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La base giuridica in materia di diritto penale processuale: l’articolo 82 TFUE

6.1. Il contenuto dell’art. 82 TFUE e le novità introdotte dal Trattato di Lisbona

L’art. 82, par. 1, TFUE esordisce ponendo a fondamento della coopera- zione europea nel settore processuale penale il reciproco riconoscimento, ele- vato a motore dell’attività dell’Unione unitamente all’adozione di norme di ravvicinamento degli ordinamenti nazionali152. Al riguardo, la riforma dei Trattati muove nella direzione più volte indicata dalle istituzioni europee cir- ca la necessità di rafforzare questo principio153, al fine di assicurare impulso all’integrazione europea, nel rispetto delle peculiarità dei singoli sistemi pena- li. Il reciproco riconoscimento, infatti, rappresenta un vero e proiprio stru- mento di costruzione dello spazio giudiziario europeo154, poiché, lungi  

152 Il principio del reciproco riconoscimento sarà oggetto di più puntuale analisi nel

Capitolo IV. Sulla rilevanza del principio nell’àmbito della cooperazione in materia penale si segnalano sin d’ora, fra gli altri, G. DE KERCHOVE,A.WEYEMBERGH (a cura di), La confiance mutuelle dans l’espace pénal européen, Bruxelles, 2005; M. DANE,A.KLIP (a cura di), An

additional evaluation mechanism in the field of EU judicial cooperation in criminal matters to strengthen mutual trust, Tilburg, 2009. Per le prospettive del principio nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia a séguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona cfr. G. VERNIMMEN-VAN TIGGELEN,L.SURANO,A.WEYEMBERGH (a cura di), The future of mutual recognition in the European Union, Bruxelles, 2009; O. DE SCHUTTER, Mutual recognition and mutual trust in the establishment of the Area of Freedom, Security and Justice, in O. DE

SCHUTTER,V.MORENO (a cura di), Human rights in the web of governance: towards a learning- based fundamental rights policy for the European Union, Lovanio, 2010.

153 In particolare, v. le conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo di Cardiff del

15 e 16 giugno 1998, al punto 39: «Il Consiglio europeo sottolinea l’importanza di un’efficace cooperazione giudiziaria nella lotta contro la criminalità transnazionale. Esso riconosce che occorre potenziare la capacità dei sistemi giuridici nazionali di operare in stretto contatto e chiede al Consiglio di determinare in quale misura si debba estendere il riconoscimento reci- proco delle decisioni dei rispettivi tribunali». Dello stesso tenore le conclusioni del Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999. La codificazione del principio era altresì previ- sta dall’art. 67 del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa. Formalizzando il princi- pio, i redattori del Trattato hanno disatteso la posizione dottrinale che criticava l’estensione del principio in esame alla materia penale, in ragione della necessità di tutelare il principio di legalità. V. sul punto N.PARISI, Spazio di libertà, sicurezza e giustizia e principio di legalità. Qualche riflessione a partire dal principio del mutuo riconoscimento in campo penale, in E.CA- STORINA (a cura di), Profili attuali e prospettive di diritto costituzionale europeo, Torino, 2007, p. 367, ove l’autrice evidenzia, criticando di fatto l’assunto giurisprudenziale circa la sussisten- za di reciproca fiducia tra gli Stati membri, che all’applicazione del reciproco riconoscimento dovrebbe affiancarsi una valutazione in concreto dei livelli di tutela dei diritti assicurati a livel- lo nazionale.

154 In questo senso N.P

ARISI, Tecniche di costruzione di uno spazio penale europeo. In tema

di riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie e di armonizzazione delle garanzie proce- durali, in Studi sull’integrazione europea, 2012, p. 33.

dall’imporre l’uniformazione degli ordinamenti interni, muove dal presuppo- sto della fiducia reciproca fra gli Stati membri in ordine all’idoneità delle ri- pettive soluzioni normative ed all’adeguatezza degli apparati di prevenzione e repressione del crimine155.

In questo contesto, l’art. 82 consacra a livello primario le priorità che negli anni hanno caratterizzato l’attività del legislatore europeo. Con uno sforzo di astrazione, infatti, è possibile individuare tre filoni principali nella produzione normativa UE: atti destinati a migliorare l’efficienza dei meccanismi di coope- razione, come nel caso del mandato d’arresto europeo e delle norme che im- pongono il riconoscimento di ulteriori tipologie di decisioni giurisdizionali; disposizioni volte ad incentivare un certo grado di europeizzazione dei sistemi penali e processuali nazionali, ad esempio attraverso la formazione dei magi- strati; iniziative focalizzate sulla tutela dei diritti delle parti processuali, espressione della più recente “stagione normativa” dell’Unione.

