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Transizioni nello spazio e movenze interiori: l‟influsso dei personaggi sull‟intreccio

3. Linee guida per un‟analisi dell‟intreccio

3.4 Transizioni nello spazio e movenze interiori: l‟influsso dei personaggi sull‟intreccio

Dalla Palma ha denominato «modello ad alternanza» l‟impostazione per cui le varie fabulae sono disposte in segmenti e alternate tra loro, un principio che funge altresì da punto di partenza per «l‟attualizzazione in intreccio di quei rapporti verticali» che l‟analisi narratologica ambisce a far emergere. È chiaro che la scomposizione dell‟intreccio in segmenti si ottiene riflettendo anzitutto sul significato; tuttavia in questo tipo di analisi non devono essere in alcun modo trascurate le cesure con cui l‟autore ha inteso segnalare espressamente il passaggio tra un segmento e l‟altro (Dalla Palma 1984, pp. 16-7). Nell‟imporre continue sospensioni con differimento della narrazione, nel tentativo di contemperare l‟istanza centripeta del filone principale con le tendenze centrifughe incarnate dai percorsi divergenti, la tecnica dell‟entrelacement sembra in certa misura assecondare quanto nella Terza Continuazione avviene al livello delle transizioni compiute dai personaggi nello spazio (Ferroni 2008, pp. 142-3). Un simile gioco testuale produce degli effetti sensibili, in particolare sul piano del ritmo. Alle licenze e ai vincoli espressivi imposti dalla forma metrica prescelta si affianca la concreta realizzazione strutturale, che consiste nell‟articolazione delle strutture narrative e dei dati tematici. Quest‟ultima, in particolare, produce simmetrie e dissimmetrie, rispondenze ed echi interni, come conseguenza immediata della riproposizione di determinati stilemi. Un‟analisi che miri a individuare tali elementi non deve prescindere dalla nozione di «recursività strutturale e figurativa», con la quale Ferroni ha inteso definire il principio cui è improntata la gestione del materiale narrativo e l‟interpretazione che è lecito ricavarne prendendo in considerazione la mera scansione episodica (Ferroni 2008, pp. 151-2).

Ciò premesso, si vedrà allora come lo stile formulare e ridondante di Manessier, che non rifugge affatto il reimpiego di elementi lessicali, stilistici e rimici, concorra a restituire l‟idea di un organismo coerente e dialettico al proprio interno, imbastito su di un‟impalcatura di continue corrispondenze e opposizioni.

In questo gioco di similarità e contrasti, un ruolo di primo piano è svolto senz‟altro dai personaggi che si alternano sulla scena. Rimandando una trattazione più dettagliata all‟analisi puntuale dell‟intreccio (par. 4.2), mi limito per il momento ad enucleare le caratteristiche connaturate ai due personaggi principali, considerati a vario titolo esemplari nell‟incarnare l‟ideale cavalleresco. Per rendere più perspicuo il discrimine tra virtù e vizio, sarà opportuno fornire al lettore un utile termine di paragone che, pur trovandosi più vicino al polo negativo, non rappresenta tuttavia un

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«Il servitore allora si affrettò a suonare a pieni polmoni un corno che portava appeso al collo. Partinal ha udito il [suono del] corno, immensamente se ne compiace, immagina bene che qualcuno gli abbia arrecato un qualche torto; si fa immediatamente armare» (p. 604).

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antagonista, perlomeno non nell‟accezione tradizionale del termine. Sulla scorta dei ritratti morali delineati da Köhler, saranno prese in esame le figure di Perceval, Gauvain e Keu.

