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SITUAZIONE, PROBLEMI, ESIGENZE

Nel documento Cronache Economiche. N.003, Anno 1985 (pagine 51-57)

Bruno Pusterla

Fig- 1. Verso il passo di Porta Franca, nell'Appennino tosco-emiliano.

Il bosco fa parlare di sè, infiamma le crona-che di mezza Europa, mette in moto ecologi e studiosi di vari Paesi che ne dichiarano l'im-portanza per la vita di tutti, dimostrando di essere una realtà «viva e vitale», preziosa e benefica per l'ambiente.

Il bosco merita certo una maggiore attenzio-ne sia da parte dei programmi politici della C.E.E., dei singoli Governi, delle Regioni e di tutti gli Enti pubblici preposti alla sua tu-tela (Comunità Montane, Comprensori, Ser-vizi Regionali Forestali), sia da parte dei cit-tadini che spesso ignorano il patrimonio bo-schivo del proprio Paese o, peggio, della pria Regione o delle valli montane della pro-pria Provincia.

Esiste, in genere, una diffusa disinformazio-ne per quel che riguarda il mondo forestale e le specie vegetali che lo costituiscono, par-liamo genericamente di « alberi » quando vo-gliamo alludere a specie di alto fusto, dotate

cioè di tronco e rami, chiamiamo erroneamen-te «pini» tuterroneamen-te le pianerroneamen-te che conservano le fo-glie durante l'inverno.

Conoscere il patrimonio boschivo nazionale ed europeo deriva dalla necessità di ribadire il ruolo che le foreste avevano nel passato e dall'importanza di evidenziarne il rilancio eco-nomico ed ambientale affinchè lo spopola-mento delle zone montane e collinari e l'in-quinamento nelle grandi concentrazioni urba-ne siano in parte contenuti.

Spesso la conservazione e la buona gestione del bosco sono seriamente minacciati sia da fattori ecologici, quali l'inquinamento dell'a-ria e dell'acqua, gli incendi e i parassiti, sia dalla mancanza di una programmazione fo-restale invece necessaria per superare l'attua-le confusione che deriva da scelte locali, spesso contrastanti con gli indirizzi nazionali e comu-nitari e per auspicare un efficace sviluppo della forestazione italiana.

PANORAMA EUROPEO

Le foreste dell'Europa Comunitaria coprono una superficie di 35 milioni di ettari, cioè un quinto della superficie emersa del nostro con-tinente, mentre la superficie destinata all'agri-coltura è di 102 milioni di ettari.

Le risorse forestali europee, considerando an-che la Spagna, an-che si colloca al primo posto per la maggiore estensione, sono riportate nel prospetto numerico.

Risorse forestali europee

Paesi Ettari Spagna Francia Germania Occ. Italia Grecia Gran Bretagna 26.706.000 14.765.000 7.207.000 6.362.000 2.512.000 2.064.000 59.616.000 La foresta europea, situata nella fascia tem-perata, presenta una composizione di specie arboree molto più omogenea che in altre par-ti del mondo; infatpar-ti nei nostri boschi sono ri-conoscibili soltanto alcune centinaia di specie, mentre la foresta tropicale ne annovera diverse centinaia nello spazio di uno o due ettari. Sono per lo più latifoglie decidue, cioè a fo-glia caduca (58%) e conifere sempreverdi (42%).

Considerando l'Europa nel suo insieme, a va-ste concentrazioni di foresta si alternano re-gioni, altrettanto vaste, sprovviste di manto boscoso.

Dai dati forniti dagli Uffici Stampa della Commissione C.E.E. è noto che, mediamen-te, si ricavano dalle foreste europee 22 metri cubi/ettaro di legname ogni anno, cioè 78 mi-lioni di metri cubi in totale (il dato medio, pe-rò, non tiene conto del fatto che gran parte del patrimonio forestale è inutilizzato mentre i boschi a rapido accrescimento producono più di 10 metri cubi/ettaro all'anno).

Il patrimonio forestale europeo è costituito da specie botaniche diverse, secondo la latitudi-ne, che hanno vasta destinazione economica. La cosiddetta « foresta settentrionale » è in ge-nere rappresentata da fustaie coetanee, com-posta da una o poche specie (per lo più aceri, faggi, betulle, abeti e pini). La sua finalità eco-nomica consiste nel fornire legname da sega-gione e per la produzione di cellulosa e carta.