L’art. 82, par. 1, secondo periodo, in effetti, investe anzitutto il legislatore europeo del còmpito di adottare misure intese a rafforzare il reciproco rico- noscimento delle decisioni giudiziarie, senza specifiche limitazioni quanto a contenuto o tipologia dei provvedimenti interessati. Inoltre, viene attribuita all’Unione competenza a adottare norme volte a prevenire e risolvere i conflit- ti di giurisdizione, profilo che rappresenta una delle principali lacune dell’attuale panorama normativo, anche in raffronto alle più radicate espe- rienze avviate nel contesto della cooperazione giudiziaria in materia civile. Da ultimo, la norma in esame riconosce all’Unione la possibilità di addottare norme allo scopo di supportare la formazione dei magistrati e degli operatori giudiziari e la cooperazione fra le autorità competenti degli Stati membri.

Il par. 2 legittima poi l’adozione di direttive di contenuto minimo, purché rispettose delle tradizioni giuridiche nazionali, riguardanti l’ammissibilità del- le fonti di prova, i diritti dell’indagato o imputato e le prerogative delle vitti- me della criminalità. In questa ipotesi non si tratta dunque di misure diretta- mente destinate a rafforzare la cooperazione in materia penale per mezzo di un diretto impulso al reciproco riconoscimento, bensì di strumenti che, ravvi- cinando i sistemi processuali statali in relazione ad aspetti di peculiare e con-

 

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In questo senso, il principio del reciproco riconoscimento appare espressione del prin- cipio di sussidiarietà e, anche sotto questa luce, sarà considerato con maggiore puntualità nel prosieguo del lavoro, ed in particolare nel Cap. II. Per approfondimenti v. J. MATTERA, L’Union européenne assure le respect des identités nationales, régionales et locales, en particulier par l’application et la mise en œuvre du principe de la reconnaissance mutuelle, in Revue de droit de l’Union européenne, 2002, p. 237. Allo stesso tempo, peraltro, come è stato sottolineato in dottrina, questa impostazione fronteggia l’insoddisfacente grado di attuazione di molti degli atti già in vigore. V. in particolare V.MITSILEGAS, EU criminal law, Oxford, 2009, p. 156; per

una analisi complessiva della situazione in ciascuno dei Paesi membri v. G.VERNIMMEN-VAN

divisa importanza, possono costituire un incentivo indiretto alla fiducia fra le autorità giudiziarie nazionali.

Infine, in forza della lett. d), grazie ad una formula di chiusura del sistema idonea ad assicurare un pur circoscritto margine di flessibilità ai legislatori UE, il Consiglio può individuare in via preliminare, con decisione oggetto di previa approvazione parlamentare, ulteriori e specifici istituti processuali sui quali legiferare con procedura legislativa ordinaria156. L’adozione di direttive di contenuto minimo di cui al paragrafo in esame, nondimeno, è sempre su- bordinata ad uno stringente requisito: l’intervento normativo europeo deve infatti risultare necessario allo scopo di facilitare il reciproco riconoscimento dei provvedimenti giurisdizionali interni. In questo senso, l’art. 82, par. 2, TFUE è formulato in coerenza con l’art. 67, par. 1, TFUE che inaugura il Ti- tolo V del Trattato e che fissa quali condizioni generali per la realizzazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia il «rispetto dei diritti fondamentali nonché dei diversi ordinamenti giuridici e delle diverse tradizioni giuridiche degli Stati membri». Peraltro, le due formulazioni non sono del tutto coinci- denti, così da suggerire una possibile differente ricostruzione ermeneutica. L’art. 67 TFUE, infatti, richiamando il termine «rispetto», pone in capo all’Unione il dovere di astenersi dal violare le prerogative e le peculiarità degli ordinamenti nazionali. L’art. 82 TFUE, invece, supera la dimensione mera- mente negativa, sollecitando l’Unione europea non solo ad esercitare un pru- dente self-restraint al cospetto delle norme penali interne, ma altresì a tenerle in debito conto nell’adozione di atti di diritto derivato. Si può dunque sotto- lineare come, accogliendo questa impostazione, il Trattato non circondi solo di limiti l’attività normativa dell’UE nel settore penale, ma ponga le basi per una proficua cross-fertilization fra ordinamenti statali e disciplina sovranazio- nale.

