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BAROCCO A CONFRONTO. DA TORINO A LECCE

Nel documento Cronache Economiche. N.003, Anno 1985 (pagine 99-103)

Maria Luisa Moncassoli Tibone

Frammenti di putti occhieggianti fra l'azzur-ro di un cielo dipinto. Tracce sensibili dell'ap-proccio illusorio e sensuale ad un nuovo uni-verso godibile in un bagno di luce: sono que-sti i temi di un affreschetto ormai smorzato dalle macchie violente del rifacimento mura-rio che la Regione Piemonte ha voluto sim-boleggiasse per Rivoli il momento dell'OU-VERTURE, come premessa di una grande sin-fonia d'arte che il ricuperato castello sarà de-stinato a contenere.

Mi sembra, questa del manifesto per Rivoli, la più semplice ma anche la più efficace in-troduzione a una passeggiata fra cose d'arte, prodotte in quel magico momento di meta-morfosi e di suggestione che l'esegesi critica ha chiamato col nome spagnolesco di «ba-rocco».

L'argomento è dei più ardui: sulla sua stessa definizione la critica antica e moderna si è ci-mentata, ipotizzando per la « Storia di un con-cetto»1 due tradizionali derivazioni: quella retorica, dal quarto modo della seconda figura del sillogismo (barocco) o quella più intem-perante e suggestiva tratta dalla definizione della perla irregolare (scaramazza) detta in lin-gua spagnola «barrueco» e in portoghese «barroco».

Se si è parlato in Mitteleuropa di Fruhbarock, Hochbarock, Spàtbarock e in sede italiana di «un barocco o vari barocchi» a seconda che si intenda un fatto nazionale o diversi aspetti regionali, più semplicemente il momento che così variamente è stato definito «segue il va-rio alternarsi dell'ispirazione e della cultura fi-gurativa in quella determinata parte dell'Eu-ropa più direttamente tratta a risentire dell'in-flusso della chiesa di Roma e della Controri-forma, allo scadere del manierismo ».

Se ne fa confluire il termine fino entro il co-siddetto «Rococò, uno svolgimento ulterio-re, un frammentarsi e un disperdersi della re-lativa unità del Barocco sotto l'assillo princi-pesco e nella contrapposizione degli Stati na-zionali, sino all'avvento del neoclassi-cismo»1.

Difficile certo, procedere ad una definizione di un modo di essere di sentire e di operare assolutamente ricco di stimoli di ogni genere, liberatorio nell'espressione dello stupore, me-tamorfico nel continuo convergere e ricrearsi di suggerimenti formali e tecnici1.

Difficile, come hanno chiarito infiniti studi, individuare per il fenomeno una origine, un termine «a quo»; arduo pure raggiungere un approdo, un termine «ad quem» se qualcu-no ha ancora parlato di « baroque classique »

18 D i c e m b ì

Regione^ Piemonte alla C u l t i

per la pittura di David4, operoso ai primi an-ni dell'Ottocento, o se agli ian-nizi del Novecen-to altri ha classificaNovecen-to ancora barocca la Tour Eiffel o addirittura l'opera di D'Annunzio

(de-finito "vero barocce" dall'Enciclopedia So-vietica).

In un ipotizzabile panorama europeo di «ar-te barocca » la par«ar-te più importan«ar-te spetta — secondo il suggerimento tradizionale dei ma-nuali — a Roma, dove « un gruppo di artefici ticinesi, eredi della lontana schiera dei "ma-gistri comacini" (i Fontana, soprattutto Do-menico e il nipote Carlo Moderno e poi Gia-como della Porta, Carlo Rainaldi, il Pigno-la, l'Ammannati)» impostò un messaggio ur-banistico e decorativo di estrema suggestione, messaggio che i due « grandi rivali Gian Lo-renzo Bernini e il pure ticinese Franceso Bor-romini» portarono ad estrema «vaghezza» nella «più alta temperie immaginativa e co-struttiva »'.

Fanno corona, per tradizione, al rinnovamen-to edilizio romano e al suo fulgore rappresen-tativo i momenti « insigni di Torino, Venezia, Napoli, Palermo» e ad essi s'aggiungono — come perle incastonate in una più lontana cor-nice — i messaggi di altri centri barocchi più contenuti, come Lecce e Noto.

Non manca la presenza di un volto europeo,

Fig. 1. Manifesto per Ouverture. Castello di Rivoli, 1985.

