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Il problema degli scavi e dei furti delle collezioni museali nel Libano

SEZIONE III: Il traffico dei beni culturali in Libano

3.1 Il problema degli scavi e dei furti delle collezioni museali nel Libano

Nel periodo in cui venne combattuta la guerra civile libanese vi fu una espansione degli scavi clandestini e del traffico illecito di oggetti archeologici a causa dell'assenza di controllo da parte del governo. Tale attività raggiunse dimensioni drammatiche nella seconda metà degli anni Ottanta quando una quantità inestimabile di reperti archeologici, quali mosaici bizantini, vetri romani, oro fenicio e altro ancora venne esportata illegalmente dal territorio libanese per essere immessa poi sui mercati di antichità in tutto il mondo. Gli scavi illeciti si diffusero nelle parti più remote del Paese (Seeden,1990,142) ma le aree che subirono la maggior parte delle attività clandestine durante questo periodo furono la Valle della Bekaa e il Sud del Paese, in particolare la città di Tiro (Al-Radi,1996). Tale comportamento della popolazione fu il risultato della impossibilità di reperire altre forme di sostentamento in ragione dell’esistenza del conflitto bellico, dato che le economie locali erano in uno stato di crisi totale. Il saccheggio del proprio patrimonio culturale, tuttavia, non sarebbe stato possibile se non ci fosse stata una vera e propria richiesta. Infatti, l’interesse di collezionare soprattutto l’arte fenicia risale all’Ottocento, quando le Potenze occidentali e l’Impero Ottomano iniziarono a gareggiare nelle creazioni di collezioni museali che rispecchiassero il proprio orgoglio nazionale. Ad esempio, il sultano Abdul-Aziz pose le basi per la costruzione del Museo di Istanbul nei giardini esterni del Palazzo Topkapi al fine di mettersi alla pari con i principali imperi occidentali. Il suo successore, Abdul Hamid II, cercò in modo continuativo reperti archeologici e antichità provenienti da tutto l'impero ottomano per arricchire le collezioni del museo imperiale. È in questo contesto che Osman

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Hamdi Bey, il primo curatore del Museo di Istanbul, effettuò gli scavi della presunta tomba di Alessandro Magno appena scoperta nella città di Sidone nella primavera del 1887 e recuperò i reperti che includevano il famoso sarcofago (Seif,2015,66). Tuttavia, non erano solo gli Ottomani che sottraevano reperti archeologici dal territorio del Libano odierno ma anche i musei occidentali che, su commissione, volevano arricchire le proprie collezioni. Incoraggiati da questo desiderio, alcune persone del luogo e stranieri iniziarono a scavare e a reperire reperti archeologici per venderli all’Occidente. Così nacquero le famiglie di ‘trafficanti professionisti’ in questo ambito; ad esempio, una famiglia di diplomatici francesi, i Durighellos, usò la propria posizione per scavare e vendere gli oggetti di elevato valore storico ed artistico soprattutto al museo del Louvre negli ultimi anni dell’Ottocento (Fontan, E. 2004a: 192-201 In: Seif, 2015,67). La scoperta più importante fatta dalla famiglia Durighello fu il Mitreo di Sidone, dove molte statue di marmo furono scavate e vendute al Louvre, dove occupano tuttora una posizione di grande rilievo (Klat 2004: 180-187. In: Seif, 2015,67). Un altro fornitore del Louvre fu la famiglia libanese Farah di Tiro. Clermont-Ganneau, il rinomato archeologo ed orientalista dell'epoca, scrisse che aveva concordato con la famiglia Farah di far eseguire determinati scavi in loco e di mandargli tutto ciò che di rilevante potevano trovare. I Farah lavoravano in segreto, contrabbandando i loro reperti di notte per spedirli a Parigi. Nei registri del Louvre, i nomi dei diversi membri di questa famiglia, come venditori di antichità, furono registrati tra il 1890 e il 1911. I membri della famiglia Farah non vendevano oggetti solo al dipartimento delle antichità orientali, ma anche ai dipartimenti di antichità greche e romane (Fontan 2004b: 51.In: Seif, 2015,68). Sulla base di questo si può constatare che la tradizione di ‘caccia al tesoro’ fu abbastanza radicata sul territorio libanese e quello che successe negli anni Ottanta dello scorso secolo fu la sua ‘logica continuazione’. Oltre alla povertà della popolazione locale nelle zone colpite dalla guerra, vi erano anche altre ragioni che generarono il fenomeno dei trafficanti e dei saccheggiatori. Alcuni studiosi sostengono (Seeden,1994; Hakimian,1991) che alla povertà si affiancava anche una mancanza di informazioni e formazione culturale all’interno la popolazione locale, soprattutto per due motivi: la prima fu l’abbassamento della qualità delle strutture scolastiche dovuto alla profonda frammentazione delle comunità e la prolungata privazione economica e culturale durante la guerra. Inoltre, gli scavi ufficiali e le scoperte di grande rilievo nel periodo prebellico venivano effettuate da spedizioni straniere, le quali poi pubblicavano il risultato dei propri ricercatori ma raramente in lingua araba (Seeden,1994,95). In più, all’aumento del numero dei saccheggiatori nel Paese contribuirono anche i mass media che nutrivano l’idea di una sorta di ‘caccia al tesoro’. Un esempio emblematico di questa categoria di eventi fu il c.d. ‘Tesoro di Seuso’, una serie di quattordici

