SEZIONE II: La distruzione del patrimonio culturale durante conflitti armat
2.2 La sicurezza e salvaguardia del patrimonio culturale in caso d
2.1.1 La gestione dei rischi nelle situazioni di emergenza
Nella Sezione I sono stati analizzati i motivi per la distruzione del patrimonio culturale che possono essere vari. Per evitare i possibili effetti di un conflitto bisogna adeguatamente prepararsi prima che questo stesso abbia inizio, ma, come è stato confermato in diversi casi, la messa in protezione dei beni culturali nei confronti delle eventuali conseguenze dannose degli eventi bellici spesso non è sufficiente: oltre al pericolo della tragica perdita di vite umane, c'è anche il rischio di saccheggio o distruzione del patrimonio culturale dell'umanità nelle biblioteche, nei musei e in altri siti culturali. Numerosi sono gli esempi recenti di saccheggio di reperti archeologici di valore artistico e culturale- basta ricordarsi del Museo del Cairo durante i disordini degli scontri civili di piazza Tahrir nel 2011, oppure del Museo Archeologico di Baghdad nel 2003, per citarne alcuni.
Con riguardo alla letteratura rilevante in materia, le cause e le motivazioni che portano a questo esito possono essere riassunte nel seguito (Beiraghi,2010; Stone 2016; Hayashi, 2016):
a) instabilità sociopolitica all’interno dello Stato; b) mancanza dei mezzi amministrativi per agire; c) mancanza o insufficienza di sicurezza;
d) assenza di protezione dei beni culturali nella preparazione prebellica; e) mancanza di consapevolezza militare;
f) negligenza.
a) L’instabilità sociopolitica all’interno di uno Stato dovuta ai disordini civili rappresenta uno dei fattori di maggior rischio. Nel caso in cui un determinato Stato subisca una situazione di instabilità interna, gli organismi internazionali responsabili per la protezione del patrimonio culturale potrebbero non essere in grado di entrare sul territorio occupante oppure di contattare le unità governative per valutare i rischi e mettere in salvo i beni in pericolo. In tali situazioni infatti, il contesto può evolvere in modo negativo molto rapidamente. Inoltre, la protezione del patrimonio culturale può essere di priorità ‘bassa’ quando sono nel pericolo vite umane: in tal caso le autorità amministrative come ad es. la polizia, le guardie del patrimonio o i servizi di soccorso si concentrano soprattutto per salvare le persone (Beiraghi, 2010,97).
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b) La mancanza di mezzi amministrativi che spesso non esistono per l’assenza di un accordo tra le parti belligeranti; in tal caso i negoziati diventano difficili o addirittura impossibili da realizzare, compresa l’applicazione delle convenzioni internazionali (Hayashi, 2016,56).
c) La mancanza di sicurezza è un altro problema nei siti archeologici, dovuta ad una scarsa istruzione e preparazione delle forze di polizia a protezione del patrimonio culturale e all'incapacità di effettuare controlli in ragione delle esigue risorse umane disponibili per gestire la situazione (Hayashi, 2016,57).
d) L’assenza di protezione dei beni culturali nella preparazione prebellica. Durante la Seconda guerra mondiale la protezione della proprietà culturale fu considerata chiaramente come di responsabilità degli Alleati e di alcuni elementi delle forze dell'Asse (Stone, 2016,44). I team “Monuments, Fine Arts, and Archives” (MFAA), operanti all'interno della divisione per gli affari civili degli Stati Uniti, erano composti dai professionisti, storici dell'arte ed altri esperti del patrimonio culturale, che già prestavano servizio nell'esercito in speciali unità, che divennero responsabili dell'identificazione di importanti siti culturali nelle mappe militari in modo che l’aviazione e l’artiglieria potessero evitarli. Gli ufficiali della MFAA hanno seguito la Seconda guerra mondiale, entrando in città liberate proprio dietro le forze di combattimento al fine di proteggere e salvare i siti culturali. Arruolati all’inizio per tutelare monumenti, chiese e musei messi a rischio dai combattimenti, riuscirono, anche grazie all’aiuto di francesi, italiani e di alcuni tedeschi, ad impedire importanti furti e razzie di opere d’arte da parte dei nazisti (Otter, Wegener,2008). Sfortunatamente, gli sforzi del MFAA non vennero seguiti negli anni successivi (Stone, 2016,44), anche se elementi del loro lavoro sono stati mantenuti con le unità degli affari civili degli Stati Uniti, ma come si è visto durante l’occupazione di Iraq nel 2003, essi svolsero solo compiti assai limitati.
