Lavoro di ricerca qualitativa sugli studenti del corso di IC cinese-italiano – Cdl ITES, Università Ca’ Foscar
3.4. Raccolta dei dat
3.4.6 Osservazione degli esami di IC del primo anno
Passiamo ora all’ultima metodologia utilizzata per la raccolta dei dati. Mi sembrava di avere raccolto sufficienti informazioni riguardanti i ragazzi del secondo anno e questa percezione mi era data dal fatto di aver utilizzato metodologie diverse, che andavano dalla registrazione e trascrizione degli interpretariati svolti in classe durante le lezioni, al materiale prodotto dai ragazzi, il Diario dell’Interprete, a dati raccolti sotto forma di interviste poste agli interpreti partecipanti alla Mock Conference. Avevo, quindi, informazioni che delineavano tutto il percorso svolto, dalle prime lezioni di febbraio a quelle intermedie dei mesi di marzo e aprile fino alla Mock Conference, l’attività di interpretariato finale e centrale del corso, che si è svolta il 20 aprile 2015.
I dati più scarni continuavano a essere quelli relativi agli studenti del primo anno, nonostante fossi riuscita a raccogliere maggiori informazioni grazie al tutorato. Anche in questo caso avrei voluto avere dei dati che registrassero tutto il percorso dei ragazzi e i progressi fatti nel corso di questo, dalle primissime lezioni di febbraio fino a quelle di aprile, e perché no ai risultati degli esami finali del corso, che si sarebbero tenuti a giugno. Un insieme di dati cospicuo e costante nel tempo avrebbe rappresentato un risultato enorme, ma mi rendevo conto che la strada per raggiungerlo era stata molto più impervia e incerta che nel primo caso.
Ho pensato, perciò, di non porre ulteriori domande ai ragazzi, ma di parlare col professor Zanini e la professoressa Zhu Xuemei al termine degli esami di interpretariato del primo anno, per chiedere le loro opinioni su quali fossero stati i risultati dell’esame, quali fossero le problematiche ancora da risolvere e in quali ambiti e quali i miglioramenti che avevano riscontrato rispetto al corso. Volevo sapere, inoltre, come avessero percepito la gestione della doppia ansia dei ragazzi, generata in prima battuta dall’interpretariato e dal doverlo svolgere in sede di esame, consapevoli che la propria performance sarebbe stata valutata.
Ho quindi sostenuto l’esame di interpretariato 2, che si è rivelato uno spunto di riflessione sugli errori che avevo commesso e al termine dell’esame ho chiesto al professore se fosse stato disposto a rispondere alle domande che ho elencato. Mi ha risposto che se avessi voluto potevo non soltanto limitarmi a fargli qualche domanda ma presentarmi io stessa agli esami e svolgere un’ultima e conclusiva attività di osservazione dell’interpretariato in quella sede. Ho accettato molto volentieri perché si trattava di un altro aiuto importantissimo, che non avevo nessuna intenzione di rifiutare, ma allo stesso tempo mi sono trovata di nuovo in una condizione di incertezza, perché non ero sicura di quale metodo utilizzare per l’osservazione.
Avevo pensato di prendere appunti insieme agli esaminandi e al professore, di ascoltare la resa in italiano e annotare alcune osservazioni per tutti gli esami. Al termine di questi, se il professore fosse stato d’accordo, avrei voluto confrontare le sue schede di valutazione con ciò che avevo scritto. In questo modo avrei potuto verificare se a livello di ascolto c’era stata aderenza al testo originale o se c’erano parti mancanti e se a livello di resa gli aspetti che avevo notato emergere potevano essere confermati. L’unica mia paura era quella di non riuscire a fare una presa di appunti completa e corretta per ogni studente, nonostante gli argomenti d’esame fossero già stati studiati, come ho detto, l’anno precedente.