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oggetti in argento risalenti al periodo romano (IV secolo d.C.) e attribuita a Seuso dalla dedica incisa su uno dei piatti. La collezione fu messa all’asta dalla casa d’aste Sotheby´s, nel 1990, per un valore stimato di circa 40 milioni di sterline. Siccome non si poté identificare con esattezza la provenienza di tali reperti, Sotheby´s pubblicò un invito per ricevere notizie utili, al quale risposero il Libano, l’Ungheria e l’ex Jugoslavia. Fu fornita una documentazione in cui si affermava che la collezione era stata trovata nelle regioni di Tiro e Sidone, nel Libano, ma alla fine tali documenti si rivelarono come falsi. La pubblicità che ottenne questa vicenda nei media fece sì che “the local effect of this international controversy between antique barons, in

their strongholds in western European capitals, was a fantastic incentive for continued and increased looting in the ancient towns of Lebanon. Sales of metal detectors have risen sharply in this country ever since this story was carried to people´s houses” (Seeden,1994,100). Infine,

è opportuno soffermarsi sul fatto che i saccheggiatori libanesi (ancora oggi) non percepiscono il risultato delle loro azioni come un crimine. Molti di loro sono convinti di possedere gli oggetti scoperti dal momento in cui li hanno trovati nella loro proprietà privata, e non sono pronti a consegnarli ai funzionari del governo (Sader,2012,63). Essi on rispettano la legge che richiede a loro di dichiarare e rinunciare i loro ritrovamenti (art. 9 della Legge sulle Antichità n.166 LR del 1933) nonostante sia anche stabilito che la Direzione Generale delle Antichità è tenuto a valutare e a acquistare gli oggetti archeologici da loro stessi (art. 9 della Legge sulle Antichità n.166 LR del 1933, artt.10-11). Ciò è dovuto a una profonda e non sempre ingiustificata sfiducia verso la competenza, l'onestà e l'efficienza delle autorità, e al timore che lo Stato espropri la loro terra, ove è stata fatta la scoperta, ad un prezzo sottovalutato. In molti casi, il saccheggio inizia con scoperte accidentali e si sviluppa per diventare poi una ricerca sistematica di artefatti e reperti archeologici. Le persone nei villaggi, specialmente quelle situate nelle vicinanze degli scavi in corso, approfittavano della mancanza di un controllo generale ed eseguivano gli scavi illeciti sui siti archeologici utilizzando anche macchinari pesanti, tra cui escavatori meccanici e bulldozer. Ovunque fosse stato avviato un nuovo cantiere, specialmente in aree che avevano un potenziale valore archeologico, gli scavatori clandestini avrebbero poi ispezionato lo scavo per reperire una qualsiasi potenziale cavità nel terreno che poteva poi portare a una tomba, o una qualsiasi struttura che poteva rivelare la presenza di artefatti, in particolare pavimenti a mosaico, molto richiesti dai collezionisti (Seif,2015,68). Una volta trovata una nuova tomba, i saccheggiatori avrebbero avvertito la sua presenza a chilometri di distanza. Il giorno seguente, l'intera area sarebbe stata ‘snocciolata’, ripulita e ‘craterizzata’ dai decine di tombaroli alla ricerca di nuovo materiale e reperti archeologici da vendere ai trafficanti. I principali siti interessati dal saccheggio rimangono oggigiorno siti di sepoltura dei periodi fenici e classici.