Rinviando al paragrafo 5.3 per una trattazione più esaustiva dello spazio nel romanzo arturiano, per il momento è sufficiente premettere che il romanzo arturiano si costituisce entro i termini opposti dell‟individuo e della comunità della corte, in un moto continuo di allontanamento e reintegrazione. Il singolo è impersonato da Perceval, il maggior rappresentante della figura del cavaliere redento, ossia giunto al termine del processo di purificazione e pertanto depositario di un potenziale salvifico. Gauvain, invece, presenta un legame più forte con la corte, tanto che sembra in un certo qual modo identificarsi con essa e rappresentarla, fungendo principalmente da mediatore autorevole tra la cerchia dei cavalieri e il re, tra gli interessi comuni e quelli particolaristici. Come si vedrà più avanti, Gauvain per sua stessa natura non può assurgere a protagonista, in quanto rappresentante della corte arturiana ed esponente più prestigioso di un‟élite già di per sé esclusiva. Anche qualora si segnali come il fautore di una serie di avventure dall‟esito felice in quanto volute da Dio stesso, il nipote favorito di Artù non arriva mai ad essere un eletto. In posizione antitetica all‟esemplarità cortese si trova il siniscalco Keu, il quale rappresenta una figura assai problematica e ambigua. Nemmeno a una lettura sommaria può sfuggire l‟idea di tracotanza e di dismisura insita nel cavaliere, al quale non sono estranei sentimenti fin troppo umani e per nulla cortesi, di certo dovuti alla posizione di favore occupata a corte. Nondimeno il suo temperamento vizioso incorre in una giusta punizione, allorché Keu puntualmente – sebbene in modo non immediato e sempre indirettamente – finisce per essere sconfitto e umiliato dal cavaliere che lui stesso ha offeso. Ciononostante non vi è rimprovero che riesca almeno minimamente a mutare di segno la condotta di Keu, il quale non cessa di gettare scompiglio nell‟ambiente di corte e di agire in modo contrario all‟etica cavalleresca. Non potrebbe essere altrimenti, giacché la presenza stessa di Keu è spia dell‟aporia interna e immanente alla società cortese. Tale insolvibilità funge da stimolo per l‟azione cavalleresca, provoca nel cavaliere virtuoso la reazione auspicata, che consiste appunto nel ristabilire l‟ordine (Köhler 1970, pp. 151-5)7

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È noto che le avventure incontrate e le vittorie riportate dagli eroi di Chrétien si dispongono in un ordine d‟importanza crescente, secondo cui l‟ultima impresa detiene una sorta di primato, rappresentando quanto di più alto si possa conseguire. All‟inizio dell‟ultimo romanzo di Chrétien, infatti, si situa una scena in cui Perceval si trova a dover affrontare il Cavaliere Vermiglio, il quale è giunto alla corte di Artù per rivendicare il regno di Logres come sua esclusiva proprietà,

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Per il comportamento tenuto da Keu nell‟economia della Terza Continuazione si rinvia agli episodi seguenti, i quali appaiono sintomatici di quanto si è detto a proposito della dubbia moralità connaturata al personaggio: l‟infamante insinuazione del siniscalco tesa a mettere in discussione il senso del dovere di Gauvain viene ignorata dalla fanciulla in sella alla mula (vv. 35142-62); la Bionda Fanciulla racconta a Gauvain di come Keu abbia ucciso a tradimento suo fratello Silimac (vv. 35873-84); Keu non rinuncia a prendersi gioco di re Artù (vv. 42304-25).

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dichiarando la volontà d‟impadronirsene. Il giovane gallese, apparso d‟un tratto, nel clima di sconforto e di rassegnazione vigente alla corte arturiana, non manca di eliminare l‟avversario, trapassandone il cranio con un‟arma rudimentale (vv. 1064-119). Precisamente in questo dato, Gallais ha ritenuto di intravedere un segno inequivocabile della netta differenza che sussisterebbe tra Perceval e tutti gli altri, un comportamento che Chrétien avrebbe inteso in tal modo segnalare, di primo acchito e in maniera plateale, facendo compiere con disinvoltura al giovinetto un‟azione che gli eroi dei romanzi precedenti non avrebbero compiuto che alla fine, quasi si trattasse del felice coronamento della propria carriera. Non sfugge, di conseguenza, come Perceval si appresti a intraprendere il proprio iter nel punto esatto in cui gli altri avevano concluso il loro (Gallais 1972, pp. 37-8), «à rebours», decidendo peraltro di abbandonare la corte e di dare l‟addio al secolo, una volta raggiunta una posizione a dir poco ambita che tanto contrasta con l‟infanzia selvaggia degli esordi (Gallais 1972, pp. 41-2).