e) La mancanza di consapevolezza militare. Nonostante l’elevato numero degli Stati ratificanti la Convenzione dell’Aja del 1954, ben pochi di questi stanno rispettando gli obblighi assunti. Per esempio, l’art.7131 della Convenzione del ´54, così come l´art. 30
131Cfr. Art. 7 della Convenzione dell´Aja del 1954: “Le Alte Parti Contraenti si impegnano ad introdurre fin dal tempo di pace nei regolamenti o istruzioni ad uso delle loro truppe, disposizioni atte ad assicurare l'osservanza della presente Convenzione, e ad inculcare fin daltempo di pace nel personale delle loro forze armate, uno spirito di rispetto verso la cultura ed i beni culturali di tutti i popoli ( par.1);”e “si impegnano a predisporre o costituire, sin dal tempo di pace, nell'ambito delle proprie forze armate,servizio personale specializzati, aventi il compito di assicurare h rispetto dei beni culturali e di collaborazione con le autorità civili incaricate della loro salvaguardia”.
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del Secondo Protocollo del ´99132,cioè munirsi di personale appositamente addestrato
(con specifiche conoscenze in materia di Beni Culturali) e selezionato dentro le fila delle forze armate, nonché provvedere ad una basilare formazione culturale di queste ultime vengono seguite solo da pochi Stati membri della Convenzione del 1954 (Wegener, 2011,2). Gli esperti del settore come, per esempio, il ICBS (il Comitato Internazionale dello Scudo Blu) rileva che la strategia militare spesso non include l’interesse per la protezione dei beni culturali, perché opera secondo criteri ed obiettivi predefiniti e completamente diversi. La natura dei conflitti oggigiorno è cambiata, e gli eserciti spesso devono combattere nei contesti più imprevedibili, in quanto ci sono più attori e parti coinvolte nel conflitto. Le truppe devono avere una comprensione del luogo e della popolazione in cui sono schierati molto più elevata di quanto fosse necessario in precedenza. Perciò, i programmi di formazione militare devono riconoscere ed analizzare le circostanze riguardanti la protezione dei beni culturali nella loro complessità, al fine di prevenire danni al patrimonio culturale nazionale e regionale e alle identità connesse a tale patrimonio (Herndon, Kila, 2014). Inoltre, l'istruzione e la formazione del personale militare deve essere considerato come un “passaggio
fondamentale nella conservazione e salvaguardia dei siti storici ed artefatti culturali”
(Stone, 2016, 49). Il corretto svolgimento dei corsi per l’efficace azione di tutela dipende dalla collaborazione tra le forze armate (dei singoli Stati o internazionali) e le organizzazioni internazionali operanti nel campo della tutela del patrimonio culturale. Ad esempio, la NATO ha sviluppato quello che chiama “l’Approccio globale” che fornisce una migliore comprensione del patrimonio culturale dell’umanità (Stone, 2016,47).