Fig. 2. Boschi di Valle Visdende. Fig. 3. Pioppeto rigoglioso.

La « foresta meridionale » si differenzia dalla 5

precedente per conformazione, finalità e siste-mi di sfruttamento; essa è diffusa in alcune regioni della Francia, della Jugoslavia, dell'I-talia e a quasi tutta la Grecia, la Spagna ed il Portogallo.

È rappresentata da cedui (boschi derivati per via agamica dai ricacci delle ceppaie rimaste dopo il taglio), utilizzati per produrre legna-me da ardere e da carta, nonché da una dif-fusa macchia mediterranea con precise funzio-ni protettive contro l'erosione del suolo. Le essenze vegetali più rappresentate sono i pini marittimi (P. halepensis, P. pinea, P. pi-naster), gli aceri, il castagno, l'ontano, il fras-sino, l'olivo, il leccio, le leguminose arboree (Robinia, Acacia), il pioppo.

Una razionale gestione ed una programmazio-ne del patrimonio boschivo a livello comuni-tario sono rese oltremodo difficili dalla pre-senza sul suolo forestale di diversi proprieta-ri: privati (singoli o collettivi), Stato ed altri Enti pubblici come i Comuni.

La proprietà privata è per lo più frazionata in appezzamenti di modesta estensione, in ge-nere gestiti razionalmente nel nord Europa. In Grecia ed in Irlanda lo Stato è proprietario della maggior parte del patrimonio boschivo, mentre in Francia ed in Germania la maggior quota spetta ai privati.

Tali divergenze spiegano in gran parte il di-verso atteggiamento dimostrato dai vari Stati membri nei riguardi delle foreste.

battimento e l'esbosco sono tali da avvicinar-si o superare il valore del materiale al momen-to della vendita, essendo legname da ardere e dunque non pregiato.

Il problema fondamentale del ceduo, oltre alla necessità di ridurre i costi delle operazioni di taglio e di esbosco con l'ausilio della mecca-nizzazione, è soprattutto la limitata destina-zione del legname prodotto.

Si è a lungo dibattuto ed ora si sta passando dalla fase teorica a quella pratica, sull'oppor-tunità di programmare le tecniche di sfrutta-mento del ceduo e di verificare le possibilità industriali in modo da sfruttare tale legname per la produzione di carta e pannelli. Il ceduo deve dunque trasformarsi in un ca-pitale attuale, capace di fornire un reddito suf-ficiente in modo tale da permettere, con la conversione di alcuni cedui in boschi di alto fusto e l'introduzione di essenze a rapida cre-scita nelle zone di pianura, un miglioramento qualitativo e quantitativo del legno prodotto. Infatti, la situazione italiana è di grave caren-za: nei confronti di un consumo totale di le-gname per usi industriali valutabile intorno a 50 milioni di metri cubi annui, la produzione nazionale copre solo il 30% del fabbisogno, mentre il 70% è importato.

PANORAMA PIEMONTESE

In Piemonte esistono complessi boscati in pia-nura, collina e montagna di grande valore pro-duttivo: dai pioppeti che denunciano

incre-Fig. 4. Veduta autunnale di un lembo di foresta mista seminaturale di aceri, frassino, tiglio, rovere, maggio-ciondolo, con infiltrazioni di faggio e abete bianco. Fig. 5. Val Pusteria.

PANORAMA ITALIANO

In Italia gli ettari destinati a bosco sono oltre 6 milioni, con un aumento dello 0,13% nel 1983 (circa 8.000 ettari), su una superficie to-tale di 30 milioni di ettari.

Complessivamente i boschi italiani sono rap-presentati per il 76% da latifoglie e per il 24% da conifere; la forma di governo ancora più diffusa è il ceduo (semplice per il 45% e com-posto per il 12%). Le fustaie sono il 43% del-l'intero patrimonio boschivo nazionale. Purtroppo in Italia — e qui risiede il punto dolente della selvicoltura nazionale — sono prevalenti i boschi cedui, il cui prodotto è so-lo idoneo ad essere sfruttato come combusti-bile.