Fig. 2. Torino. Palazzo Reale. Particolare di fregio con putti scienziati.

là dove il barocco si esprime in forme vitali: ad esempio nel "flamboyant" di Francia, nel severo d'Austria e di Baviera, nel dorato di Praga, nel capriccioso di Spagna.

Nell'Europa cattolica, nelle sue derivazioni co-loniali, lo stile si sfaccetta, si divide in rivoli infiniti lievitando ovunque — dopo la sobrie-tà del classicismo rinascimentale e la vastisobrie-tà cristallina delle ricerche manieristiche — in di-namiche strutture — fabbriche, giardini, scul-ture, pitscul-ture, decorazioni — interagenti per una mimesi che le fa confluire in una costan-te costan-tendenza plastica.

Nel momento in cui la poesia, la musica, il tea-tro esprimono particolari slanci di pensiero e di fantasia, nel momento in cui la scienza apre con il metodo sperimentale un mondo nuovo, in arte il tutto e il nulla diventano « barocco » assorbiti in un anelito all'infinito, in una ac-cezione di spazio dilatato e multiforme che ogni artista sente suo pur accordando il pro-prio fare ad un unico afflato di grandiosa col-lettiva presenza.

Quella « nuance du bizarre» che già il Qua-tremère de Quincy indicava come «superlatif» in un «ridiculepousséà l'excès» animava al-lora per un edonismo-identificato spesso con la folgorazione mistica-l'immagine corposa e luminosa, il fasto e la sontuosità degli ornati, la realizzazione di effetti generati dall'appli-care su grande scala i procedimenti delle arti minori.

Un barocco allora o più barocchi? Un'idea centrale, maturata dalle istanze del-la Controriforma o daldel-la devozione e dal pre-stigio di corti principesche, o stili diversi, ri-visitati, tuttavia componibili in variate unità? Vediamone qualche carattere: distacco dalla sobrietà del classicismo in un approfondimen-to vitalistico delle sue stesse componenti; senso del moto, della linea ascensionale espressa dal-le volute, daldal-le conchiglie, daldal-le colonne tor-tili e dalle prospettive scenografiche; lumini-smo nella pittura, come di derivazione inte-riore e riflesso a bagliori nelle cose; lievitazione costante della scultura sottoposta a valorizza-zione cromatica e chiaroscurale, per una mi-mesi insita nella rappresentazione scenica e do-minante l'unità delle arti ornamentali, connes-se e collegate in modo vario con la rappreconnes-sen- rappresen-tazione plastica.

L'età del tragico e del fantastico, di Shake-speare e di Molière, della lirica e sottile me-lanconia, di Milton e di Cervantes, dello sca-bro pensiero filosofico e della scienza speri-mentale, di una eterna fioritura musicale — Palestrina, Bach, Hàndel — mostra la sua

vo-cazione al superamento dei valori della clas-sicità in un respiro grandioso di un'arte tesa all'effetto, capace di godere del bizzarro ma sempre stupefacente e suggestiva nella com-plessa rappresentazione scenica in cui ci attrae. Al di là di tutte le storiche detrazioni del mo-vimento secentesco, e di tutte le altrettanto sto-riche rivalutazioni, se ci accostiamo a certi prodotti del barocco, in modo libero e d'ac-chito, non possiamo negare insieme ad un sen-so un po' stucchevole di pienezza — per

l'in-Fig. 3. Rivoli. Sala delle Parti del Mondo: Asia. Fig. 4. Torino. Palazzo Lascaris. Stanza delle allegorie la carità.

Fig. 5. Lecce. Altare. Figura scherzante di putto e co lonna di vivace risalto plastico.

Fig. 6. Lecce. Decorazioni d'altare di gusto «piate resco».

Fig. 7. Lecce. Nelle facciate delle chiese di ricche con fraternite, un trionfo di elementi decorativi.

emblemi, imprese, mito, allegorie — domi-nanti.

11 soffitto è il prodotto di una visione del mon-do pronta a rinnovarsi completamente, rige-nerata alla ricerca di nuovi effetti.

Tra i momenti torinesi di maggior spicco, ho voluto scegliere quello che rappresenta — se-condo la Griseri — il passaggio dal momento eroico all'arcadico.

La studiosa torinese, nel suo fondamentale studio « Le metamorfosi del barocco » ha da-to di quesda-to momenda-to transida-torio e poetico un ritratto efficace, «tra pittoresco ed allego-rico ».

Lo spettacolo come natura era stato espresso da Luca Giordano, era stato codificato nel Trattato di Pietro da Cortona e dell'Ottonelli: « Procuri il pittore di esprimere con molte va-rietà di cose la sua dipintura... per quanto comporta il decoro della storia o del soggetto che devono rappresentare».