f) Infine, l’insufficiente tutela dei siti archeologici, collezioni museali, archivi e biblioteche è anche risultato della negligenza forzata. Durante il conflitto, la vita normale viene spesso sospesa per ovvi motivi. Il personale delle istituzioni in questione potrebbe non essere in grado di visitare siti archeologici/storici o di raggiungere i musei. La manutenzione ordinaria, la gestione e la conservazione dei beni culturali vengono interrotte. Siti ed edifici storici necessitano infatti di una manutenzione costante e senza tale cura rischiano di cadere rapidamente in rovina. Anche i delicati reperti archeologici
132Cfr. Art. 30 del Secondo Protocollo della Convenzione dell’Aja del 1999: “Qualsiasi autorità militare o civile, che in tempo di conflitto armato, assuma responsabilità relativamente all'applicazione di questo Protocollo, sarà pienamente a conoscenza del testo” (par.3) a tale scopo “le Parti dovranno ad incorporare direttive ed istruzioni riguardanti la protezione dei beni culturali nei propri regolamenti militari” (par.3 lett. a).
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e gli oggetti di valore dei musei devono essere conservati in precise condizioni ambientali che vengono spesso interrotte o rese inapplicabili dai conflitti armati. Altri reperti richiedono uno speciale trattamento con sostanze chimiche che sono spesso impossibili da ottenere in condizioni di conflitto. Tutti questi effetti contribuiscono al deterioramento del patrimonio culturale del Paese in conflitto (Stone, 2016,47; Hayashi, 2016,56).
2.1.2 La sicurezza nei musei e i piani d’emergenza per la salvaguardia delle collezioni in tempi di conflitto
I musei si trovano spesso in pericolo, considerato che negli ultimi conflitti le collezioni museali sono state spesso prese di mira a causa del loro valore simbolico quale espressione dell'identità culturale o del pluralismo di più etnie. Tale tendenza può essere spiegata almeno in parte dal crescente numero di conflitti radicati nelle lotte culturali o di identità e questioni religiose o etnopolitiche, che superano conflitti solo territoriali (Hayashi, 2016,55). In più, i musei si presentano e vengono abitualmente proiettati dai media come magazzini e luoghi di esposizione dei tesori, diventando quindi bersaglio di saccheggi per bande organizzate e persino comuni cittadini. Siccome gli eserciti invasori vedono qualunque tipologia di personale armato come un potenziale nemico, le guardie dei musei e degli altri istituti culturali tendono ad essere attaccati e pertanto sono costretti ad abbandonare il l’avvicinarsi dei combattimenti. Se l'esercito invasore non si assume la responsabilità di proteggere le istituzioni culturali che hanno perso le guardie, i saccheggiatori sfruttano rapidamente il ‘vuoto’ nell’ordine civile. Questo è stato il caso del saccheggio al Museo Nazionale di Baghdad tra l'8 aprile e il 12 aprile 2003, al momento della presa di Bagdad da parte delle Potenze occupanti (Gibson, 2008,27). Il Museo, fino a quel momento, custodiva le più importanti testimonianze di tutta la cultura mesopotamica, mentre ora si configura come una vera e propria tragedia per la comunità internazionale. Dal punto di vista militare, l’operazione dell’occupazione della città di Bagdad fu un successo; nel giro di poche settimane Hussein fu deposto e le principali città irachene finirono sotto il controllo delle forze della coalizione guidata dagli Stati Uniti. Ma per quanto riguarda il Museo, gli USA sono stati duramente criticati per la loro inazione per proteggere uno dei più importanti edifici del Medio Oriente. Già nei primi mesi del 2003, mentre il governo degli Stati Uniti si preparava per una nuova guerra, numerosi studiosi di storia ed archeologia, parecchi dei quali americani, si erano riuniti in un comitato per rivolgere un appello al governo americano, affinché facesse tutto il possibile per evitare di arrecare danni
