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Azioni per combattere il traffico illecito dei beni culturali nel periodo

SEZIONE III: Il traffico dei beni culturali in Libano

3.2 Azioni per combattere il traffico illecito dei beni culturali nel periodo

interdire e impedire l’illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali

Sul piano legislativo (vedi supra Capitolo I- Sezione IV) venne adottata dal Ministero del turismo (la Direzione Generale delle Antichità ne fu parte fino alla creazione del Ministero della cultura nel 1993) nel 1988 la Decisione ministeriale n. 8 che vieta ogni tipo di esportazione di antichità dal territorio libanese. Quest’ultima venne seguita da un'altra Decisione ministeriale

n. 14 sempre con lo scopo di regolare il mercato delle antichità in Libano. Poco dopo il “cessate

il fuoco” il Ministero del turismo rilasciò la nuova Decisione ministeriale n. 8 del 27 febbraio 1990 che riuniva i due precedenti decreti ministeriali. La nuova decisione non solo proibì ogni tipo di esportazione di oggetti archeologici dal Libano, ma anche il commercio delle antichità all'interno del Paese bloccando i permessi d’autorizzazione da parte della DGA (Seif,2015,67). Pochi mesi dopo, il Libano ratificò la Convenzione dell'UNESCO concernente le misure da adottare per interdire e impedire l’illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali del 1970 con la Legge n. 21 del 30 ottobre 1990. La Convenzione del 1970 fu successivamente integrata nelle leggi nazionali sui beni culturali. L’ultima legge sui beni culturali, Legge n. 37, Decreto sulla determinazione, amministrazione e protezione dei

beni culturali del 20 ottobre 2008 aveva lo scopo di aggiornare le leggi riguardanti il patrimonio

culturale in conformità a quanto stabilito con l’UNESCO ed altre convenzioni internazionali ratificate dal parlamento libanese nel 2008. Per quanto riguarda le azioni intraprese dalla società libanese per affrontare la degradante situazione del traffico illecito del patrimonio culturale Paese, furono condotti numerosi workshop e campagne di sensibilizzazione per i professionisti nel campo dell’archeologia a partire dalla ratifica della Convenzione dell'UNESCO del 1970, nel 1990. Relativamente alla revisione delle misure contro il traffico illecito di beni culturali si svolsero, negli anni 2002 e 2009, due workshop regionali con la collaborazione dell'Ufficio regionale dell'UNESCO. Dopo il primo seminario, tenutosi a Beirut nel febbraio 2002, che riuniva gli Stati arabi dell'UNESCO, fu emessa una raccomandazione dei rappresentanti del

160Per ulteriori informazioni visitare il sito: http://artdaily.com/news/102219/Lebanon-s-national-museum-

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Libano per istituire un Comitato nazionale per la lotta al commercio illecito di oggetti culturali. Questo Comitato doveva essere composto da rappresentanti del Ministero della Cultura del Libano, tra cui il Direttore Generale delle Antichità e il Direttore Generale della Cultura, oltre ai rappresentanti dei Ministeri della giustizia, degli interni e dei comuni, degli affari esteri e delle finanze. Il suo scopo era quello di monitorare le questioni relative alla lotta contro il traffico illecito di beni culturali a livello nazionale e internazionale e presentare proposte amministrative e legislative alle autorità competenti. Sfortunatamente, questa decisione non è mai stata implementata e il Comitato non è mai stato realmente formato (Seif,2015,69). Nonostante le decisioni prese in merito al divieto di commercio di antichità rilasciato nel 1990, molti commercianti di antichità continuarono la loro attività in ragione soprattutto della instabilità politica persistente che non consentì lo sviluppo di una politica incisiva a favore del patrimonio culturale. Di conseguenza, non furono intraprese né azioni legali né altri tipi di sanzioni nei confronti di queste persone, con conseguente aumento del commercio illecito di beni culturali nazionali e del traffico illecito transnazionale (Seif,2015,70). Nel 1999, il Procuratore Generale Khaled Hammoud avviò un’indagine contro persone sospette di far parte del mercato nero dell’arte. In questo processo vennero accusati non solo i commercianti di antichità ma anche i loro clienti, tra cui anche alcuni politici e imprenditori libanesi. Solo nei primi due giorni delle perquisizioni nelle abitazioni e uffici furono sequestrati circa duemila reperti archeologici smarriti (Diab,1999, 17/03). Durante le indagini, per un interrogatorio furono addirittura convocati l'ex Direttore Generale delle Antichità, Camille Asmar e gli impiegati della DGA. Alla luce dei risultati delle indagini si potè affermare che: “at least half of the DGA’s artifacts were not given serial numbers and were not entered into the department’s files, the source said, hinting that the slackness of some employees in doing their job could have contributed to the pieces going missing (Diab,1999,17/03)”. Gli investigatori sospettarono che alcuni atti di appropriazione indebita fossero effettivamente avvenuti presso la stessa DGA. Come conseguenza, alcune attività commerciali dei mercati d’arte coinvolti in tali processi giudiziari vennero chiuse a seguito delle sentenze del tribunale. Tuttavia, ciò avvenne solo per un breve periodo, in quanto si erano verificate alcune inesattezze ed errori di tipo processuale; infatti, durante i sequestri giudiziari disposti dal Procuratore generale non furono soddisfatte tutte le condizioni per poter eseguire una corretta confisca legale. Inoltre, la Corte Suprema decretò la restituzione delle loro ‘proprietà’ ai sensi dell'art. 306 del Codice penale, il quale stabilisce: “According to the general legal adjudication, the acquisition of a movable cultural object in good faith, and in an open transparent way, constitute a conclusive argument of ownership that cannot be refuted under any other evidence (Seif,2015,71)”.

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Di conseguenza, il Procuratore generale ritirò la sua richiesta di condanna e non vennero addebitate delle vere sanzioni contro i commercianti d’arte. Tuttavia, dopo quell'incidente giudiziario molti magazzini d’arte rimasero chiusi e i commercianti stessi bloccarono totalmente la messa in vendita delle loro collezioni che erano state inventariate dalla DGA durante l’iter processuale.

A questo proposito, si ricorda che nel 1995 la DGA inviò al Ministero della Giustizia una richiesta formale di verificare se l’iter contrattuale con cui era avvenuto l’acquisto di antichità potesse essere considerato legale prima della data di emissione della Legge n.21, Decreto di adesione alla Convenzione dell´UNESCO concernente le misure da adottare per interdire e impedire l’illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali del 1990. La risposta del Ministero fu basata, allo stesso modo, sull'art. 306 del Codice civile (Seif,2015,70) al tempo in vigore. Inoltre, il medesimo art. 306 fu considerato applicabile per gli oggetti trovati in qualsiasi odierna collezione privata. Nonostante ciò, tanti collezionisti delle antichità libanesi rimasero preoccupati dopo l’indagine condotto dal Procuratore Generale Khaled Hammoud nel 1999. Al fine di attuare la Convenzione dell'UNESCO del 1970 e la

Legge n. 37 Decreto sulla determinazione, amministrazione e protezione dei beni culturali

adottata nel 2008, il Ministero della cultura fu tenuto a produrre un inventario di tutti i beni culturali presenti sul territorio libanese. (Seif,2015,70).

SEZIONE IV: Applicabilità delle convenzioni internazionali al caso