di alleanza, l‟unione di Branwen con il re d‟Irlanda Matholwch si rivela foriera di conseguenze catastrofiche e di scontri mitici, ai quali seguono dei tentativi di ricomposizione che non fanno altro che esacerbare la tensione tra i due schieramenti. Dopo un iniziale trattamento all‟insegna della magnificenza, in capo a un anno Branwen viene costretta da Matholwch e dai suoi uomini a occuparsi di mansioni indegne e umilianti, ragion per cui si risolve a richiedere l‟aiuto del fratello Bran, il quale, in testa a un‟armata, accorre alla volta dell‟Irlanda. Ferito gravemente in battaglia da un colpo di lancia avvelenata al piede, per porre fine alla sua sofferenza, Bran ordina che gli sia tagliata la testa, che i suoi compagni portano poi con loro nei banchetti e nelle peregrinazioni (Marx 1952, p. 199; Marx 1959, pp. 98-100).

Si è già detto che, ad accomunare Branwen al Peredur e alla Continuazione di Manessier, vi è l‟elemento della testa: in Branwen, la testa di Bran viene conservata e sepolta nella Collina bianca a Londra, ad assicurare la protezione della Bretagna (Pioletti 1984, pp. 42, 47 [n. 60]).

Poco accentuato nel Perceval, il tema della vendetta nel Peredur assume invece il massimo rilievo, mentre l‟idea che la guarigione del Re Pescatore consegua alla vendetta è di matrice celtica. Il tema della vendetta, associato di frequente alla presenza di una testa tagliata si ritrova tanto nella letteratura irlandese e gallese quanto nei testi graaliani, quali il Parzival di Wolfram von Eschenbach e la Terza Continuazione di Manessier (Pioletti 1984, pp. 46-7).

Prima di addentrarsi nel merito della questione, è tuttavia opportuno passare in rassegna le differenze che sussistono tra queste tre opere, seppur accomunate dal motivo della vendetta. Innanzitutto, è necessario premettere che Wolfram von Eschenbach, trovatosi a riadattare un testo preesistente, fu inevitabilmente chiamato a darne un‟interpretazione personale. La lettura di Wolfram rinunciò a mantenere quell‟ambiguità che in Chrétien sussisteva, ancorché sapientemente sfumata, tra la realtà e il meraviglioso incarnato dal mito, optando invece per il mondo naturale, benché si possa negare decisamente che le proprietà da Wolfram attribuite al Graal rientrino nel dominio della razionalità. Concedendo ampio spazio alla caratterizzazione della condotta cavalleresca e del relativo ambiente a detrimento della dimensione magica, Wolfram di fatto sovrappose fino a sostituire al mito celtico dell‟Aldilà il suo mito personale del Mondo del Graal: una società permeata di connotazioni ideali, all‟insegna di valori improntati alla concordia e al benessere di ogni singolo componente (Buschinger 1998, pp. 300-1).

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…surtout à partir des données présentes dans le roman inachevé de Chrétien, à partir du Chȃteau du Graal, il crée un autre mythe, celui du Monde du Graal, qu‟il place au-dessus du monde arthurien et de son pendant, le monde oriental. Le monde du Graal est un monde mythique, situé dans un espace imaginaire, avec sa dynastie, sa généalogie et sa communauté de chevaliers, c‟est un monde que Dieu a distingué, élu pour lui confier la garde du Graal…(Buschinger 1998, p. 311)

Per effetto di questo parziale tentativo di «razionalizzazione», nella narrazione di Wolfram la lancia è l‟arma che ha ferito Anfortas, mentre il Graal è una pietra preziosa: il che potrebbe costituire la prova che il processo di «cristianizzazione» che ha via via investito il Graal e la Lancia si sia avviato in quel momento, sebbene permangano non pochi dubbi sulle fonti di cui l‟autore si sarebbe avvalso, in merito alle quali è inevitabile chiedersi se siano o meno le stesse che Chrétien ha sfruttato. All‟inizio del secolo XIII non era dato di dubitare che la Lancia fosse quella appartenuta a Longino, e che il Graal fosse il vaso nel quale Giuseppe di Arimatea raccolse il sangue di Cristo. Ma il Graal e la Lancia non erano originariamente delle reliquie né tantomeno dei simboli cristiani ed è così, come si è visto, nel Peredur, benché quest‟opera si ispiri ugualmente a Chrétien (Gallais 1972, pp. 59-60).