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al patrimonio archeologico dell’Iraq, un tesoro dell’umanità. Tuttavia, questa richiesta non venne inclusa nel piano operativo. Parallelamente, anche il personale dello stesso Museo non era in grado di reagire adeguatamente, soprattutto per la mancanza di tempo in quanto il Ministero della cultura iracheno diede il permesso per smontare le opere solo tre settimane prima che la guerra iniziasse. Inoltre, non era stato inoltre possibile provvedere alla messa in sicurezza dei beni culturali anche per la mancanza di personale professionale qualificato e di un catalogo esaustivo di tutte le collezioni. Con cinque persone a disposizione vennero realizzate alcune precauzioni basilari, senza le quali il museo sarebbe stato saccheggiato completamente (Gibson, 2008,29). Poco dopo, il personale abbandonò l’edificio per paura dei bombardamenti e il museo, dopo ventiquattro ore di combattimento tra gli americani e i gruppi militari iracheni: Fedayyin 133venne saccheggiato; le teche furono sfondate, le ceramiche distrutte, i sarcofagi aperti. Quando i soldati ricevettero l’ordine di proteggerlo, decine di migliaia di reperti erano già stati rubati. Secondo le statistiche134, vennero rubati circa quindicimila preziosi reperti risalenti all'era mesopotamica, solo 4.300 dei quali sono stati nel frattempo recuperati e restaurati. Uno dei pezzi più preziosi che vennero sottratti al museo fu la Dama di Warka, conosciuta anche come la Gioconda della Mesopotamia o Maschera di Uruk135. Nel settembre del 2003 la maschera è stata restituita, ma è stato anche uno dei casi più fortunati. Il resto della collezione museale è finito presso collezionisti privati, case d´aste oppure venduto su siti di aste online.
A riguardo, è generalmente riconosciuto che, se si prendono le misure appropriate al momento giusto, almeno una parte della distruzione del patrimonio culturale può essere evitata (Jigyasu,2011; Roberts,2011; Stone, 2016; Bogdanos,2008; Hayashi, 2016), ma per ottenere questo risultato non basta solo un’azione di reazione immediatamente prima, o subito dopo del conflitto. Soprattutto nei casi di conflitti dovuti all’instabilità interna dello Stato, le organizzazioni internazionali responsabili per la salvaguardia dei beni culturali potrebbero non essere in grado di entrare nello Stato in conflitto oppure contattare le unità governative per valutare i rischi e salvare il patrimonio culturale in pericolo. In tali situazioni, i fatti possono
133letteralmente significa devoto. Questo termine nel corso della storia è stato utilizzato per descrivere numerosi e distinti gruppi militanti o individui in Armenia, Iran e nel mondo arabo. Il termine è stato usato da una formazione paramilitare irachena costituita nel 1995 durante il regime baathista di Saddam Hussein denominata Fedayyin di Saddam e sciolta nel 2003 in seguito all'invasione dell'Iraq da parte della coalizione multinazionale.
134https://www.avvenire.it/mondo/pagine/museo-baghdad-riapre-risposta-iraq-a-isis, data ultima consultazione 21/08/2018.
135 La Maschera di Uruk è un manufatto sumero risalente al 3100 a.C. e viene considerato la prima rappresentazione conosciuta del volto umano: fu trovato a Warka (Uruk) durante gli scavi del 1938, è in pietra bianca e a grandezza quasi naturale.
