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Lo Statuto del Tribunale Penale Internazionale per l'ex Jugoslavia

SEZIONE II: Statuti dei Tribunali Penali Internazionali

2.1 Lo Statuto del Tribunale Penale Internazionale per l'ex Jugoslavia

Il Tribunale Internazionale per il perseguimento di persone responsabili di gravi violazioni del diritto umanitario internazionale, commesse nel territorio dell’ex-Jugoslavia dal 1991, detto

anche Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia (TPIJ), fu un organo giuridico delle Nazioni Unite, chiamata a giudicare gli eventi avvenuti in 4 differenti conflitti: in Croazia (1991-95), in Bosnia-Erzegovina (1992-95), in Kosovo (1998-99) e in Macedonia (2001). Venne istituito con la Risoluzione n. 827 che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite adottata il 25 maggio 199371. La decisione di istituire un Tribunale ad hoc per i responsabili di crimini di guerra e contro l’umanità nella ex-Jugoslavia, è stata adottata dal Consiglio nonostante le critiche pervenute da parte di alcuni Stati membri. Gli obiettivi del Tribunale sono: condannare le persone considerate responsabili per gravi e numerose infrazioni di diritto internazionale umanitario, rendere giustizia alle vittime, impedire ulteriori crimini, ristabilire la pace attraverso la riconciliazione72. Per quanto riguarda la protezione dei beni culturali, nell’ambito dello Statuto del TPY i beni culturali sono tutelati attraverso la previsione di tre tipologie di fattispecie penali (Frulli, 2007,268):

a) Le violazioni delle leggi e delle consuetudini di guerra (le gravi violazioni della Convenzione di Ginevra del 1949 incluse).

b) I crimini contro l’umanità, tra cui in particolare la persecuzione per ragioni politiche, razziali e religiose.

c) Il crimine del genocidio.

La distruzione dell’antica città di Dubrovnik e della biblioteca di Sarajevo, il deliberato attacco all’antico ponte di Mostar: sono questi i casi di maggior rilievo di prassi giurisprudenziale dei Tribunali dell’ex-Jugoslavia. Durante tali scontri i belligeranti cercarono di ottenere un vantaggio psicologico attaccando direttamente la proprietà culturale del nemico senza la giustificazione della necessità militare. Tale era il contesto durante il conflitto nell'ex

71 Per ulteriori informazioni sul Tribunale Penale Internazionale dell'Ex-Jugoslavia: http://www.icty.org; Data ultima consultazione 15/05/2018.

Il Tribunale per la Ex-Jugoslavia: l'attività svolta e il suo prossimo scioglimento, Milano, 2007; Zagato, L., La protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato all’alba del secondo Protocollo 1999, Torino, 2007, pp.170-174.

72 Risoluzione n. 827 del 25.5.1993 concernente l'istituzione del Tribunale internazionale per i crimini contro l'umanità nella ex Jugoslavia e relativo Statuto.

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Jugoslavia. Allo stesso modo in cui lo stupro divenne uno strumento per distruggere l'identità dell'avversario, l'aggressione culturale, cioè la distruzione e il saccheggio delle risorse culturali non rinnovabili dell'avversario, divenne uno strumento per cancellare la manifestazione dell'identità dell'avversario. Questa “pulizia culturale” rappresentò una forma di “pulizia etnica” (Abtahi,2001,1). Tutti questi crimini vengono imputati sulla base dell´art. 7 che prevede la responsabilità penale individuale per i crimini contemplati nello Statuto. I soggetti che possono venir giudicati dal ICTY, ai sensi dell´art.6 del testo in esame, sono solamente gli individui, e non le organizzazioni, i partiti politici, le entità amministrative e qualsiasi altro gruppo considerato come soggetto di diritto. La studiosa Maugeri afferma (2008,104) che i beni culturali vengono tutelati dallo Statuto in due forme penali: indirettamente, in quanto beni civili, per cui valgono tutte le disposizioni relative a questi ultimi, e direttamente, in quanto beni culturali, nel senso che viene loro riconosciuta una protezione speciale in caso di conflitto armato attraverso fattispecie che incriminano direttamente le aggressioni contro tali beni. Le due tipologie di protezione si sovrappongono; nel senso che se non è possibile la tutela diretta, viene applicata quella indiretta. In questo modo, ai beni culturali viene attribuita una doppia protezione. L´art. 3 stabilisce alcune gravi violazioni delle leggi e delle consuetudini della

