NUOVE FORME DI CAPTAZIONE DELLE COMUNICAZION
1. Nozione di prova atipica: modalità ed efficacia di assunzione nel processo penale.
L’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale ha riproposto al dibattito scientifico un tema tradizionale del processo penale: la ricerca della verità nel processo. Il problema della ricerca della verità processuale è stato studiato come rapporto tra verità giudiziale e funzione del processo. Appare, comunque, evidente come l’impossibilità di raggiungere la verità assoluta, intesa come la corrispondenza assoluta di una descrizione allo stato di cose del mondo reale, che non contraddice assolutamente l’idea del processo inteso come strumento volto all’accertamento della verità. Quando quest’ultima è raggiungibile con un determinato procedimento tecnico o quando ci si riferisce a procedimenti diversi da quelli giuridici, cioè ai procedimenti desunti dal campo delle scienze esatte, è pur sempre una verità della quale si può parlare in termini relativi. Appare indiscutibile, quindi, l’affermazione secondo cui l’idea di una verità assoluta può essere valida solo come fine al quale le conoscenze concrete tendono ad approssimarsi, anche se poi non vi giungono mai. Alla luce di quanto detto, si può essere certi che il tentativo di ricostruire lo scopo del processo in
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termini di accertamento della verità, può conciliarsi con la constatazione che la ricerca del giudice si fermi a gradi, più o meno elevati, di approssimazione alla verità. Infatti, l’importante è essere convinti che il processo deve tendere alla ricostruzione più esatta possibile dei fatti di causa. E il legislatore deve predisporre e consentire tecniche di accertamento che possono consentire di avvicinarsi il più possibile alla verità. Altrimenti, se determinati scopi non sono connessi all’accertamento della verità, il processo si presenterebbe solo come manifestazione di autorità, non di giustizia246. Questa impostazione è stata segnata
in particolare dalla giurisprudenza costituzionale dei primi anni novanta247, che nell’incidere sulle norme del codice di procedura penale relative alla disciplina delle acquisizioni probatorie, ha ribadito come il principio dell’accertamento della verità sia uno dei principali cardini regolatori del processo penale. Sul medesimo indirizzo si è conformata la giurisprudenza della Corte di Cassazione, che ha più volte ribadito come ad un ordinamento connotato dai principi di legalità e della obbligatorietà dell’azione penale “(…) non siano consone norme di metodologia
processuale che ostacolino in modo irragionevole il processo di accertamento del fatto storico necessario per pervenire ad una giusta decisione”248.
È opportuno sottolineare, però, come il processo penale non persegue esclusivamente l’obiettivo di attuare la legge penale nel caso concreto, ma riveste una più ampia funzione politica di tutela di tutti i valori e gli interessi in questione, a partire dai diritti fondamentali dell’imputato. Con ciò non si vuole negare che l’obiettivo del processo sia di accertare, tanto in positivo quanto in negativo, l’eventuale responsabilità dell’imputato, ma si vuole sottolineare come il processo abbia una funzione ulteriore rappresentata dalla finalità di assicurare la tutela degli interessi e di diritti che entrano in conflitto con l’obiettivo della concreta repressione dei reati. La funzione cognitiva del processo e l’accertamento della responsabilità devono essere contemperate alla garanzia dei diritti fondamentali, in primis dell’imputato. Nel nostro ordinamento il fine
246 A. Laronga, Le prove atipiche nel processo penale, Cedam, Padova, 2002, p. 2.
247 Corte cost., sent., 3 giugno 1992, n. 255, in Giur. Cost., 1992, p. 196. Nella quale la Corte Costituzionale ha avuto modo di affrontare ampiamente il tema della ricerca della verità nel processo. Ed ha affermato che il fine primario e ineludibile del processo penale è quello della ricerca della verità.
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dell’attuazione del diritto penale può essere raggiunto solo attraverso un giusto processo regolato dalla legge (art. 111 comma 1 Cost.) che risulta tale quando è orientato alle garanzie di tutti i valori costituzionali coinvolti. Come previsto dalla sentenza della Corte costituzionale249: “un processo non giusto, perché carente
sotto il profilo delle garanzie, non è conforme al modello costituzionale”, a
prescindere dall’esito cognitivo al quale può giungere.