Le ragioni per le quali la nostra selvicoltura è condizionata da questo tipo di formazione boschiva sono da attribuirsi a fattori di natu-ra fisica, economica e sociale, ormai natu-radicati nel tempo. Il ceduo è frutto di scelte familia-ri, individuali, è espressione di un'economia in cui i giudizi di convenienza (valutabili in ba-se al famoso rapporto benefici-costi) sono pro-fondamente diversi da quelli espressi per be-ni analoghi di pubblica proprietà.

Spesso esistono cedui che hanno macchiatici negativi o nulli, sono cioè in condizione di non fornire alcun reddito, perchè i costi per

l'ab-menti di oltre 30 metri cubi/ettaro all'anno in certe zone, al castagno di alto fusto nella zo-na collizo-nare (1.000 metri), ai boschi di faggio e abete del piano montano (1.600 metri) e di larice e pino cembro del piano subalpino (1.600-2.000 metri).

Attualmente il 26% della superficie piemon-tese è a bosco (660.000 ettari).

Confrontando i bilanci attuali di produzione forestale con quelli degli anni '50, si può ve-rificare come la massa legnosa prodotta sia di-minuita.

Da ciò si potrebbe dedurre che le superfici bo-schive si siano ridotte come estensione, in real-tà le indagini di censimento hanno rilevato un aumento dell'8%.

Dunque le risorse forestali piemontesi si so-no ridotte a causa di una scarsa utilizzazione per ragioni sociali (spopolamento di valli e col-line per abbandono di attività agricolo-forestali poco remunerative), politiche ed eco-logiche.

Parallelamente a questa riduzione delle risor-se produttive si è verificato un aumento della domanda di legno per usi industriali e per l'e-dilizia, con un conseguente aumento dell'im-portazione.

I pioppeti in Piemonte occupano una super-ficie di 50.000 ettari, per lo più in pianura in terreni alluvionali sciolti o basso-collinari, con una produzione annua valutabile intorno a 700.000 metri cubi, risorsa completamente uti-lizzata, di grande valore economico. Al fine di affrontare la grave e crescente ca-renza della produzione legnosa e contenere il deficit commerciale è indispensabile per l'e-conomia piemontese, come per quella nazio-nale, puntare nei programmi di riforestazio-ne su essenze a rapida crescita fra le quali pri-meggia il pioppo, con impianti fuori foresta. Questo il quadro delle risorse forestali piemon-tesi.

Le linee di intervento che la Regione ha mes-so in atto per migliorare la produttività e la convenienza economica dei boschi, hanno tro-vato una valida realizzazione attraverso le strutture di ricerca, sperimentazione e di in-tervento diretto dell'Istituto Piante da Legno e Ambiente (I.P.L.A. S.p.A.).

L'impegno dell'I.P.L.A., sorto nel 1980 si rea-lizza attraverso la conoscenza del patrimonio forestale piemontese, continuamente aggior-nata, per fondare su un'organica base cono-scitiva la formulazione dei programmi di in-tervento.

L'I.P.L.A., infatti, ha redatto una carta fo-restale regionale e una Carta della Capacità

d'uso dei suoli per una esatta valutazione delle capacità intrinseche del suolo, avvalendosi an-che di rilevazioni aerofotogrammetrian-che. Inoltre, questa struttura ha lo scopo di colla-borare direttamente con la Regione e l'E.S.A.P. al fine di attuare gli interventi pre-visti dai programmi forestali, di formare le nuove professionalità (operai e tecnici foresta-li) e di realizzare nel contempo tutto l'arco di attività e di ricerche scientifiche connesse a queste tematiche.

SITUAZIONE ECONOMICA

Per quanto riguarda la produzione di legno, l'Italia si trova di fronte ad una situazione estremamente deficitaria: i due terzi del con-sumo annuo di legno è di provenienza estera. Le importazioni di legno rappresentano una delle voci più onerose della nostra bilancia commerciale, preceduta solo dai prodotti pe-troliferi e dalla carne.

Inoltre, mentre la produzione nazionale è sta-tica da diversi anni, il fabbisogno di legno ten-de ad aumentare, riconquistando le aree per-dute a favore delle materie plastiche derivate dal petrolio.

In questo quadro produttivo dove gli abbat-timenti sono inferiori agli accrescimenti legno-si, è essenziale delineare le linee operative per realizzare una vera «politica del legno», rin-novando assortimenti vegetali che con il

tem-Fig. 6. Pino domestico nella tenuta di S. Fìossore IPisal. Fig. 7. Paesaggio invernale in Val di Fassa <TrentoI.

po sono diventati improduttivi e non compe-titivi sul mercato perchè di difficile lavora-zione.