guerra tra cui, al par. d) “il sequestro, distruzione o danneggiamento deliberato di edifici dedicati al culto, all’assistenza, all’educazione, alle arti o alle scienze, di monumenti storici e opere d’arte o di scienza;” che vanno interpretati alla stregua della nozione di bene culturale

fornito dall´art. 1 della Convenzione dell’Aja del 1954. Lo Statuto offre così la possibilità di sottoporre a processo i responsabili di gravi attacchi contro il patrimonio religioso e culturale, ponendo un’importante garanzia diretta alla protezione di tale patrimonio (Frulli, 2007,255). Il Procuratore del TPIJ ha contestato agli accusati di aver violato l´art. 3 d) dello Statuto in numerosi casi, per esempio, nei noti casi riguardanti gli imputati Karadić e Mladić,73 Blaskić74 e Milošević.75

a) Per quanto concerne l´art. 2 e quindi le gravi infrazioni delle Convenzioni di Ginevra

del 1949, anche esso, in particolare lett. d) 76 è stato largamente utilizzato, oppure come

73 Prosecutor v. Karadić e Mladić, Idictment, luglio 1995, Count 6.

74 Prosecutor v. Blaskić, Second Amended Indictment, 25 aprile 1997, Count 14. 75 Prosecutor v. Milošević, Amended Indictment (Bosnia), 21 aprile 2004, Count 21.

76 Cfr. Art. 2, lett.d), Statuto ICTY, il quale dichiara che “il Tribunale Internazionale potrà perseguire le persone che hanno commesso o che hanno ordinato di commettere gravi infrazioni delle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, in particolare i seguenti atti contro persone o proprietà protette dalle norme della rispettiva Convenzione di Ginevra: […] estesa distruzione e appropriazione di proprietà, non giustificata da necessità militari e realizzata illecitamente e senza il consenso dell’interessato”. L'articolo in questione non contiene uno specifico riferimento ai beni culturali per cui non c'è, come nell'art.3, d), una formula precisa da riprendere in

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crimini rientranti in uno degli altri paragrafi dell'articolo 3, in particolare b)77, c)78 ed e)79 (Frulli, 2007,261). È importante sottolineare che l´art.2 lett. d) in esame non fa un diretto riferimento ai beni culturali che si potesse riprendere in maniera letterale nei procedimenti penali. La prassi del TPIJ fu allora quella di accuse cumulative, come descritto da Maugeri. Anche l´art. 3, lett. b) c) ed e) dello Statuto vennero utilizzati per accusare le persone responsabili per la distruzione o danneggiamento di beni religiosi e culturali, che si sovrappongono all’attacco illecito contro obiettivi civili. Per la violazione dell´art. 3, lett. b), c) e e) Pavle Strugar venne condannato a 7 anni e mezzo di carcere per la sua partecipazione alla campagna militare nel 1991 contro la regione di Dubrovnik80.