Allo stesso tempo, l’effettiva portata operativa della clausola di cui all’art. 82, par. 2, TFUE trova nel parametro della necessità un limite sostanziale di non secondario momento. Il criterio in esame, infatti, come evidenziato in dottrina, si presta a scelte ampiamente discrezionali da parte della Commis- sione ed apre il fianco al rischio di un’elevata conflittualità con gli Stati mem- bri157.

 

156

Questa base giuridica non risulta ad oggi attuata.

157 Cfr. R.L

ÖÖF, Shooting from the hip: proposed minimum rights in criminal proceedings

throughout the EU, in European Law Journal, 2006, p. 421. L’autore ha ricollegato queste cri- tictà al dettame primario precedente al Trattato di Lisbona, in costanza del quale la Commis- sione aveva formulato la proposta di decisione quadro COM(2004) 328 def., sui diritti proces- suali dell’individuo, allo scopo di fissare norme minime comuni idonee a porre rimedio alle principali criticità sollevate in materia dalla messa in opera del mandato d’earresto europeo. Benché il progetto prevedesse solo norme minime volte a fissare standard comuni, il testo in- contrò la risoluta opposizione di molti Paesi membri, restii ad accettare un intervento legisla- tivo dell’Unione in un settore così peculiare, in assenza di una chiara necessità. L’autore ha in

Peraltro, in forza del par. 2, secondo periodo, l’introduzione di tali norme minime comuni non priva gli Stati della possibilità di mantenere o introdurre livelli di tutela più elevati, a limitazione dell’effetto preclusivo che ordinaria- mente segue all’intervento normativo dell’Unione158.

La formulazione della norma in esame presenta alcune differenze di rilie- vo rispetto al previgente art. 31 TUE159. Oltre alla già evidenziata codificazio- ne del principio del reciproco riconoscimento, si registra una sensibile ridefi- nizione – anche in chiave terminologica – delle attribuzioni e degli obiettivi dell’azione UE in materia: è stato eliso il richiamo alla facilitazione delle pro- cedure di estradizione, mentre è stato inserito ex novo il sostegno alla forma- zione del personale; è stato abrogato il potere di assicurare la compatibilità delle normative processuali applicabili negli Stati membri, ma alla prevenzio- ne dei conflitti di giurisdizione si è aggiunta anche la competenza a individua- re i criteri per la loro risoluzione.

Peraltro, l’elencazione di cui all’art. 31 TUE appariva meramente esempli- ficativa, circostanza resa evidente, più ancòra che nella versione italiana del Trattato, dalle formule usate nei testi inglese e francese: rispettivamente «shall

include» e «L’action en commun […] vise, entre autres, à». Viceversa, le prio-

rità indicate dalla lett. a) alla lett. c) dell’odierno art. 82 TFUE sono esaustive, ma vengono accompagnate dalla menzionata clausola di cui alla lett. d), che fissa una specifica procedura per eventuali estensioni ad hoc, rispetto a singoli  

effetti evidenziato due principali criticità connesse alla proposta della Commissione: la scarsa attenzione per i limiti delle competenze dell’Unione in materia processuale penale prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona e la scissione tra il progetto di atto e le problema- tiche concrete nell’applicazione del reciproco riconoscimento a livello nazionale. Ne è derivato un lungo periodo di stallo dei negoziati: nonostante la priorità delle misure in oggetto fosse stata almeno formalmente riconosciuta, tanto da essere espressamente formalizzata nel Pro- gramma dell’Aia. Per approfondimenti sulle prime fasi dell’elaborazione della proposta della Commissione v. C.MORGAN, Proposal for a framework decision on procedural safeguards for

suspects and defendants in criminal proceedings throughout the European Union, in ERA Fo- rum, 2003, p. 91; v. altresì House of Lords European Union Committee, Breaking the dead- lock. What kind of future for EU procedural rights?, Second Report, session 2006-2007, paper 20.

158

Sull’effetto di pre-emption rispetto all’attività del legislatore nazionale, con riferimento alla sola cooperazione penale, v. infra, Capitolo II, par. 2.2.