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evolvere molto rapidamente. Uno degli elementi chiave risulta il coinvolgimento degli esperti e della popolazione locale durante le operazioni di salvaguardia, come si è visto nei recenti conflitti, per esempio in Egitto nel 2011, dove la popolazione locale si è organizzata spontaneamente in una sorta di ‘scudo umano’ al fine di proteggere il museo nazionale (Jigyasu,2011,3), oppure l'azione intrapresa dagli abitanti del villaggio di Brhlia, nella zona della Valle Barada in Siria, dove è stato rinvenuto un mosaico risalente alla metà del IV secolo a.C.. Assistiti dalle autorità locali, gli abitanti del villaggio hanno trasportato l'artefatto al Museo Nazionale di Damasco (Hayashi, 2016, 58). In assenza di interventi guidati da forze neutrali e legittimamente mandate, la comunità del patrimonio internazionale si è basata in gran parte sulle fonti locali e sulla cooperazione per ottenere informazioni attraverso il monitoraggio e i controlli giornalieri. Gli attori locali possono svolgere ruoli importanti nell'osservare ciò che sta accadendo sul posto, adottando spesso misure preventive per ridurre al minimo o prevenire danni ai musei e le collezioni (Hayashi, 2016,57). Ad esempio, il ruolo del personale locale con esperienza nei casi in cui i gruppi di estremisti minacciano di distruggere il patrimonio culturale per i motivi religiosi, gli sforzi politici sono spesso inefficaci e rischiano di aumentare la possibilità che si verifichi un attacco. Invece, gli esperti locali potrebbero più facilmente affrontare i problemi e trovare i soggetti più adatti per porre rimedio la situazione. Infatti, il personale del Museo Nazionale dell'Afghanistan ha sottolineato che la protezione dei siti del patrimonio culturale sarebbe stata più efficace se fosse stato possibile per attori internazionali come l'UNESCO stabilire contatti con esperti locali invece che affidarsi alla pubblica amministrazione (Beiraghi, 2012,98). Anche per le future missioni militari di pace le conoscenze degli esperti locali hanno un valore inestimabile poiché informano le forze militari straniere dei luoghi, oggetti e siti di massima importanza per la popolazione locale e come bisogna conservarli e tutelarli. Attraverso il mantenimento dei luoghi o dei siti sacri vitali per l’esistenza degli stessi siti, la missione contribuisce alla stabilizzazione della situazione all’interno dello Stato in conflitto (Hoh, 2008,201). Nei contesti post-conflittuali bisogna combattere contro il saccheggio degli oggetti facenti parte del patrimonio culturale. Come già descritto in precedenza, i motivi per il loro furto sono diversi e il personale a protezione è spesso esiguo. Per svolgere questa funzione possono essere contattate personalità locali specializzate da corsi di formazione per esperti in protezione di beni culturali (Hoh, 2008,202). Queste figure devono soprattutto dimostrare sensibilità e rispetto per il patrimonio culturale in questione e considerarlo come la parte integrante dell’orgoglio nazionale (Hayashi, 2016,60; Beiraghi, 2012,100). Riassumendo, riunire professionisti e comunità locali può fornire le condizioni primarie necessarie per evitare gravi
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perdite e danni al patrimonio culturale. Tale ente internazionale puó contribuire in modo significativo all'efficacia delle operazioni, soprattutto se le istituzioni e le loro proprietà sono riconosciute come importanti punti di riferimento di per sé stessi, e non solo come “vecchi edifici” o istituzioni esogene, e se ciò che rappresentano è considerato “prezioso”, non solo in termini economici ma anche e soprattutto per il suo valore sociale. Tuttavia, bisogna tenere a mente che anche con una buona preparazione, il successo delle misure adottate in emergenza dipende soprattutto dalle circostanze, dalla volontà degli attori locali, dalle condizioni di sicurezza, dal grado di pianificazione della preparazione precedente e dalla disponibilità di risorse materiali e finanziarie (Hayashi, 2016,60).