b) In merito ai crimini contro l’umanità e la distruzione di beni culturali e religiosi come atti di persecuzione, essi vengono affrontati dall´art. 5, lett. h) che autorizza il Tribunale internazionale di perseguire le persone responsabili dei crimini quando siano commessi nel corso di conflitti armati, di carattere internazionale o interno, e diretti contro una popolazione civile per motivi politici, razziali, religiosi; l´inclusione di attacchi contro il patrimonio religioso e culturale nell´ambito di crimini antropocentrici è un passaggio significativo (Frulli, 2007,262) in quanto i beni culturali non sono protetti per se stessi, ma per il loro valore rappresentativo rispetto a un particolare gruppo di persone (Abtahi, 2001, cit. da Gioia, 2007,215,). Il crimine di persecuzione, tuttavia, come sottocategoria dei crimini contro l’umanità non è specificamente definito. Perciò non fu possibile includere attacchi mirati contro il patrimonio religioso e culturale tra gli atti di persecuzione, ma il TPIJ si spinse in questa direzione lo stesso, come il suo predecessore, il Tribunale Militare di Norimberga (Frulli, 2007,263). Per gli atti di persecuzione fu punito, per esempio, Zoran Kupreškić81.

maniera letterale negli atti di accusa e nelle sentenze. In questo modo gli atti di incriminazione usano un gran numero di espressioni e modi per contestare un crimine grave delle Convenzioni di Ginevra.

77 Cfr. Art.3, lett.b), Statuto ICTY, riguarda la “distruzione arbitraria di città, paesi o villaggi, o devastazione non giustificata da esigenze belliche”.

78Cfr. Art.3, lett.c), Statuto ICTY, si riferisce ad “attacco o bombardamento, con qualsiasi mezzo, di paesi, villaggi, abitazioni o edifici indifesi”.

79 Cfr. Art.3, lett.e), Statuto ICTY, concerne il “saccheggio di proprietà pubbliche e private”.

80Prosecutor v. Strugar, Trial Chamber, Judgement, 31 gennaio 2005, paragrafo 223, per approfondire: Zagato, L. La protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato all’alba del secondo Protocollo 1999, Torino, 2007, p.174.

81 Prosecutor v. Kupreškić, Trial Chamber, Judgement, 14 gennaio 2000, paragrafo 568, per approfondire: Zagato, L. La protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato all’alba del secondo Protocollo 1999, Torino, 2007, p.172.

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c) Infine, la distruzione di beni culturali e religiosi come elementi del crimine di genocidio, è dedotto dall´art. 4 del testo in esame. Il TPIJ è riuscito ad individuare un legame tra attacchi contro luoghi o beni che sono espressione della cultura di un determinato gruppo e il crimine di genocidio. Il concetto del genocidio culturale non venne inserito nella Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1948. Venne ripreso dal TPIJ quarantacinque anni dopo cercando di riaffermare questo legame, in quanto si dimostrò che la distruzione intenzionale dei beni culturali e religiosi era un elemento di prova del dolo specifico per il crimine di genocidio (Frulli, 2007,272). In particolare, nel caso di Krstić82, il TPIJ affermò: “laddove c’è distruzione fisica o biologica di un gruppo, vi

sono spesso contemporaneamente attacchi nei confronti di beni e simboli culturali e religiosi del gruppo preso di mira, così come attacchi che possono legittimamente essere presi in considerazione come elemento di prova del dolo specifico di voler distruggere in tutto o in parte quel gruppo (TPIJ, Krstić, Trial Chamber, par.580, cit. da

Maugeri,2008,240).

Riassumendo, la prassi del Tribunale Penale Internazionale per l'Ex-Jugoslavia rappresenta un esempio significativo di applicazione delle norme in materia di responsabilità penale individuale per gravi attacchi commessi, durante un conflitto armato, contro il patrimonio artistico, religioso e culturale (Frulli, 2007,254) prima ancora che si adottasse il Secondo Protocollo dell’Aja del 1999. In più, il TPIJ affermò che gli attacchi al patrimonio culturale dell’umanità, protetti in maniera diretta e quindi repressi, sono univocamente considerati come illecito penale indipendentemente dalla natura nazionale o internazionale del conflitto armato (Gioia,2007,203). Il TPIJ inoltre, rafforzando la precedente protezione degli strumenti internazionali sulla proprietà culturale in tempi di conflitto armato, affermò così i contenuti delle fonti convenzionali precedenti come principi generali del diritto consuetudinario (Maugeri.2008, 245).