159

Cfr. art. 31, par. 1, lettere a-d) TUE, nella sua formulazione precedente all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona: «1. L’azione comune nel settore della cooperazione giudiziaria in materia penale comprende:

a) la facilitazione e l’accelerazione della cooperazione tra i ministeri competenti e le auto- rità giudiziarie o autorità omologhe degli Stati membri, ove appropriato anche tramite Euro- just, in relazione ai procedimenti e all’esecuzione delle decisioni;

b) la facilitazione dell’estradizione fra Stati membri;

c) la garanzia della compatibilità delle normative applicabili negli Stati membri, nella mi- sura necessaria per migliorare la suddetta cooperazione;

e specifici istituti processuali non espressamente individuati dalla norma in questione.

Alla precedente elencazione aperta si sostituisce dunque un enunciato maggiormente rigido, la cui portata e la cui residua flessibilità sono subordi- nate al rispetto di formalità rigorose. Da un lato, infatti, l’esercizio delle com- petenze previste dall’art. 82, par. 2, TFUE è presidiato dalla previa valutazio- ne sulla necessità dell’intervento europeo. Dall’altro lato, i margini di esten- sione dell’azione europea a nuovi ed ulteriori profili sono delimitati da un iter istituzionale “aggravato” dall’adozione di una previa decisione unanime del Consiglio, a sua volta subordinata all’approvazione del Parlamento.

La differenza di impostazione può essere letta alla luce del contesto gene- rale in cui si incardinano le norme in oggetto. Essa costituisce infatti un ele- mento indicatore della costante premura di garantire un accorto e ragionevole bilanciamento tra il rafforzamento della cooperazione nel settore penale e l’individuazione dei confini riservati agli ordinamenti giuridici, nonché, prima ancòra, alle opzioni politiche degli Stati membri.

Un ultimo elemento di interesse deriva dalla formulazione di alcune di- sposizioni che mal si attagliano all’inquadramento dello spazio di libertà, sicu- rezza e giustizia – e dunque della cooperazione in materia penale – fra i settori di competenza concorrente. Infatti, l’art. 82, par. 1, lett. c), riguarda l’adozione di norme volte «a sostenere la formazione dei magistrati e degli operatori giudiziari», mentre la lett. d) conferisce al legislatore europeo la competenza a «facilitare la cooperazione tra le autorità giudiziarie […] in re- lazione all’azione penale e all’esecuzione delle decisioni». A queste previsioni si affianca inoltre l’art. 84, alla luce del quale Parlamento e Consiglio, median- te procedura legislativa ordinaria, possono «incentivare e sostenere l’azione degli Stati membri nel campo della prevenzione della criminalità». In questi casi, il dettame del Trattato suggerisce si tratti di competenze cd. del terzo ti- po, grazie alle quali l’Unione si limita a sostenere, coordinare o completare l’azione degli Stati membri, i quali dunque conservano in via principale il po- tere di legiferare.

In assenza di ulteriori indicazioni da parte dei redattori del Trattato, si ri- tiene preferibile configurare la competenza dell’Unione europea in questi specifici settori come uno dei poc’anzi richiamati competence cocktails. Depo- ne a favore di questa impostazione, anzitutto, una ricostruzione letterale del disposto del Trattato. Inoltre, soccorre il particolare contesto nel quale sono incardinate le norme in esame, ovverosia un settore di tradizionale prerogati- va nazionale, circondato nel Trattato da numerose tutele in favore degli spazi di intervento del legislatore interno. L’organizzazione del potere giudiziario e la formazione della magistratura costituiscono in tutta evidenza attribuzioni degli Stati membri, che possono nondimeno necessitare del supporto dell’U-

nione per i profili che trascendono i confini nazionali, senza che eventuali ini- ziative europee precludano l’intervento normativo interno160.

6.2. Il rapporto tra le disposizioni dell’art. 82 TFUE

La piena comprensione della portata della basi giuridiche consacrate all’art. 82 TFUE impone un raffronto tra il dato testuale dei suoi primi due paragrafi. L’analisi di queste disposizioni conduce infatti ad alcune riflessioni di portata sistematica.

La necessità di operare una distinzione si evince anzitutto dal fatto che so- lo il par. 2 impone il rispetto delle specifiche condizioni sopra menzionate per l’esercizio del potere legislativo in sede europea. Inoltre, il par. 1 non subor- dina espressamente l’intervento del legislatore europeo al carattere transna- zionale della materia o dell’istituto disciplinati, sebbene in ultima analisi le materie che ne sono oggetto presuppongano in concreto il coinvolgimento di più Stati – si pensi alla normativa in materia di coordinamento ed attribuzione della giurisdizione – o profili di rilevanza sovranazionale, come nel caso della formazione dei magistrati.