Per il raggiungimento della verità nel processo penale e l’accertamento della responsabilità dell’imputato possono essere utilizzati sia mezzi di prova tipici sia atipici, ossia non disciplinati nel loro contenuto. Proprio in riferimento a questa seconda ipotesi, destinata ad assumere un peso rilevante, è necessario affrontare il tema delle prove atipiche o innominate, intendendosi per tali, in via di prima approssimazione, quei mezzi di ricerca della prova che non sono contemplati dalla legge. La questione è di notevole importanza sia sul piano teorico quanto su quello applicativo. Sotto questo profilo, si possono individuare sistemi processuali improntati a due diversi modelli, fondati rispettivamente su: tipicità delle prove o atipicità delle prove. Quanto al primo modello, il convincimento del giudice non può che fondarsi sulle risultanze dei soli mezzi tipici, sulla base del c.d. principio di tassatività (l’esclusione delle prove innominate risponde all’esigenza di salvaguardare il diritto di difesa ed evitare eventuali compressioni da parte del potere giurisdizionale)250: a favore di tale soluzione depone la considerazione degli inconvenienti dell’atipicità, in particolare si pensi alla mancata verifica preventiva circa l’idoneità del mezzo istruttorio innominato e della sua compatibilità con i limiti previsti dalla Costituzione e dalla normativa primaria.
Opposta configurazione assume l’atipicità delle prove, la quale muove dalla premessa della preordinazione funzionale del processo penale all’accertamento della verità: ne discende l’incompatibilità di limiti normativi volti a ricondurre i mezzi probatori entro un numerus clausus predeterminato. Un sistema di questo
249 Corte cost., 4 dicembre 2009, n. 317, in Giur. Cost., 2010, p. 1815.
250 G. Conso, La natura giuridica delle norme sulla prova nel processo penale, in Atti VIII Convegno nazionale dell’associazione fra gli studiosi del processo civile, Quaderni dell’associazione, 1971, p. 155.
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tipo, ispirato al principio della “libertà di prova”251, non contiene disposizioni che escludano i mezzi probatori non riconducibili ai modelli tipizzati nella disciplina processuale. A titolo esemplificativo, si può richiamare l’affermazione del principio di atipicità contenuta nel codice del 1865, il cui art. 339 recitava: “i reati
si proveranno con verbali o rapporti, sia con testimoni, o con ogni altro mezzo non vietato dalla legge”252. Allo stesso modello si sono ispirati il codice del 1913 e quello del 1930.
Nell’ambito del c.d. principio di atipicità probatoria, erano riconoscibili varie correnti di pensiero. Se l’obiettivo del processo penale è la ricerca della verità, appare coerente ritenere come tutti gli elementi di conoscenza dei fatti rilevanti per la decisione possono essere utilizzati dal giudice per la formazione del proprio convincimento, anche quando non rientrano nei modelli probatori espressamente regolati ed ammessi nell’ordinamento processuale. E si accompagna la preoccupazione che l’espandersi di tale tendenza finisca per incidere negativamente sulle garanzie dell’imputato, in particolare comprimendo le regole relative alla disciplina della prova. In sostanza, da un lato, si ritiene che l’obiettivo della ricerca della verità possa essere perseguito in un sistema processuale in cui sia consentita al giudice l’utilizzazione anche delle prove non disciplinate dalla legge al rispetto delle garanzie fondamentali costituzionalmente riconosciute, dall’altro, si teme il pericolo – accettando l’atipicità della prova – che questa possa aggirare i requisiti delle prove tipiche. Questa preoccupazione fu recepita dal vecchio progetto di riforma del codice di procedura penale che prevedeva, all’art. 179, il principio di tassatività dei mezzi di prova253, inteso come fondamentale garanzia per l’imputato contro l’impiego di fonti di convincimento la cui attendibilità non fosse prevista dal legislatore. Su queste premesse, il progetto di riforma del codice di rito, di cui alla legge delega 3 aprile
251 E. Dosi, Sul principio del libero convincimento del giudice, Giuffrè, Milano, 1957, p. 61.; V. Manzini, Trattato di diritto processuale penale, III, a cura di G. Conso – D. Pisapia, Utet, Torino, 1970, p. 244. G.F. Ricci, Le prove atipiche, Milano, Giuffrè, 1999, il quale sottolinea come ancora prima della codificazione del 1988 una vasta parte della dottrina processual penalistica avesse coniato tale espressione di “libertà di prova” per alludere alla circostanza che l’accertamento dei fatti poteva ricostruirsi anche attraverso fonti di prova nominativamente non prevista.
252 F. Cordero, Procedura penale, 8^ ed., Giuffrè, Milano, 2006, p. 619.
253 L’art. 179 c.p.p. recitava che “(…) il giudice non può ammettere prove diverse da quelle previste dalla legge”.
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1974, n. 108, non ammetteva expressis verbis i mezzi atipici nel catalogo dei mezzi istruttori254 e aveva escluso espressamente l’ammissibilità delle prove atipiche.