Le avventure dei cavalieri detengono anzitutto una funzione strettamente relata al progresso dell‟azione e quindi all‟andamento dell‟impresa: esse procurano al cavaliere dei pretesti per ottenere degli avvertimenti e delle delucidazioni, attestano eventuali progressi o involuzioni, oltre a consentirgli di mettere alla prova il proprio valore in risposta a sollecitazioni e imperativi di vario tipo. Conservando inalterata quest‟ultima funzione probatoria, nei romanzi in versi, a partire da Chrétien de Troyes, l‟avventura dell‟eroe principale, Perceval, risponde a una logica progressiva, mentre gli altri cavalieri si limitano a cogliere di giorno in giorno l‟opportunità di distinguersi lungo uno snodo di agonismi che si rinnova, all‟insegna dell‟emulazione, piuttosto che della necessità di superare se stessi (Micha 1987, p. 211). Tra questi rientra Gauvain, figura statica per eccellenza, intento a passare da un‟avventura all‟altra seguendo una traiettoria circolare, lungo la quale non si registra alcuna variazione sul piano delle movenze personali, come invece accade nella sezione dedicata all‟itinerario “evolutivo” compiuto da Perceval. Frappier ha inoltre osservato che le avventure di Gauvain rivelano un lato frivolo, unito alla preoccupazione costante del personaggio per la propria reputazione: in particolare, i suoi amori passeggeri non mancano di produrre una sfumatura ironica, non senza un certo compiacimento da parte dell‟autore, giacché è noto che Gauvain ha raggiunto da tempo l‟età matura (Frappier 1972, p. 216). In particolare, Peter Haidu ha suggerito che già Chrétien abbia inteso insinuare un ragionevole dubbio riguardo al valore connaturato al personaggio di Gauvain, precisamente in alcune maliziose battute che il siniscalco Keu gli rivolge in più di un‟occasione (Haidu 1968, pp. 196-7)8, variamente tese a mettere in

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vv. 4384-5: «Bien savez vos paroles vendre, / Qui molt sont beles et polies» (Le Roman de Perceval ou Le Conte du

Graal, pp. 186-7. «Sapete vendere bene le vostre parole, che sono molto belle e cortesi»); vv. 4520-30: «Molt fu or

perilleuse et griés / La bataille, se je ne ment, / Que tot ausi haitïement / S‟en retorne comme il i mut, / C‟onques d‟autrui cop n‟i rechut, / N‟autres de lui cop n‟i senti, / Ne il de mot nel desmenti; / S‟est drois que los et pris en ait / Et

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discussione le reali capacità del cavaliere, più abile a parole che nei fatti. Malgrado le sarcastiche insinuazioni di Keu tendano a esagerare la reale portata dei fatti, non si può certo negare che esse contengano un fondo di verità. Ed è proprio Chrétien a invitare espressamente il lettore a pronunciarsi su questo punto (vv. 4532-3: «Einsi dist Kex, soit drois ou tors, / Sa volenté si comme il suelt»9) (Haidu 1968, pp. 194-7). Non vi è dubbio sul fatto che Gauvain possieda un vero e proprio talento, che consiste propriamente nel persuadere l‟interlocutore grazie a un connubio vincente di eloquenza e seduzione. Questa vantaggiosa capacità, che qui figura intesa nella sua accezione più nobile, costituisce il bersaglio favorito delle critiche di Keu, le cui parole appaiono con ogni evidenza prive di ogni pregio in tale senso (Baumgartner 1994, p. 260).

