Lavoro di ricerca qualitativa sugli studenti del corso di IC cinese-italiano – Cdl ITES, Università Ca’ Foscar
3.6 Risultati dell’analis
3.6.4 b) Influenza della presenza del pubblico sull’interprete
L’ultima sottocategoria del caso di studio tenta, invece, di comprendere come in questa fase dell’interpretariato giochi il fattore dell’“ansia da pubblico” sull’interprete e sul suo comportamento. Ciò si rende visibile analizzando, ad esempio, se e come cambiano il tono della voce e la velocità di eloquio dell’interprete, il movimento delle mani e dei piedi, lo sguardo. Si parlerà, infine, di come lo stesso stato emotivo di ansia che comporta la presenza del pubblico abbia influenza sui contenuti del discorso che si interpreta. Se questi, cioè, vengano esposti in modo completo o incompleto, in modo fluido o con frequenti esitazioni ecc. e quali vantaggi possa avere la presenza di un pubblico che presumibilmente non conosce il cinese.
La presenza del pubblico viene percepita e gestita in modo molto diverso dagli interpreti, a seconda del carattere personale, dell’autocontrollo, caratteristica posseduta da ogni buon interprete e della cosiddetta “faccia di bronzo”. Con questo termine si intende la capacità di gestire gli imprevisti e dissimulare tutte le difficoltà avute durante l’interpretariato. Ho notato nei ragazzi del primo anno comportamenti involontari che si sono andati ad affievolire in quasi tutti i casi nei ragazzi del secondo anno, grazie a una maggiore esperienza e al perfezionamento di strategie volte a mascherare l’agitazione in modo più o meno visibile.
Facciamo riferimento agli esami finali del primo anno, l’evento forse più rappresentativo di questa variabile perché è qui che si svolge l’interpretariato - per così dire - ufficiale. In sede di esame, infatti, non si verificano interruzioni e correzioni intermedie dei professori, né incertezze dovute alla mancata conoscenza del lessico. Durante gli esami ho potuto ascoltare un tono di voce spesso alterato e in alcuni casi una velocità di eloquio che
aumentava o, al contrario, cercava di prendere tempo scandendo bene le parole e rallentando la velocità con cui si parla di solito. Stratagemma che ho potuto osservato anche in occasione della Mock Conference: “Dentro di me mi sentivo tremare, mi sentivo come una specie di terremoto interiore diciamo… avevo anche la mano che tremava in certi momenti, però penso di aver usato un tono di voce abbastanza alto e un diciamo ritmo molto lento in modo che potevo pensare a una frase corretta in italiano. Questo forse è stato un accorgimento che ho usato per nascondere un po’ l’agitazione”. Molto spesso ho ascoltato frasi interrotte dalle cosiddette pause piene, gli “ehm” e dalle pause silenziose. Ad esempio nel caso di una ragazza che ha detto di aver preferito aspettare del tempo in silenzio piuttosto che iniziare a parlare e poi doversi fermare perché non si era compresa da subito la struttura grammaticale della frase.
Non ero molto vicina ai ragazzi al momento dell’esame e non ho potuto osservare movimenti del corpo particolari. Mi sembra di aver visto, però, solo in alcuni ragazzi un movimento dei piedi sotto la cattedra o delle mani che involontariamente gesticolano mentre si parla. Lo sguardo è rimasto sul blocco vicino agli appunti e quasi mai si è alzato all’altezza dei professori, ma non sempre questa è stata una regola. Ho visto anche molte fasi di resa in cui l’interprete non sempre aveva capito tutto nella fase di ascolto ma riusciva a non focalizzarsi sulle parti non comprese e a parlare in modo fluido, piuttosto sicuro senza gli “ehm” che avevo sentito in precedenza. Anche durante un esame il cui testo era di argomento economico, i numeri sono stati appuntati, convertiti e resi in modo molto sciolto senza alcuna difficoltà, vale a dire che si era trovato un metodo personale di presa di appunti funzionale che, accanto a una buona padronanza dell’ansia, ha reso l’interpretazione sicura.