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Tali tombe erano molto apprezzate per i loro preziosi manufatti, che erano spesso ben conservati e ciò significava poter richiedere dei buoni prezzi in fase di vendita. Tuttavia, è opportuno sottolineare che in questa massiccia operazione illegale di furto degli antichi tesori del Libano furono coinvolti anche molti funzionari e le stesse milizie libanesi, così come eserciti degli altri Paesi coinvolti nella guerra civile in corso (Kaj,1988, 24/07). Numerosi studiosi si lamentarono dello stato del patrimonio culturale nel Paese alla fine della guerra (Hakimian,1987; Seeden,1994; Sander 1994; Fisk,1991). Robert Fisk, il corrispondente dal Medio Oriente per il quotidiano britannico The Independent, in uno dei suoi articoli paragona la situazione degli scavi illeciti nel Libano a quella di un grande supermercato. In “The Biggest Supermarket in

Lebanon” nel 1991 descrisse l’attività dei saccheggiatori nei siti archeologici più importanti.

Ad esempio, nella città antica di Tiro gli scavi illeciti avvenivano su larga scala ancora all’inizio degli anni Novanta (gli Accordi di Ta´if furono stipulati nel 1990), poiché le forze armati libanesi si schierarono nel Sud del Paese solo dopo maggio del 1991, quando le milizie (con l'importante eccezione di Hezbollah) furono sciolte e le Forze armate libanesi iniziarono lentamente a ricostruire se stesse come l'unica grande istituzione non ‘settaria’ del Libano (Salamey,2013,58). I reperti archeologici che venivano trafugati a Tiro riguardavano principalmente i cimiteri dell'epoca romana e dell'età del ferro, tra cui il Tofet: la necropoli infantile con i resti umani sepolti in pentole in terracotta, con accanto giocattoli e piccoli doni. I saccheggiatori (di cui facevano parte anche le milizie rivali libanesi) facevano esplodere i reperti delle dimensioni più grandi in modo da poter successivamente vendere a basso prezzo nel mercato della città pezzi più piccoli, come teste romane o animali scolpiti (Kaj,1988, 24/07). Una volta che questi oggetti erano stati saccheggiati, venivano immessi in commercio e comprati dai commercianti libanesi, in particolare l’oro e la ceramica venivano poi spediti verso i mercati di antichità di tutti i continenti. Fisk (1991, 243) descrisse il lavoro dei saccheggiatori nei siti archeologi di Tiro: “you can see the obsessive ant-like nature of the grave-diggers' work.

They have cracked open the tombs systematically, shovelling out the earth and rocks, gouging their way into side tunnels and then hastily filling in the graves with pieces of hewn rock”. Gli

oggetti di marmo e i sarcofagi di piombo venivano contrabbandati, nella loro interezza, dal Libano attraverso navi che facevano tappa in porti illegali a Cipro, di solito con la connivenza delle milizie libanesi. Come affermò un commerciante dedito ai traffici illeciti di antichità “We

send almost everything by sea. You can't take a marble tomb through Beirut airport. Once the stuff reaches Cyprus, the Lebanese government can't touch it” (Fisk,1991,248). Per quanto

invece riguarda gli oggetti più piccoli, vetri romani o gioielli in oro, essi venivano spediti in altri paesi attraverso l'aeroporto di Beirut, inviandoli come bagaglio registrato che non era

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soggetto allo stesso controllo del bagaglio a mano. Tra i saccheggiatori libanesi girava un racconto della scoperta di ventimila statuette di terracotta fenicia trovate nelle tombe a Bourj al-Shemali, ad est della città, quasi tutte esportate segretamente in America e in Giappone. La quantità esportata era così grande che ogni figurina veniva venduta per poco più di 60 dollari sul mercato internazionale dell'arte. Gli scavi clandestini non si limitarono alla terra ma molti furono fatti anche nell'area della marittima di fronte alla riva di Tiro. Migliaia di statue e anfore vennero estratte attraverso scavi effettuati in prossimità della costa e provenienti da navi naufragate sotto le acque del mare, ed ancora oggi alcune si trovano in vendita in eleganti

boutique di antiquariato negli Emirati Arabi Uniti (Seif,2015,68). Tuttavia, nell’ultimo periodo

di guerra ci furono dei tentativi di combattere il saccheggio e la distruzione delle antichità su questo sito. Ad esempio, con l’arrivo delle milizie sciite di Amal nel 1985 a Tiro, vennero confiscate, durante un controllo, quaranta sculture del periodo fenicio a un gruppo di giovani che cercavano di trafugarle all'estero. Il Direttore Generale dell´UNESCO di allora Amadou – Mahtar M´Bow nel rapporto Heritage Alert for Tyre152 del 1987 invitò tutti quelli che “feel