È stato osservato che, a tutti gli effetti, il siniscalco Keu è il personaggio che si inganna di meno nel Conte du Graal, al contrario di Perceval, di Gauvain e dello stesso Artù, i quali sono puntualmente indotti in errore. Differisce però la modalità in cui costoro si ingannano: obiettivamente Perceval si sbaglia in continuazione, ma soltanto a volerlo giudicare senza tener debitamente conto del suo ruolo di eroe romanzesco, al quale si addice un siffatto modo di procedere. Per questo motivo, dopo essersi allontanato dalla corte, il Gallese è solito giovarsi dell‟aiuto di altri personaggi ai quali non è dato di sbagliarsi, il che suggerisce l‟impressione che basti abbandonare la corte, l‟erroneo e illusorio mondo arturiano, per venire a conoscenza della verità dei fatti (Gallais 1972, p. 44).

Tuttavia Gallais avverte come quella di Perceval costituisca propriamente una questione di «comportamento», giacché coloro che si sbagliano su di lui non fanno che fermarsi alle apparenze, mentre i più lungimiranti, che invece non si ingannano, non sembrano affatto straniti dal comportamento del giovane, che pare contare relativamente poco, in quanto non rappresenterebbe che un singolo aspetto della personalità. Ciò che invece è importante risiede nell‟«intenzione», che nel caso di Perceval risulta invariabilmente degna di lode, benché la sua iniziativa non sia sempre destinata al successo. Diversamente, benché dia la parvenza di fare sempre la cosa giusta e di comportarsi in maniera impeccabile, Gauvain di fatto non approda ad alcun risultato, anzi, non fa che peggiorare la propria condizione, dal momento che non è mosso da un‟intenzione precisa e pertanto non dispone della libertà che era invece concessa a Perceval. Anzitutto, tanto nel Conte du Graal quanto nella Terza Continuazione, il nipote di Artù non fa che conformarsi a una volontà diversa dalla propria: chiamato a rispondere di un‟accusa riguardante una propria mancanza e dal momento che l‟educazione gli vieta di contraddire il proprio accusatore, il personaggio è destinato a

que on die qu‟il a fait / Ce dont nous autres ne poïmes / Venir a chief…» (Ibid., p. 192. «Ora fu molto pericolosa e dolorosa la battaglia, [al riguardo] non mento, che tutto così sano e salvo se ne torna come vi andò, che mai [non] vi ricevette colpo d‟altri, né un altro ebbe a patire un colpo da lui [assestato], ed egli non smentì di una parola [al riguardo]; ed è giusto che ne riceva gloria e onore e che si dica che egli ha fatto ciò di cui noialtri non saremmo riusciti a venire a capo…»).

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Le Roman de Perceval ou Le Conte du Graal, pp. 192-3 («Così espresse Keu, [sia] a ragione o a torto, la sua opinione così come era solito [fare]»).

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incorrere in numerose situazioni nelle quali non sembra mai avere il completo controllo del proprio modo di agire. In altre parole, Perceval agisce secondo la propria volontà e ottiene ciò che vuole, mentre Gauvain si rassegna alla sorte che gli è stata assegnata, limitandosi tutt‟al più ad assecondare l‟opinione che gli altri hanno di lui e l‟idea che egli ha di se stesso (Gallais 1972, pp. 46-9).