Per arrivare ad un funzionamento efficace di queste azioni, le organizzazioni internazionali operanti nel campo dovrebbero riunirsi insieme per sensibilizzare ed aiutare agli esperti del settore e la popolazione locale nelle zone di conflitto apportando competenze e conoscenze per far fronte alla gestione dei musei e collezioni in tempi normali e allo sviluppo dei mezzi necessari per rispondere alle emergenze (Hayashi, 2016,61). Sfortunatamente, l'UNESCO non può agire direttamente a causa dei fondi limitati a disposizione, pertanto collabora con altri organismi internazionali affiliati che coprono diverse aree nella conservazione del patrimonio culturale (Hussein Moustafa, 2016,330), come sancito dall´art.27, par.3 del Secondo Protocollo del 1999. Tali organismi includono la Federazione Internazionale delle Associazioni e Istituzioni Bibliotecarie (IFLA), l’Organizzazione Internazionale dei Musei (ICOM), il Consiglio Internazionale dei Monumenti e dei Siti (ICOMOS) e il Consiglio Internazionale degli Archivi (ICA). Esse insieme crearono nel 1996 il Comitato Internazionale dello Scudo Blu (ICBS), chiamato anche ‘la Croce Rossa della Conservazione del Patrimonio Culturale’, in quanto il suo personale è segnalato con un emblema simile a quello della Croce Rossa per proteggerlo dagli attacchi quando interviene durante il periodo di guerra. Infine, tra i collaboratori dell’Unesco si annovera anche il Centro Internazionale di Studi per la Conservazione ed il Restauro dei Beni Culturali (ICCROM), un'organizzazione intergovernativa che serve principalmente come centro di ricerca e che offre formazione specifica territoriale per la conservazione di carta, mosaici e monumenti archeologici. Uno dei tanti corsi di formazione per gli attori locali organizzati da queste istituzioni è il c.d. FAC - First Aid to Cultural Heritage in Times of Crisis136, corso creato dall´ICCROM in collaborazione con l´ UNESCO e l´ICBS, che si concentra sullo sviluppo di
136Per approfondire visitare il sito: https://www.iccrom.org/it/news/soccorso-al-patrimonio-durante-una-
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risposte locali efficienti per la protezione del patrimonio durante emergenze complesse e a migliorare le competenze locali di prevenzione e mitigazione del rischio dovuto a catastrofi. Con la formazione dei ‘soccorritori culturali’ si cerca di diffondere le conoscenze acquisite durante la formazione, con l'obiettivo di ottenere un effetto moltiplicatore. L’obiettivo dell'iniziativa è garantire il pieno coinvolgimento delle comunità colpite nel recupero del proprio patrimonio. Un altro esempio sono i corsi organizzati dall´ATHAR (Architectural-
Archaeological Tangible Heritage in the Arab Region), il ramo regionale dell´ICCROM. Esso,
in collaborazione con ICOMOS e la Direzione Generale delle Antichità e dei Musei della Siria (DGAM), ha sviluppato un corso di formazione online137 che rispondeva ai bisogni immediati e urgenti espressi dai professionisti e dai volontari del patrimonio locale, che sono attivamente responsabili della protezione dei siti e delle collezioni del patrimonio. Infine, nel 2013 l´ICOMOS ha redatto la bozza del documento Principles for Capacity Building through
Education and Training in Safeguarding and Integrated Conservation of Cultural Heritage138,
il quale cerca di inglobare tutte le parti interessate al processo di salvaguardia del patrimonio culturale, in quanto “There is need to ensure that the awareness, knowledge and skills
associated with the safeguarding of such heritage resources are studied and disseminated widely to the relevant heritage communities and stakeholders, and that the necessary legal and administrative frameworks are in place”139.
Per affrontare nel miglior modo possibile le situazioni e i contesti derivanti dai conflitti armati è necessario quindi prepararsi al peggio ben prima rispetto all’inizio del conflitto vero e proprio (Stone, 2016,40). Secondo le statistiche, nel decennio scorso quasi un quarto della popolazione mondiale ha dovuto affrontare crisi postbelliche, e due terzi dei Paesi più poveri hanno sofferto a causa di conflitti attuali o recenti. C’è chi sostiene (Teijgeler 2006, 134) che queste statistiche non venivano considerate nella maggior parte dei casi, e quindi non veniva preparato un “risk prepardness plan” in modo da coinvolgere anche la fase prebellica. Un altro esempio è il sondaggio condotto nel 2014 sulle ottantasei biblioteche e archivi accademici, nazionali e pubblici, in diciannove Paesi mediorientali, il quale ha rivelato la totale impreparazione di queste istituzioni a preservare i materiali in caso di disastri umanitari o