deeply concerned by the future of this outstanding place to make world public opinion more aware of the danger facing the historical heritage of the city and to join forces in order to spare it from any further harm and depredation until such time as the Lebanese Government can take the action necessary for its preservation and restoration…The international community must, for its part and liaison with the national authorities, help them (the Lebanese Government) by discouraging trade in items illegally acquired from the site of Tyre. The co-operation of the international organizations, governments, museums and art specialists is essential in this regard”. Sempre nel 1987 venne emesso un ordine dal commando della Peacekeeping Force

delle Nazioni Unite che impediva alle forze di pace di acquistare oggetti antichi dissotterrati e venduti illegalmente nel territorio libanese meridionale (Kaj,1988,24/07). Con l’arrivo delle forze militari libanesi nel dicembre 1991 venne confiscato il contenuto di un camion che era stato seguito fino al porto di Jounié. All'interno del camion c’erano tre sarcofagi, uno in piombo, un altro in marmo greco, tutti squisitamente tagliati e scavati dai cimiteri romani nel sud del Libano. L'autista fu imprigionato ma il committente non venne trovato (Kaj,1988,24/07). Il mercato nero di antichità prese di mira anche l’antica città di Biblo, dove, tuttavia, il trafugamento dei reperti archeologici non raggiunse i livelli di Tiro. All’interno della cittadella dei Crociati venne realizzato dalla Direzione Generale delle Antichitá (DGA), durante il

152 Per ulteriori informazioni visitare il sito: https://unesdoc.unesco.org/ark:/48223/pf0000077765 , Data ultima consultazione: 05/01/2019.

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periodo di pace, un magazzino per i reperti archeologici provenienti dagli scavi ufficiali su tutto il territorio libanese. In questo posto furono spostati, nel 1979, centinaia di reperti provenienti dagli scavi del Tempio di Eshmun situato vicino alla città di Sidone. Il tempio, dedicato al dio fenicio della guarigione e fertilità Eshmun, fu scavato dalla Mission ArchéologiqueFrançaise

e gli scavi furono diretti dall’archeologo Maurice Dunand negli anni Sessanta. Durante gli scavi sponsorizzati dallo Stato libanese furono ritrovate numerose offerte votive sotto forma di statue di soggetti ‘guariti’ da tale divinità; in modo speciale bambini e neonati. La posizione della città di Sidon, circa 40 miglia a nord dal confine israeliano e circa 25 miglia a sud di Beirut, divenne una delle zone più pericolose, poiché era vicina ai luoghi ove si combatterono alcune delle battaglie più dure dell’intera guerra del Libano (Bogdanos,2017,5). Fu così, che nel dicembre 1979 il Direttore della DGA, Maurice Chebab, decise di spostare al sicuro (sotto la supervisione di Dunand) i reperti di Eshmun nel magazzino a Biblo. Nella nuova sede rimasero intatti fino all’estate del 1981. Il 3 agosto 1981 la guardia del magazzino comunicó al Ministero del turismo che questi oggetti erano stati portati via dal magazzino dai membri armati del Katd'ib – Partito Falangista Libanese153. Il rappresentante del Ministero del turismo Saleem Abi Al-Lame'e incontrò il giorno dopo nel ‘luogo del crimine’ il leader locale del Partito Falangista lssam Khouri. Nella lettera indirizzata al Direttore del DGA, Maurice Dunand, che venne chiamato a Biblo per preparare un inventario di ciò che era rimasto e ciò che mancava, descrisse la sua conversazione con lssam Khouri: “They would have learned, he says, that some people would

have come to loot the antiquities in the French castle. [Illegible] the taken antiquities will be brought back to Byblos when the castle will have been [illegible] and that we will be able to make a well-kept museum. The Phalangists [illegible] all the antiquities that they will find in the [illegible] in the region of Byblos, from the humblest to the most [illegible] homes”

(Bogdanos, 2017, 8.). Pochi giorni dopo, il 13 agosto 1981 (in assenza di Dunand) la polizia locale incontrò i leader dei falangisti e riuscì a negoziare un accordo per restituire le antichità di Eshmun alla cittadella. Infatti, nell’arco di ventiquattro ore vennero consegnati “63 statue e

pezzi di marmo e pietra, 16 vasi di ceramica in diverse dimensioni e 82 scatole chiuse”