Gli effetti sull’interprete osservati sono diminuiti nei ragazzi del secondo anno, ma nei casi in cui questi rimangono sono perlopiù invariati. Lo svolgimento dell’interpretariato davanti al resto della classe provoca anche una “sensazione adrenalinica”. L’agitazione che rimane in parte diventa invece un catalizzatore per “focalizzarmi più di quando non sono io la diretta interrogata, e a comprendere meglio quanto pronunciato in cinese. Nonostante la discreta sicurezza riguardo agli appunti presi e quanto compreso dal cinese, c'era una certa emozione e balbettio nella voce nel tradurre in italiano”.
Tremolio nella voce che rimane e si accentua in presenza di un microfono. Il microfono è stato un altro elemento di interesse emerso in diverse occasioni dai commenti dei ragazzi e su cui vorrei soffermarmi. Durante le lezioni del professor Zanini lo abbiamo utilizzato dopo alcune lezioni ed è stato percepito in alcuni casi come fattore esterno causa dell’aumento dell’ agitazione dell’interprete, che ho percepito anch’io in modo involontario. È stata una delle prime volte in cui abbiamo cominciato a usare il microfono durante gli
interpretariati in classe che mi è capitato di leggere un testo in cinese davanti alla classe e lo stato emotivo è cambiato non appena mi è stato messo il microfono davanti. Sentivo già una leggera agitazione che stavo riuscendo a tenere sotto controllo, mostrandomi il più possibile serena. Lo stato emotivo di agitazione e pressione si è accentuato molto di più in quell’istante, con il battito cardiaco accelerato e la paura di sbagliare o di fare brutte figure. Sicuramente questo fattore ha influenzato la lettura, ma lo stato di nervosismo è notevolemnte diminuito nel corso di questa.
Prima di utilizzare il microfono ci sono state spiegate alcune accortezze che si hanno di solito durante una conferenza, come il provarne il funzionamento soffiando leggermente, per non provocare suoni fastidiosi per il pubblico. O di provare a dire qualche parola come uno o due numeri, senza ripetere troppe volte questa operazione perché potrebbe causare irritabilità o ilarità tra il pubblico. Ci è stato detto di stare attenti ad abbassare un po’ il tono di voce quando si utilizza un microfono, soprattutto per chi ha già di suo un tono di voce abbastanza alto, me compresa. Di non tenere, inoltre, il microfono troppo vicino a sé per non far risultare il tono di voce fastidioso ma neanche troppo basso.
“Allora, per quanto riguarda la resa, innanzitutto il microfono è il mio peggior nemico, nel senso che appena sento la mia voce deviata dal microfono inizia proprio l’ansia, il panico, però forse già il fatto di sapere quello che dovevo dire e avere gli appunti, che sembra veramente uno scudo protettivo…”. O ancora “Il secondo problema era la voce: ero agitata e mi tremava la voce, anche perché avevo il pubblico davanti: non guardavo il pubblico ed ero molto più agitata di quando facevo l’interprete in classe”.
Lo sguardo tende a essere rivolto verso il blocco anche per gli studenti del secondo anno e non verso il pubblico, fatto che non dovrebbe mai verificarsi durante un interpretariato. In questo modo, infatti, il pubblico non ha mai contatto visivo con l’interprete, ma anzi, vedendolo con lo sguardo fisso sugli appunti potrebbe dubitare della veridicità dei contenuti che sta ascoltando. Oltre a ciò, la voce di una persona che parla col capo abbassato risulta meno chiara e più difficile da sentire. Il suggerimento che ci è stato dato durante il tutorato riguardo a ciò è stato: “Cercate una faccia amica, una persona che annuisca e parlate con questa persona, oppure prendete un punto appena sopra la testa di qualcuno e fissatelo. La voce si sente molto peggio se state fermi sul foglio e poi è più bello da vedere se guardate il pubblico”.