Decoro che sarà pienamente realizzato, a To-rino, in Palazzo Reale, da Daniele Seyter, per la commissione importante della Galleria che

sistita presenza di immagini lievitanti e ripe-titive — un notevole interesse iconografico. Il soffitto barocco riassume l'accolta delle ten-denze decorative più stupefacenti: sfondamen-ti e trasparenze, giochi plassfondamen-tici ed effetsfondamen-ti lu-ministici vi si intrecciano in una ridda di ele-menti appassionanti per la « varietas » che li La ispirati nonostante le poche tematiche —

L

prenderà il suo nome.

È « un 'agitazione a ritmo lento che si snoda, investita in un bagno di luce morbida... pro-tagonista "essa" lega nell'affresco non solo i gruppi di secondo piano ma principalmente gli stucchi marginali.

I soggetti servono ancora a celebrare (in ve-ste mitologica) i Duchi di Savoia ma a

diffe-renza dei soggetti di Dauphin e Miei — alia Venaria n.d.r. — la retorica è sul punto di al-leggerirsi».

La trasformazione dalla oratoria gestuale dei panneggi secenteschi alle movenze più legge-re del gestilegge-re che sarà del Settecento è — al Palazzo Reale Torinese — scandita negli stuc-chi — del Crotti e del Somasso — dalle illu-sorietà di monocromi che fingono rilievi in un costante « annodarsi di episodi pittorici e pla-stici».

Le composizioni più varie e mosse si contem-plano con un sottile piacere scandite come so-no di particolari «significativiper il Settecen-to: conchiglie, serti di fiori».

In questa decorazione, goduta, pittoresca, nel-lo stucco vivo suadente, la Griseri ha visto una situazione di avanguardia, sostenuta dalla pa-lese felicità dei creatori in un « ottimismo che si rivolge a cose ormai lontane dalla magnifi-ca contingenza dei potenti: per avviarsi a una contemplazione naturale e fantastica», « in-tesa con una finezza ed una sicurezza fino al-lora sconosciute. Le ghirlande animate si in-nestano agli stucchi angolari, volute model-late a conchiglia, frastagli antropomorfi inon-dati di fiori, foglie e alghe dorate, come in un sottobosco rocaille».

Un elemento — in questa trasparenza allego-rica della vitalità e della naturalezza — è ap-parso costante: la presenza del putto. Analizzando per la Storia dell'arte di Einau-di « le trasformazioni tra Sei e Settecento » è ancora la Griseri a ricordare che la fanciul-lezza era stata programmata in area d'asso-lutismo francese come auspicio di crescita fe-lice del potere «Il faut de l'enfance repandue par tout» aveva auspicato il Re Sole. Divulgati da gruppi d'ambra — Eros ed An-teros — del II e I secolo a.C., i puttini inter-pretano l'età dell'oro alle origini nel ricordo dei versi della V egloga virgiliana « Tu modo nascenti puero... toto surget gens aurea mundo ».

Il putto — reminiscenza classica in Donatello e Mantegna, elemento festoso velato di natu-ralismo in Bellini e nei Baccanali di Tiziano, giocoso ornamento nei bordi degli arazzi di Giulio Romano (Storie di Scipione), soggetto preferito dell'Albani, « inventore di Arcadia» è motivo insistente nelle decorazioni secente-sche di Torino, caro agli stuccatori Casella — attivi al Valentino e forse a Palazzo Lascaris, alla Venaria — come ai pittori (ricordiamo i fregi di Isidoro Bianchi al Valentino). Negli emblemi e nelle imprese proposte nel Sei-cento dal Tesauro e dal Borgonio, i puttini

terpretano significati retorici; più tardi nella fioritura settecentesca le interpretazioni di Eros — Amore bendato, svelato, in trionfo — verranno meno di fronte all'esaltazione gio-cosa, naturale, alla ricerca scoperta della vo-luptas: anche a Torino, nelle chiese, il tema dei putti diverrà d'obbligo.

« Li detti gruppi saranno... di differente e ben intesa bizzaria, che scherzino bene, con aver-ne in piedi, a sedere, e volanti, che reggono palme e corone d'alloro, simbolo della vitto-ria con panneggiature ed ale del medesimo marmo di Carrara». Questa "istruzione" di Juvarra per i putti della cappella di Superga sembra raccogliere e diffondere - nella fred-da Torino — la felice solarità del Mezzogior-no e il marmo bianco che egli propone per i suoi altari ripete lo splendore degli altari di Lecce.