(Bogdanos,2017,8) che furono ispezionati solo successivamente da Dunand nel gennaio 1993. Quello che trovò nelle scatole non corrispondeva alla quantità dei reperti prima del furto: “I

went to see what they had returned to the great hall in the castle. Apart from antiquities of the

153Falangi Libanesi (al-kata’ib al-lubnaniyya) o Partito Falangista Libanese è una formazione politico-militare nazionalista libanese, nata nel 1936 sul modello della Falange spagnola, per combattere l’occupazione coloniale francese. Inizialmente multiconfessionali, le Falangi Libanesi divennero la milizia della comunità cristiano- maronita durante la guerra civile libanese del 1975-90, sotto il comando della famiglia Gemayel.

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Eshmun Temple that had been piled up in bulk and that are only [thin] shards of marble with a few larger pieces, the rest is contained in big boxes, very well sealed with large tape. I examined about half a dozen of them. The boxes are half empty, even three quarters empty sometimes. One can see many potteries from Byblos. But, surprise: in one of them, there are flints [“silex”] that are foreign to our excavation. They have the indication AK, followed by a number 266, 479 for example. Another delivered a naked torso with its head intact. However, it is in plaster and does not have a number. It is clear that those who did this work did it with malice and wanted to give the impression that they were returning many antiquities to Byblos” (Bogdanos, 2017,9).

Quasi 600 oggetti facenti parte della collezione di Eshmun furono venduti sul mercato nero. I primi reperti che vennero restituiti nel 1988 furono due delle statue di “Babies of Eshmoun” dopo che erano scoperte in una vendita pubblica (asta) a Zurigo (Fisk,1991,241). Negli anni Novanta vennero rimpatriati altri reperti quando il professor Rolf A. Stucky, che faceva parte della spedizione archeologica a Eshmun negli anni Settanta, nel 1991 a Zurigo al mercato internazionale dell’arte trovò un catalogo dell’asta di Numismatic & Ancient Art Gallery contenente tre torsi e una testa maschile provenienti dagli scavi in questione. Stucky avvertì le autorità libanesi di tale scoperta e questi oggetti vennero confiscati dalla stessa polizia svizzera. Alla fine, il possessore volontariamente restituì tutte e quattro statue al Libano (Bogdanos,2017,14). Ma ancora oggi, non tutti gli oggetti provenienti dagli scavi del Tempio di Eshmun sono rientrati in Libano.

Il terzo luogo che venne praticamente distrutto dai saccheggiatori fu il sito archeologico di Kamid el-Loz154 situato nella valle della Beqaa. Gli scavi di maggiore rilievo furono eseguiti negli anni 1963-1981 dalla spedizione archeologica tedesca dell’Università di Saarbrücken. Gli

oggetti trovati (la figurina in avorio di un suonatore di lira, una spada falcata in bronzo, collane e vasi d'oro, chiamati anche il ‘Tesoro del palazzo’) furono la prova unica di uno dei

154Kamidel-Loz è il nome moderno dell’antica città di Kumidi situato nella valle della Beqā', all'incrocio della strada che conduceva dalla Siria interna alla costa del Mediterraneo con l'altra importante via di comunicazione tra la Palestina, la valle del Giordano e l'alta Siria che, penetrata nella regione a seguito delle campagne militari di Thutmosis I alla metà del XV sec. a.C., vi pose il centro del proprio sistema amministrativo, sede del governatore sui possedimenti asiatici. La menzione di Kumidi fanno i testi egiziani dell'epoca segue la stessa formula usata per le altre capitali amministrative di Siria, in cui le città compaiono in qualità di possedimenti personali del faraone. Il tell (parola che significa “collina”, è un tipo di sito archeologico, il risultato dell'accumulo e della seguente erosione di materiali depositati dall'occupazione umana in lunghi periodi di tempo) era già stato sede di

insediamento nel tardo Neolitico, ma solo durante il periodo del Bronzo Medio ospitò un vero e proprio centro urbano.

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più antichi insediamenti in questa parte del Medio Oriente (Fisk, 1991, 248). Tali oggetti vennero prestati alla Germania per lo scopo di conservazione, ricerca e custodia (Seeden,1994,3) ma ora sono rientrati al Museo Nazionale di Beirut. Successivamente all’invasione israeliana del Libano, nel 1982, gli scavi furono sospesi per i motivi di sicurezza, lasciando il sito aperto ai c.d. ‘tombaroli’ (Seeden,1994,97). Anche se alcuni furti di antichità