La presa di appunti sarebbe stata un ulteriore esercizio molto utile ma che avrebbe, in una certa misura, distolto l’attenzione dall’osservazione vera e propria. Il rischio che correvo era quello di concentrarmi troppo sullo svolgimento della presa di note e di non osservare come gli esaminandi prendessero appunti in quel momento, uno degli aspetti più importanti che mi proponevo di analizzare. In seguito ho chiesto consiglio al mio relatore, che mi ha proposto di evitare di prendere appunti come gli studenti e di limitarmi a osservare lo svolgimento degli esami. Sarebbe stata questa un’ottima strategia per concludere il percorso e poter verificare le mie considerazioni su due fronti: in primo luogo i margini di miglioramento che avevo visto in sede di esame rispetto a tutta la durata del corso, ma anche la verifica della validità delle mie ipotesi ottenibile con la breve intervista che avrei posto ai professori al termine degli esami.
Gli esami che ho osservato si sono svolti l’11 giugno 2015, nella sede dell’università di Treviso, durante il secondo appello dell’esame di IC dal cinese all’italiano del primo anno. In questa sede hanno sostenuto l’esame 12 studenti presi a campione e quasi tutti appartenevano al gruppo di studenti con cognomi M-Z che avevo osservato durante le lezioni della professoressa Zhu nel corso del semestre appena conclusosi. Lo svolgimento dell’esame è piuttosto lineare: la professoressa Zhu legge un testo in lingua cinese della durata di circa 2
minuti, durante il quale lo studente, posizionato di fronte ai professori, prende appunti sul suo blocco note. Il testo ha come argomento uno dei cinque temi affrontati durante il corso, che per il primo anno sono stati rispettivamente la presentazione di diversi marchi di computer e delle diverse caratteristiche, l’inquinamento ambientale, il motore a scoppio, il mercato immobiliare cinese e una presentazione della situazione economica del mercato cinese e dei mercati esteri.
Dopo la fase di presa di appunti, che viene svolta durante la lettura della lettrice sia dall’esaminando sia dal professor Zanini, lo studente interpreta il testo appena ascoltato in italiano e la resa viene valutata secondo diversi parametri. Il primo e più importante, come mi è ha detto il professore, è la fedeltà all’intenzione del testo originale, che viene verificata controllando se tutti i punti scritti dal professore stesso sugli appunti vengano detti dai ragazzi durante l’interpretariato in modo completo, o in modo incompleto o se, al contrario, vengano omessi. Questa variabile ha il maggior peso ai fini della valutazione, perché si tiene conto del fatto che l’argomento proposto in sede di esame è stato scelto tra quelli studiati durante il corso, quindi non è un testo ascoltato per la prima volta in assoluto ma già conosciuto. Ciò comporta, o meglio, dovrebbe comportare una maggiore sicurezza in tutte le fasi dell’interpretariato. Se vengono rilevati particolari dubbi nella resa, come ad esempio frequenti esitazioni, tempi molto lunghi prima dell’inizio dell’interpretariato, correzioni di parti mancanti in corso d’opera o ancora parti aggiunte ma non presenti nel testo originale, questi vengono annotati e tenuti in considerazione per la valutazione finale.
L’osservazione è cominciata quando il professore ha comunicato ai ragazzi che sarei rimasta ad ascoltare gli esami. Ho visto una reazione un po’ contrariata e da una parte potevo comprenderla, perché la presenza di una persona in più oltre ai professori durante il primo esame di interpretariato mai sostenuto avrebbe potuto aumentare lo stato di ansia già provocata dal contesto esame. È anche vero, però, che l’interprete non lavorerà mai a porte chiuse, come succede durante gli esami universitari, ma sempre in presenza di un pubblico che ha davanti a sé e che deve abituarsi ad affrontare. Avrei cercato di essere il meno visibile e di disturbo possibile, solo ascoltando e scrivendo ciò che vedevo.