Sul punto, invero, appare maggiormene indicativo un raffronto con il di- sposto dell’art. 81 TFUE, in tema di cooperazione giudiziaria civile. Quest’ul- timo infatti, al par. 1, fa ricorso all’espressione «materie civili con implicazioni transnazionali», mentre l’art. 82, par. 2, utilizza la formula «materie penali  

160 Nel dicembre 2001, il Consiglio aveva esortato a realizzare una rete europea per pro-

muovere la formazione dei magistrati, con lo scopo di alimentare la fiducia tra le autorità na- zionali coinvolte. V. in particolare l’iniziativa della Repubblica francese per l’adozione di una decisione del Consiglio che istituisca una rete europea di formazione giudiziaria, in GU C 18, del 19 gennaio 2001. Analogamente, il programma dell’Aia adottato nel novembre 2004 insi- steva sulla necessità di incrementare la fiducia reciproca, migliorando la conoscenza dei vari sistemi giuridici e la comprensione tra autorità giudiziarie, verso la costruzione di una cultura giudiziaria comune. Il tema è stato successivamente affrontato con la comunicazione COM(2006) 356 def., del 29 giugno 2006, sulla formazione giudiziaria nell’Unione europea, con la quale la Commissione ha prospettato una serie di interventi, soprattutto in termini di finanziamento di progetti di formazione e scambio, molti dei quali realizzati nell’àmbito del programma quadro 2007-2013 “diritti fondamentali e giustizia”. Nel 2011, la Commissione ha pubblicato una nuova comunicazione, COM(2011) 551, del 13 settembre 2013, nella quale ha ancòra una volta evidenziato lo stretto legame tra formazione europea dei magistrati e fiducia reciproca, a beneficio dell’impulso alla cooperazione giudiziaria civile e penale. In relazione al periodo 2014-2020, la materia è disciplinata dal programma Giustizia previsto con regolamen- to UE 1382/2013, del Parlamento e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, in GU L 354, del 18 dicembre 2013, p. 73. Il regolamento si fonda, tra l’altro, proprio sull’art. 82, par. 1, e sull’art. 84 TFUE ed il suo obiettivo generale, in forza dell’art. 3, è di «contribuire all’ulteriore svilup- po di uno spazio europeo di giustizia basato sul riconoscimento reciproco e la fiducia recipro- ca, in particolare attraverso la promozione della cooperazione giudiziaria in materia civile e penale». In dottrina v. G.PAYAN, Emergence d’une stratégie européenne en matière de coopéra- tion judiciaire, in Revue trimestrielle de droit européen, 2014, p. 39.

aventi dimensione transnazionale». Ciò sembra suggerire che il disposto dell’art. 82 TFUE abbia una portata più ampia, idonea a conferire all’Unione il potere di ravvicinare gli ordinamenti statali non solo in presenza di proce- dimenti o delitti che coinvolgano più giurisdizioni, ma anche in presenza di istituti ai quali sia riconosciuta comune importanza o problematicità. Ad esempio, per quanto riguarda l’ammissibilità delle prove, le competenze attri- buite all’Unione risulterebbero sostanzialmente neutralizzate se non si rite- nesse che il legislatore sovranazionale sia legittimato all’adozione di norme di portata generale e contenuto minimo idonee ad assicurare un ragionevole grado di ravvicinamento degli ordinamenti nazionali, indipendentemente dall’oggettivo rilievo transnazionale dei procedimenti cui tali disposizioni po- trebbero trovare applicazione. Questo rilievo incontra peraltro il conforti del- la prassi del parlamento europeo e del Consiglio, in relazione alle direttive ri- guardanti i diritti delle parti processuali, con particolare riferimento alla vit- tima del reato, all’indagato ed all’imputato: gli strumenti normativi adottati sinora in attuazione del disposto dell’art. 82, par. 2, lettere b) e c), infatti, im- plicano il ravvicinamento delle garanzie accordate dal regime processuale sta- tale a tali soggetti nel corso di qualsiasi esperienza processuale, anche nel caso in cui si tratti di procedimenti che non rivelino alcun elemento transfrontalie- ro o legame con l’attuazione del diritto UE161.

Il paragone interno all’art. 82 mostra altresì che solo ai sensi del par. 2 l’attività normativa dell’Unione deve rispettare il multiforme panorama giuri- dico nazionale162. Al riguardo, la precisazione inserita dai redattori del Tratta- to non appare una mera enunciazione di proncipio, bensì è diretta ad ancora-