Nel tentativo di superare la contrapposizione dialettica a cui si è fatto riferimento, il codice di rito ha percorso una via intermedia tra il criterio di tassatività delle prove ed il criterio di libertà delle prove255, in considerazione,
soprattutto, dei prevedibili sviluppi tecnologici degli strumenti investigativi. Dunque, si è deciso di non dettare a priori alcuna esclusione delle prove non disciplinate dalla legge, attribuendo al giudice, caso per caso, l’ammissibilità di tali prove alla luce dei requisiti dettati dall’art. 189 c.p.p. . Infatti, secondo tale articolo, si consente al giudice di assumere prove non disciplinate dalla legge, con l’obbligo di vagliare, ex ante, che queste siano affidabili sul piano della genuinità dell’accertamento e non lesive della libertà morale della persona. Una volta verificata l’ammissibilità del mezzo di prova atipico, il giudice dovrà poi regolarne le modalità di assunzione, sentite le parti256. Il codice vigente ha, quindi, operato una scelta intermedia tra libertà e tassatività dei mezzi di prova: da un lato, ha riconosciuto la possibilità di introdurre nel processo prove non disciplinate dalla legge – soprattutto per la continua evoluzione tecnologica che apre sempre nuove prospettive alle iniziative investigative – dall’altro, ha fissato per legge le condizioni cui è subordinata la loro ammissibilità nel processo. La disposizione è interpretata quale conferma dell’adesione al principio di “atipicità
temperata”257, in virtù del quale l’introduzione di prove non disciplinate dalla legge è subordinata a condizioni di ammissibilità predeterminate, sia pure in modo generico dal legislatore. Nelle intenzioni del legislatore la norma costituisce una sorta di adattatore automatico alle evoluzioni del progresso tecnologico nel
254 F. Cordero, Procedura penale, 8^ ed., Giuffrè, Milano, 2006, p. 621.
255 G. Conso, V. Grevi, Compendio di procedura penale, Cedam, 3^ ed., Padova, 2006, p. 302. 256 V. Grevi, Profili del nuovo codice di procedura penale, Cedam, Padova, 1991, p. 174. Più precisamente, quando si abbia a che fare con una prova atipica, spetterà al giudice il potere di decidere, di volta in volta, se la medesima possa trovare ingresso in sede processuale, sulla base di una duplice verifica: da un lato, che essa risulta idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti, dall’altro che non pregiudica la libertà morale della persona. Una volta riconosciuta l’ammissibilità della prova, sarà sempre compito del giudice definire le modalità della sua assunzione.
257 N. Galantini, Inosservanza di limiti probatori e conseguenze sanzionatorie, in Cass. pen., 1991, p. 597; V. Grevi, Prove, in Compendio di procedura penale, a cura di G. Conso – V. Grevi, 3^ ed., Cedam, Padova, 2006, p. 303.
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rispetto della legalità della prova in base al quale essa costituisce uno strumento di conoscenza regolato dalla legge258.
In proposito è stato identificato un legame tra presunzione di innocenza e principio di legalità della prova. Un argomento in tal senso si identificherebbe nella Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, in base alla quale l’imputato è presunto innocente finché la sua colpevolezza non sia stata “legalmente
accertata”. Il termine ‘legalmente’ dimostrerebbe un legame con il rispetto della
legalità della prova e con l’esclusione delle prove vietate259.
L’art. 189 c.p.p., come detto, legittima espressamente l’uso nel processo penale delle prove atipiche. Innanzitutto va chiarita la nozione di prova atipica: in senso meramente letterale, prova atipica significa prova “diversa”260 dai tipi dei modelli legali previsti dal codice, anche se, da questa prima definizione, emerge quanto sia generica questa nozione, tanto da essere interpretata in tre diverse accezioni.
In un primo senso, è atipica la prova c.d. innominata, ovvero: quel mezzo di prova che non è disciplinato dalla legge (per legge si intende il complesso delle disposizioni dettate dal codice e dalla normativa processuale penale contenuta nelle leggi speciali) e si riferisce ad una fonte del convincimento giudiziale che non è stata prevista perché imprevedibile, o il mezzo che consente di produrre un elemento diverso da quelli ottenibili mediante i mezzi di prova tipici. In questo senso l’atipicità consiste nel risultato e non nelle modalità di assunzione. L’esempio più comune era quello relativo alla ricognizione da eseguirsi mediante sensi diversi dalla vista, come nel caso del riconoscimento tattile, di una voce o di un odore261. Oggi il problema è stato superato dal disposto di cui all’art. 216 c.p.p., nel senso dell’applicazione dell’art. 213 e dell’art. 214, comma 3 c.p.p., in quanto applicabili.