Haidu ha inoltre sottolineato come la corte di Artù di fatto non rappresenti un luogo riservato a cavalieri dal carattere perfetto o un ambiente esemplare quanto alla rigorosa applicazione di norme sociali e di valori, né tantomeno l‟obiettivo finale degli eroi di Chrétien, giacché non rinuncia a ospitare una malalingua del calibro dell‟invidioso Keu e un personaggio impulsivo e brutale come Sagremor, per non parlare poi di Erec e Yvain, il cui ritorno a corte è giocoforza conseguente al superamento di determinate prove. Pertanto si direbbe, a ben vedere, che l‟ambiente di corte accetti i cavalieri con annesse tutte le loro imperfezioni: questa regola vale altresì per Perceval, per il quale resta ferma comunque la possibilità di allontanarsi momentaneamente per espiare il proprio errore e per mettersi personalmente alla prova. Nella fattispecie, l‟autore è parso compiacersi di soffermarsi sulla natura essenzialmente selvaggia del protagonista soprattutto allorché questi arriva a conseguire dei risultati notevoli dal punto di vista cavalleresco. Nell‟universo di Chrétien la corte arturiana assume la funzione di sancire ufficialmente non già la piena appartenenza ad essa dell‟eroe, che guarda con ammirazione e accoglie con tutti i limiti e i difetti che gli sono propri, bensì quel grado di accettabilità sociale cui tale individuo è finalmente pervenuto. Questa sanzione sociale è soltanto superficiale, in quanto fondata su questioni esterne alla corte, estranee tanto all‟individuo, quanto al senso etico della sua cavalleria e della sua anima: ciò che appare importante agli occhi della corte consiste appunto in quanto si può concretamente osservare sul piano comportamentale e della reputazione, nonché in quello che si può evincere dal modo di porsi del cavaliere. Di conseguenza, l‟approvazione da parte della corte conferisce valore normativo a principi che sono di fatto duttili, ma che di per sé non costituiscono garanzia di perfezione interiore (Haidu 1968, pp. 187-8).

Malgrado la tendenza riscontrata in genere nei romanzi di Chrétien preveda che l‟eroe parta dalla corte di Artù per poi farvi ritorno, si osserva come in realtà tra questi due poli si situi un terzo incontro dell‟eroe con la corte, una tappa intermedia, che nel caso specifico del Conte du Graal si svolge secondo modalità differenti: stavolta è re Artù a intraprendere la ricerca con tutta la propria corte, e Chrétien si compiace di sottolineare il fermento che contraddistingue questa iniziativa. Come è stato osservato da Gallais,

C‟est la société entière qui cherche un homme, c‟est le roi le plus puissant et la société la plus brillante et la plus courtoise qui se mettent en branle […] pour aller chercher (Dieu sait où?) un vaslet, un petit paysan mal dégrossi (Gallais 1972, pp. 38-9).

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Che Perceval sia l‟eletto, poi, si evince da alcuni indizi, delineati da Pierre Gallais. Anzitutto, questi nel Conte du Graal non è figlio di re, ma è nipote del Vecchio Re, e tutti i continuatori ne faranno il successore di suo cugino, il Re Pescatore. Tuttavia Chrétien si guarda bene dallo svelare subito questo sistema di parentele, tacendo del tutto il fatto che Perceval possa succedere al cugino: ciò che viene detto è che se quest‟ultimo adempierà quanto deve fare, se rimedierà ai suoi sbagli e porrà le domande, il Re Pescatore ne otterrà la guarigione (Gallais 1972, p. 36).

Quanto alla corte di Artù, Gallais ha individuato com‟essa costituisca la manifestazione della «cultura» tradizionale, di cui Artù e Keu sono gli strenui difensori, e nel contempo l‟espressione della nuova cultura di matrice cortese, di cui Gauvain si pone come indiscusso rappresentante. Non è sfuggita a Gallais l‟impressione che Chrétien abbia via via cominciato ad avvertire l‟inautenticità dei valori professati alla corte arturiana. Da parte sua, Perceval non appare granché interessato alla corte di Artù, giacché quest‟ultima non risulta di alcun aiuto per il giovane, il quale è chiamato ad arrangiarsi, provvedendo egli stesso alla propria educazione (Gallais 1972, pp. 42-3).