Sono quasi due ore, che noi, come equipaggio d’emergenza, siamo fermi e passiamo il tempo tra letture e tv.
Oggi è anche una bella giornata, è venerdì, un fine settimana da sole. La primavera, per ora stenta a farsi vedere, ma il canto degli uccelli “che in ciel fan mille giri” come dice il poeta recanatese, ci preannuncia che i rigori dell’inverno stanno allontanandosi.
Per ammazzare il tempo, mi metto a lavare l’ambulanza; il mio collega prepara i turni di emergenza settimanali. Ho appena acce-so il compresacce-sore, quando il centralinista ci chiama sventolando un foglietto “Codice Giallo all’asilo di Treia, una bambina caduta!”
Veloce, ma con calma, spengo il compressore, salgo al posto di guida, mentre il collega è già al mio fianco e chiama la centrale ope-rativa: “Charly Oscar Macerata, Charly Verde Victor 21-40 è par-tita per il codice giallo! Chiediamo conferma indirizzo e numero ci-vico” – “Confermiamo indirizzo, asilo nido Treia, auto medica non disponibile”, ci rispondono alla radio.
In verità, siamo entrambi preoccupati, un’occhiata reciproca ed istintiva lo conferma; quando si tratta di bambini, è sempre un pro-blema, per fortuna il codice è giallo, l’infermiere della centrale ope-rativa del 118 ci conferma di una caduta e di una probabile frattura!
Devo fare presto, ma senza sirene e lampeggianti , devo stare molto attento, devo rispettare il C. della strada, non debbo causare incidenti, né esserne coinvolto. Per fortuna la strada è libera, l’am-bulanza scorre veloce e sicura. La strada mi viene incontro, sembra mi voglia accorciare il tempo. Siamo ormai vicini, ecco le mura, so-no passati appena 10 minuti. Guardiamo entrambi, come una gara a chi trova prima l’asilo; “eccolo!”, grido, “è sulla dx!” Giro,
imboc-cando una stradina stretta, tutte curve. “Bene, fermati sul piazzale giochi, girato, pronto a ripartire” – “Ok, prendi la borsa del soccor-so, ti seguo, avverto la Centrale. “C.O., siamo sul posto!” – “Rice-vuto Victor 21-40.”
Posizionata l’ambulanza, spento il motore, cerco l’entrata; sia-mo al piano terreno; un nugolo di bambini attorniano una ragazza, deve essere la maestra, una signora sulla cinquantina consola una bambina che piange disperata. Ha gli occhioni celesti pieni di lacri-me, avrà circa 4 anni!
Soffre ed ha paura; le nostre divise di arancione sfolgorante, cer-tamente non ci aiutano, ma facciamo del tutto per sembrare, più che bambinoni, dei pagliacci! Il mio amico è più vicino alla bambi-na, sta facendo uno sforzo enorme nel trovare parole dolci e nell’ap-parire come un gigante buono! La sua è una impresa difficilissima è talmente grosso, alto e rapato che mette paura anche ai grandi!
Infatti è così alto e grosso che copre , con la sua mole tutta la sce-na! A vista, capiamo che la bambina ha il braccio sinistro fratturato vicino al polso. “Prendi delle garze ed il ghiaccio!” dico al collega.
Finalmente, la bambina si calma, la signora accanto, forse la sua mamma, la tranquillizza e l’accarezza; riusciamo, con molta atten-zione, a steccare il braccio con la benda e un cartone, già messogli giustamente dalla maestra; il ghiaccio gli allieva i dolore, così riu-sciamo a metterla sulla barella distesa, con il braccio fermo e disteso.
Possiamo, ripartire, centrale operativa avvertita. “Victor 21-40 riparte con bambina a bordo, assistita dalla mamma India 1 C01 !”
Il mio collega, – “rimani tu dietro, guido io”.
Allaccio le cinture di sicurezza alla vita della mamma, seduta sul sedile. Elisa, è il nome della bambina ( chiamiamola così ! ) , ogni tanto piange e copiose lacrime le bagnano i suoi occhioni bellissi-mi, di un celeste abbagliante. La mamma le stringe dolcemente la fronte e le parla con parole dolci, io controllo la situazione, cerco di non interferire, temo di far paura alla bambina, non mi cono-sce, sono tutto vestito di arancione; in questi casi, la mamma è la garanzia più grande.
“Mi spiace, signora, per la bambina, fra pochi minuti saremo al Pronto Soccorso, i medici la prenderanno in consegna!”
La signora, una donna sui 50 anni, molto affabile e gentile, per me troppo anziana come mamma per una bimba così piccola, mi si avvicina e mi sussurra, per non farsi sentire dalla piccola Elisa:
“non sono la sua mamma, ce l’ho in affidamento, da quando appe-na appe-nata, fu abbandoappe-nata presso la caserma dei CC, non si conosco-no i suoi genitori”.
Rimango muto, non so che dire, la bambina è li che mi guarda con i suoi occhietti azzurri come il cielo stellato del deserto, il suo viso bello e dolce mi fa una grande tenerezza; poi, smette di pian-gere e dice: “voglio la mamma!”
Il grande portone del pronto soccorso si apre, come due braccia di un gigante, pronte ad accoglierci; in un attimo la bambina è pre-sa in cura da una giovanissima, bella e premuropre-sa infermiera, sem-bra la sua mamma!
Insieme al mio collega d’equipaggio, sistemiamo la barella; dalle nostre bocche non esce una parola, ma il nostro pensiero è identico!
“Che mondo infame! Come si fa ad abbandonare una piccola!”
mi esce dopo dalla mia bocca, mentre il grande portone d’uscita si richiude dietro la nostra ambulanza. – “Victor 21-40 a Charly Oscar Macerata Soccorso, Ripartiamo operativi!” Sono le mie ulti-me parole alla radio di bordo.
Interno di mezzo di soccorso di tipo A