258 C. Conti, Accertamento del fatto e inutilizzabilità nel processo penale, Cedam, Padova, 2007, p. 158.
259 G. Ubertis, Sistema di procedura penale, vol. I, 4^ ed., Giuffrè, Milano, 2017, p. 163. 260 G. F. Ricci, Le prove atipiche, Giuffrè, Milano, 1999, p. 41.
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Con un secondo significato, è atipica la prova c.d. irrituale, ovvero: quel mezzo di prova che, pur non rientrando nel catalogo legale, mira a produrre elementi probatori tipici. Si tratta di quella prova che si svolge con modalità diverse da quelle previste da un mezzo tipico. Qui l’atipicità consiste nella diversa modalità di svolgimento come, ad esempio, la ricognizione eseguita senza osservare le previsioni di cui all’art. 214 c.p.p.262 o nel caso dell’esame di un testimone mediante collegamento in videoconferenza263.
Infine, è atipica la prova c.d. anomala264, ovvero: quel mezzo di prova tipico
utilizzato per acquisire elementi alla cui formazione è preordinato un altro mezzo di prova, esso pure tipico. L’atipicità in questo caso non si incentra né sul mezzo né sul quomodo, ovvero al metodo attraverso il quale viene assunto nel processo, ma sullo scopo perseguito, corrispondente a quello che ordinariamente si raggiunge attraverso un altro strumento tipico. Caso ricorrente quello, soprattutto, nell’ipotesi del riconoscimento informale dell’imputato da parte del teste in sede di esame265.
La dottrina è unanime nel recepire la prima delle definizioni prese in esame, in ordine all’ammissibilità delle prove innominate sempre che ricorrano i requisiti dell’art. 189 c.p.p. . La nozione di prova atipica è stata formulata in termini negativi, come prova non riconducibile, neppure per analogia, ad alcune di quelle disciplinate dagli artt. 194 e ss. c.p.p. . Quanto alle prove irrituali ed anomale, la dottrina ritiene che esse non possano costituire il mezzo per aggirare le garanzie predisposte dalla legge nel disciplinare i mezzi di prova tipici.
Parallelamente la giurisprudenza ha accolto una nozione lata di prova atipica, tra le quali si inserisce anche il riconoscimento informale dell’imputato. È un mezzo di prova atipico, accanto alla ricognizione quale mezzo di prova tipico di cui all’art. 213 e ss. c.p.p. . Le critiche avanzate dalla dottrina sul tema non hanno, infatti, inciso sulle decisioni della Suprema Corte di Cassazione che
262 R. Cantone, Le ricognizioni informali di cose diventano atti irripetibili, in Cass. pen., 1995, p. 1295.
263 Cass., sez. V, 13 gennaio 2010, n. 18057, in Cass. pen., 2011, p. 2694.
264 S. Cavini, Il riconoscimento informale di persone o di cose come mezzo di prova atipico, in Dir. pen. proc., 1997, p. 838.
265 A. Bernasconi, La ricognizione di persone nel processo penale, Giappichelli, Torino, 2003, p. 197.
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proprio sul principio di libertà dei mezzi di prova desunto dall’art. 189 c.p.p., hanno continuato a ritenere valido ed utilizzabile il riconoscimento informale, assimilandolo ad un atto di identificazione diretta effettuato mediante una dichiarazione orale in sede di testimonianza266 o al più qualificandolo come una prova atipica267. Questo tipo di identificazione sarebbe catalogabile tra le prove
atipiche, pur trovando il suo paradigma legale nella testimonianza. Ma sul punto è evidente come l’assimilazione del riconoscimento in udienza dell’imputato alla dichiarazione testimoniale è stata criticata, una simile soluzione finirebbe infatti col legittimare, attraverso il richiamo ad una pretesa di atipicità, l’acquisizione al processo di prove assunte senza il rispetto delle regole procedurali fissate dal legislatore268.
Le considerazioni sin qui svolte, evidenziano come non sia facile elaborare una nozione di prova non disciplinata dalla legge caratterizzata da una valenza generalizzata. L’art. 189 c.p.p. può essere ragionevolmente esteso a qualsiasi mezzo utile all’accertamento dei fatti, non previsto dalla legge, purché non vietato espressamente nel caso specifico. Secondo l’indirizzo prevalente in dottrina ed in giurisprudenza, l’atipicità si presta a indicare qualsiasi mezzo di prova o d’indagine – non disciplinato da norme processuali penali – funzionalmente destinato alla verifica di enunciati fattuali269.