È necessario che l'Ente pubblico proceda ad un lavoro di inventario per definire le zone adatte al rimboschimento, in base alla loro si-tuazione ecologica e le aree da tutelare per mo-tivi idrogeologici, paesaggistici o ambientali, maturando nello stesso tempo una reciproca compatibilità anche con settori diversi (agri-coltura montana, zootecnia, turismo, ecc.). Si tratterebbe di creare un catasto forestale operante a livello provinciale o comunale che specifichi per ogni zona l'indirizzo più appro-priato.

Ma non solo: si rendono utili anche dati eco-nomici sui diversi tipi di bosco in Italia, per valutare il reddito che possono produrre: gli incrementi annui, le infrastrutture necessarie all'accessibilità, i costi di taglio e di esbosco. La politica del legno, per essere efficiente, de-ve potersi fondare su un de-vero patrimonio fo-restale, fatto non solo di un certo numero di ettari a bosco, ma anche di cultura e assisten-za tecnica, di nuove cognizioni ecologiche e varietali e di un tessuto economico articolato in diverse imprese forestali.

Queste dovrebbero divenire, al pari delle aziende agricole moderne, delle unità econo-miche vitali dalle marcate caratteristiche

pro-fessionali e tecnologiche collegate alle capa-cità imprenditoriali.

L'assistenza tecnica divenuta professionale do-vrebbe essere estesa a tutto l'arco di sviluppo j della coltura forestale, e non limitata al

mo-mento iniziale dell'impianto.

Importante è lo studio di nuove forme di esbo-sco più economiche e delle possibilità tecno-logiche ed industriali di riconversione che con-sentano di utilizzare maggiormente i prodotti succedanei di altre coltivazioni (si pensi alla Paglia), così come il riciclo dei prodotti car-tacei di rifiuto.

Inoltre, in determinate zone ad agricoltura marginale gli investimenti forestali rappresen-tano le uniche possibilità di reddito per gli abi-tanti della montagna che da sempre hanno ge-stito e conservato l'attuale patrimonio di fo-reste. Il bosco rimane un'occasione di lavoro

per chi vive in montagna e come tale va sal-vaguardato e indirizzato nella sua espansione. L'Ente pubblico sulla base di un approfondi-to quadro delle risorse forestali del nostro Pae-se deve, regione per regione, creare un modello di gestione territoriale concentrando attenzioni e risorse verso un tipo di forestazione altamen-te qualificato.

SITUAZIONE ECOLOGICA

Il bosco nel quadro del riassetto generale del territorio montano ha sempre svolto un ruo-lo primario. Non va dimenticato che esso eser-cita un'azione di difesa idrogeologica sui suoli, impedisce la degradazione dei terreni monta-ni, l'erosione di colline incoerenti.

Si parla, infatti, a livello di valutazioni stati-stiche dei boschi italiani, di foreste regimanti e protettive, di grandissima utilità non tanto per lè masse legnose prodotte, quanto per l'o-pera di protezione esercitata contro le frane, contro l'erosione superficiale causata da piog-ge torrenziali e contro le valanghe. I boschi di resinose in quota rappresentano un valido strumento di difesa dalle valanghe, ad eccezione dei lariceti, dove, per la loro carat-teristica di boschi radi, il potere di tratteni-mento della neve è inferiore.

Le specie vegetali attraverso il meccanismo della fotosintesi che, sfruttando l'energia lu-minosa, riduce il carbonio della CO2 a com-posti di natura organica, liberano ossigeno nel-l'atmosfera, purificando giorno dopo giorno l'aria che respiriamo.

Si è stimato che 1 ettaro di bosco produca in un anno 7 tonnellate di ossigeno: il bilancio di questo rapporto è senza dubbio di notevo-le beneficio per l'uomo che vive in ambienti urbani « tossici » a causa di agenti inquinanti e ormai indissolubilmente presenti nella vita di oggi.

II bosco, elemento fondamentale di molti pae-saggi di montagna, di collina o delle coste me-diterranee, arricchisce profondamente la qua-lità della vita, permette riposo e piacevole sva-go, è rifugio per molte specie animali e asso-ciazioni floristiche. Nel bosco si possono rac-cogliere mirtilli, lamponi, bellissime felci, genziane, fiori di lavanda, vischio, ghiande, le sommità fiorite dell'origano e dell'essenzio e, in taluni ambienti particolari, come nei bo-schi di nocciolo, pioppo, quercia dell'albese, i tartufi.