Là il barocco, lungi dall'essere formula astrat-ta, è libertà di temperamento di artisti inter-preti di istanze religiose maturate nell'opera di ordini animati dallo zelo della Controrifor-ma, artisti portati a trasfondere in termini sen-suali le folgorazioni mistiche e le prodigiose metamorfosi del divino.

L'altare, straordinaria macchina di fede, ne rappresenta quasi sempre la summa, ornato com'è da sculture, incrostazioni, oreficerie, ri-cami.

Con sorprendente finitezza, sontuoso fasto, ricca ricerca tecnica — specie nei procedimenti tipici delle arti minori — lo scultore barocco stende il suo messaggio al servizio delle con-fraternite, degli Ordini, dei fedeli, della no-biltà più ricca e benefica,

la Puglia dei secoli XVII e XVIII ha interrot-to le sue antiche strade commerciali che la le-gavano a Venezia, a Bisanzio; una nuova ca-pitale, Napoli, l'attrae nella sua sfera; giun-gono a frotte gli artisti campani a portar nuovi suggerimenti lievitanti ed alitanti.

Fra i temi espressi dall'iconografia barocca uno appare insistente nella sua fantastica ri-petitività: è ancora il motivo del putto. Capoaltare o reggifiaccola, cherubino o pic-colo Eros, anche qui l'angioletto barocco com-pare dappertutto. L'abbiamo visto in scorcio, rassicurante simbolo mitologico nel costante riproporsi della decorazione profana a Tori-no; lo rivediamo a Lecce dove nella variata decorazione degli altari offre un effetto di pia-cevole infantile freschezza.

È stato detto che la facilità della decorazione leccese — con la crescita delle grandi perso-nalità: lo Zimbalo, il Cino, fino al Manieri, era dovuta a una particolare docilità della

pie-tra locale ed essere scolpita' poi s'è visto che non sempre ci si è serviti di pietra leccese par-ticolarmente tenera per realizzare le insistite sculture.

A chi oggi s'accosta senza una visita sistema-tica ma con l'approccio d'acchito di amatore d'arte che osserva, il centro di Lecce rinnova l'antica immagine del Pacichelli": « a f f o l l a t a di conventi e monasteri che bisbigliavano gia-cultorie, la "città santa" di Lecce pullulava — nei secoli dell'età barocca — di chiese e cap-pelle ed era popolata — dentro e fuori le mu-ra — da un clero pletorico, le cui tonache svo-lazzanti erano ad un tempo la veste e l'inse-gna di una pietà religiosa in gran parte codi-ficata da norme devozionali. Dei suoi chiostri

la città, secondogenita del Regno, si vantava e l'incenso saliva dai suoi altari gradito a Dio e accetto al viceré».

Dai motivi rinascimentali presentati ancora in chiave manieristica, ai più liberi interventi del Settecento, l'arte decorativa del barocco lec-cese si svolge pura ed incontaminata nel bian-co dominante dei suoi valori plastici. Fra putti, frutta, fiori la decorazione è viva, «da toccar-si». Il sottile plasmarsi — simile al prodotto degli argentieri — "plateresco" lega queste opere davanti alle quali il visitatore, colpito da tanta ricchezza non può fare a meno di evo-care quel Ser Filippo che — progenie di ar-gentieri — a Torino portò la sottile magia della sua formazione artigiana, proponendo una nuova visione spaziale di meridionale solarità. Con Superga, punto di partenza e di arrivo della raffinata maturazione del maggiore ar-chitetto barocco a Torino, si chiude il breve excursus che ha tentato con un contrappunto di elementi razionali e fantastici, di confron-tare gli umori del Mezzogiorno con il ragio-nato ma suadente ritmo decorativo della ter-ra nostter-rana.

NOTE

1 Cfr. P.F. Palumbo - «Barocco, Storia di un concetto» in Atti del Congresso Salentino: «Barocco Europeo, Ba-rocco Italiano, BaBa-rocco Salentino», Lecce, 1970.

2 P.F. Palumbo, op. cit.

3 Ibidem.

4 Ibidem p. 35.

5 Ibidem p. 34.

6 Cfr. M. Pasculli Ferrara - Arte Napoletana in Puglia dal XVI al XVIII secolo - Fasano, 1985.

7 Cfr. in Paone - Lecce Città Chiesa - Galatina, 1974.

Nel documento Cronache Economiche. N.003, Anno 1985 (pagine 99-103)