Nel nostro sistema vige il principio di legalità della prova, in base al quale quest’ultima costituisce uno strumento di conoscenza disciplinato dalla legge. Il codice di procedura penale ha introdotto la distinzione fra mezzi di prova e mezzi di ricerca della prova. Accanto agli strumenti probatori espressamente regolati, il codice predispone la “valvola di sicurezza” della prova atipica. Il presupposto di ammissibilità di questa è la mancanza di un mezzo probatorio tipico idoneo a
266 Cass., sez. II, 22 novembre 2005, n. 21, in Guid. dir., 2006, p. 61; Cass., sez. VI, 12 febbraio 2008, in Arch. n. proc. pen., 2011, p. 100; Cass., sez. III, 5 maggio 2010, in Cass. pen., 2011, p. 4393.
267 Cass., sez. V, 13 gennaio 2010, n.18057, in Cass. pen., 2011, p. 2694.
268 G. Tabasco, Prove non disciplinate dalla legge nel processo penale. Le “prove atipiche” tra teoria e prassi, Edizioni scientifiche italiane, 2011, p.129.
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conseguire un determinato risultato conoscitivo. In ogni caso la prova atipica deve rispettare i parametri stabiliti dall’art. 189 c.p.p.270.
Tale articolo prevede tre limiti per l’ammissione della prova atipica, due di natura sostanziale e uno di tipo processuale. Si tratta di forme volte a garantire genuinità e affidabilità del metodo e dell’elemento da acquisire. Il primo parametro normativo a cui il giudice deve attenersi in sede di verifica dell’ammissibilità della prova atipica è costituito dalla idoneità ad assicurare l’accertamento dei fatti. Mentre l’idoneità all’accertamento dei fatti è formulata ex
ante dal legislatore per i mezzi di prova tipici (testimonianza, esame delle parti,
confronti etc.), per la prova non disciplinata dalla legge si trasferisce in capo al giudice il compito di valutare preventivamente se la prova richiesta dalla parte sia astrattamente idonea a consentire un’obiettiva ricostruzione della vicenda storica, cioè deve offrire particolari garanzie affinché la rappresentazione dei fatti che essa permette, possa considerarsi quanto più possibile veritiera271. Problemi più delicati si pongono in materia di prove scientifiche, intendendo per tali “un
qualsiasi ritrovato della moderna evoluzione tecnologica” ed in tal caso, infatti, la
valutazione dell’idoneità delle stesse imporrà l’applicazione di parametri meta- giuridici al di fuori delle competenze del giudice272. Si pensi al caso dell’impiego di tecniche informatiche di ricostruzione del fatto o metodi di individuazione spettrografica della voce273. L’esercizio del sindacato ex art. 189 c.p.p. postula necessariamente un bagaglio di conoscenze tecnico-scientifiche che il giudice normalmente non ha. Il patrimonio culturale del giudice, in linea generale e per le specifiche attività citate, resta pur sempre quello dell’uomo medio ed è quindi inidoneo ad una valutazione sulla scientificità della prova dedotta, quando questa si fonda su tecniche sofisticate a lui ignote. Ed allora appare corretta l’opinione di chi ritiene che, in tema di prova scientifica, l’unico efficiente controllo
270 P. Tonini, Manuale di procedura penale, 7^ ed., Giuffrè, Milano, 2006, p. 275. 271 G.F. Ricci, Le prove atipiche, Giuffrè, Milano, 1999, p. 50.
272 V. Denti, Scientificità della prova e libera valutazione del giudice, Relazione generale presentata al V Congresso internazionale di diritto processuale, in Riv. dir. proc., 1972, p. 414. Secondo il quale il vero problema della scientificità è dato dalla necessità, in cui il giudice si può trovare, di impiegare nell’accertamento del fatto nozioni che trascendono il patrimonio di conoscenze dell’uomo medio.
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sull’ammissione e valutazione della prova, possa venire dal contradditorio delle parti attraverso i rispettivi consulenti tecnici o periti274.
Il secondo limite imposto dall’art. 189 c.p.p., è costituito dal rispetto della libertà morale della persona eventualmente sottoposto all’acquisizione probatoria. Il codice esclude, quindi, l’impiego nel procedimento di strumenti potenzialmente lesivi all’autodeterminazione dell’individuo. Tale conclusione è imposta dal principio generale stabilito dall’art. 188 c.p.p. il quale dispone che “non possono