L'espansione dell'industria ed il diffondersi dei gas di scarico delle auto hanno causato il tristemente famoso e sempre attuale proble-ma dell'inquinamento, specialmente quello at-mosferico che, a sua volta, è probabilmente all'origine dei danni subiti dalle foreste. Que-sta ipotesi, che non è Que-stata ancora provata del tutto, resta comunque molto attendibile, an-che a causa di sostanze acide presenti nell'at-mosfera che sarebbero il motivo del degrado delle foreste secolari in Baviera, dove è stata denunciata una perdita di 1.500 ettari di fo-resta nell'ultimo quinquennio.

Nella Foresta Nera un terzo degli abeti rossi presenta ormai gravi danni e dovrà essere ab-battuto entro un anno; anche per gli abeti bianchi la situazione non è migliore, infatti, alcuni giovani esemplari appaiono ingialliti e inariditi.

pre-maturamente molti alberi prima che abbiano raggiunto la « maturazione » necessaria per la vendita del legno, con sensibili perdite a livello economico.

Anche gli ossidi di azoto prodotti dai motori a combustione delle automobili sono forte-mente tossici per le piante.

Il terreno forestale, imbibito di acqua con un ph acido, libera elementi, divenuti solubili, co-me il ferro, il manganese e soprattutto l'allu-minio, che a concentrazioni elevate sono tos-sici per le piante; inoltre, gli ioni solfato pos-sono alterare le «micorrize», simbionti tra fungo e pianta che in diverse specie potenzia-no l'assorbimento dell'apparato radicale. Anche i parassiti fungini ed animali concor-rono all'impoverimento del bosco. Basti pen-sare ai danni provocati nelle nostre pinete pie-montesi dalla « processionaria » (Thaumetho-paea pityocampa), i cui nidi sono visibili an-che con una breve passeggiata in un bosco; alla grafiosi dell'olmo (alterazione patologica cau-sata da un fungo), al cancro corticale del ca-stagno (prodotto dall'Endothia parasitica) che ha provocato una tremenda moria degli esem-plari nostrani, al cancro colorato del platano (agente è la Ceratocystis fumbriata), agli at-tacchi divenuti preoccupanti di Armillaria mel-lea sull'abete bianco.

Un altro nemico del bosco è l'incendio. La Regione Piemonte, con la Legge n. 13 del 1974 ha inteso svolgere un'opera promozio-nale di protezione dei boschi da un fenome-no che ha assunto, soprattutto in altre regio-ni, proporzioni inquietanti, costituendo appo-siti nuclei operativi di pronto intervento. Spesso però — a causa di condizioni orogra-fiche e meteorologiche sfavorevoli — i tradi-zionali metodi di lotta contro gli incendi han-no dato risultati poco efficaci, anche a causa dell'intempestività degli interventi.

La ricerca in questi ultimi anni ha messo a punto i «ritardanti chimici», sostanze, per lo più costituite da una miscela di fosfato biam-monico puro, in grado di rendere la vegeta-zione incombustibile. Questo nuovo mezzo, che si è rivelato efficace, pur con tutte le pre-cauzioni del caso potrebbe affiancare il lavo-ro di tutti cololavo-ro che operano validamente per proteggere questo insostituibile patrimonio. I molteplici vantaggi che ci offre il bosco non sono sempre monetizzabili e per questo sono stati spesse volte trascurati, proprio per la lo-gica di un mondo consumistico che vuole da-re un pda-rezzo ed un costo ad ogni bene. In tutti i tempi l'uomo si è comportato scon-sideratamente nei confronti del bosco,

sotto-valutando la sua funzione: abbiamo assistito a tagli indiscriminati e intensi con il miraggio di maggiori produzioni agricole; ci siamo cu-rati poco o nulla degli incendi e raramente è stata impostata una razionale difesa dalle in-festazioni di insetti nocivi e parassiti ed una vera e propria opera di rimboschimento. Purtroppo è ancora valido il detto di Chateau-briand «il bosco precede l'uomo mentre il de-serto lo segue».

Nel documento Cronache Economiche. N.003, Anno 1985 (pagine 51-57)