Per l’osservazione degli esami, che si è protratta per tutta la mattinata, ho deciso di scrivere su ogni foglio il numero dell’esaminando nell’ordine di iscrizione e per ognuno degli studenti alcune considerazioni precedenti l’interpretariato vero e proprio. Ad esempio, l’argomento del brano da interpretare e l’impostazione scelta per la presa di appunti, ovvero se i ragazzi avessero deciso di dividere il foglio a metà col metodo insegnato in classe oppure se facessero uso di un altro metodo personale. Per le fasi simultanee di ascolto e presa di note,
ho scritto alcune considerazioni riguardanti il ritmo di lettura, ad esempio se mi sembrasse elevato o sostenibile e, da quello che riuscivo a vedere, come stesse avvenendo la presa di note. Ho appuntato lo stile di scrittura dello studente, cioè, se stesse scrivendo in due colonne separate o utilizzando l’intera larghezza del foglio, se scrivesse gli appunti in orizzontale o in verticale e su quale supporto cartaceo, se su un blocco o un quaderno o altro, ma anche se utilizzasse parole intere o abbreviazioni, simboli o pinyin. Le ipotesi mi sono state poi confermate dalla professoressa Zhu, che poteva vedere il blocco degli esaminandi perché si trovava a leggere il testo a fianco a loro.
Per quanto riguarda invece la fase di resa, ho cercato di scrivere sul blocco tutto quello che mi sembrasse significativo appuntare. Innanzitutto quanto tempo fosse trascorso dalla fine della presa di appunti all’inizio dell’interpretazione, se fosse un tempo molto serrato o più dilatato e che, in ogni caso, non dovrebbe mai superare i 20-30 secondi al massimo. In secondo luogo, ho scritto qualcosa sulla fluidità dell’eloquio, ovvero se lo studente parlasse in modo continuativo o ci fossero state pause, esitazioni e insicurezze e, se sì, dovute a quali fattori interni o esterni al testo. Ad esempio, incomprensioni a livello lessicale, presenza e conversione di numeri o unità di misura, correzioni di frasi costruite con una struttura grammaticale ambigua, oppure pause dovute alla scarsa leggibilità degli appunti.
Al termine degli esami ho riportato anche le valutazioni in trentesimi assegnate ai ragazzi e le motivazioni alla base della scelta del voto. Questa fase della ricerca mi ha garantito una verifica immediata delle osservazioni appuntate, ma anche l’aggiunta di ulteriori informazioni non considerate da subito. È stato di grande aiuto l’ascolto del continuo scambio di opinioni tra i due professori su ciò che era stato sentito dire dall’esaminando e la verifica dell’effettiva lettura di quel concetto in cinese, con la conferma della professoressa Zhu. Ulteriore esercizio di ascolto perché la conversazione tra i professori è sempre avvenuta in cinese.
Dopo l’assegnazione dei voti ho chiesto ai professori un rapido commento sull’andamento degli esami e alcune considerazioni conclusive sul percorso svolto. In generale si sono detti soddisfatti dei risultati raggiunti, non c’è stata nessuna eccellenza, nessun 30, ma c’era stata una buona base di comprensione. Si poteva dire che uno degli obiettivi dell’interpretariato fosse stato raggiunto, perché i termini, pur se non sempre tradotti in modo preciso, erano stati espressi con sinonimi. Si partiva, quindi, da una base piuttosto solida a livello di contenuti e da una resa che poteva essere migliorata col tempo, considerando che il percorso per questi ragazzi è ancora a metà del suo completamento. Alla domanda posta al professore su quali fossero i problemi principali che aveva notato, la
risposta è stata la comprensione del testo cinese. Facendo caso all’andamento generale dell’esame, i voti più bassi erano stati assegnati ai ragazzi che avevano avuto le maggiori difficoltà durante il test preliminare di ascolto che valuta le competenze iniziali al corso.
Dalle considerazioni raccolte dai professori, la capacità di ascolto è una qualità essenziale per un interprete, un’abilità che va allenata in modo costante esponendosi alla lingua cinese il più possibile, con tutti i mezzi a propria disposizione. Un esempio potrebbe essere la visione di film e programmi televisivi in lingua originale, l’ascolto di canzoni e la ricerca di occasioni per parlare la lingua, con amici cinesi ad esempio. La resa, infatti, può essere perfezionata solo col potenziamento delle competenze linguistiche, dal momento che più le competenze linguistiche dell’interprete sono elevate più la sua interpretazione potrà risultare accurata, precisa e pulita.