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Le competenze attribuite all’Unione europea ex art 83, par 2, TFUE

8.1. Il contenuto dell’art. 83, par. 2, TFUE: profili introduttivi

Nel contesto del rafforzamento delle competenze dell’Unione europea nel settore della cooperazione penale, un profilo di particolare interesse è costi- tuito dal disposto dell’art. 83, par. 2, TFUE. Esso infatti, come già accennato, conferisce al legislatore europeo il potere di adottare direttive, recanti norme penali minime, nell’àmbito di politiche dell’Unione già soggette a disciplina di  

201 In questo senso, la clausola in esame si differenzia dall’art. 4, par. 2, TFUE, che sanci-

sce l’obbligo in capo all’Unione europea di rispettare le identità costituzionali degli Stati membri. Come si evince dalla giurisprudenza della Corte, spetta all’Unione valutare se even- tuali argomentazioni esposte in giudizio dagli Stati costituiscano espressione dell’art. 4, par. 2, e siano dunque meritevoli di tutela. Sul punto v. la sentenza del 22 dicembre 2010, causa C- 208/09, Sayn Wittgenstein, in Racc. p. I-13693.

armonizzazione e non afferenti alla cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale. Questa potestà è tuttavia circoscritta ai casi in cui il ravvici- namento delle disposizioni penali sia necessario e funzionale alla piena effica- cia dell’azione europea in detti àmbiti203. Un ulteriore limite riguarda poi il contenuto dell’eventuale intervento normativo dell’Unione, che deve essere circoscritto alla previsione di standard minimi comuni per la definizione di fattispecie penali o misure sanzionatorie204.

8.2. Le origini dell’art. 83, par. 2, TFUE: la giurisprudenza della Corte di giustizia sulle competenze penali della Comunità europea

La disposizione in esame trae origine dal controverso e duraturo dibattito sulla competenza della Comunità europea a fissare sanzioni, eventualmente di natura penale, per assicurare in maggior grado il perseguimento delle finalità sottese alle politiche previste dai Trattati. Una questione che ha avuto partico- lare risalto alla luce di un filone giurisprudenziale della Corte di giustizia, culminato con nei casi Reati ambientali e Sicurezza marittima205 – che qui oc- corre brevemente richiamare – entrambe riguardanti l’individuazione della corretta base giuridica per l’adozione di norme in tema di tutela dell’am- biente.

Nel primo caso206, la controversia sorta fra Commissione e Consiglio ver- teva sulla decisione quadro 2003/80/GAI, adottata dal Consiglio stesso in  

203 In termini generali, sull’art. 83, par. 2, TFUE v. C.L

ADEMBURGER, The resources of Eu-

ropean security: developing the EU Treaty vasis for police cooperation and judicial cooperation in criminal matters, in Revue européenne de droit public, 2008, p. 125; A.BERNARDI, La compe-

tenza penale accessoria dell’Unione europea: problemi e prospettive, in Diritto penale contempo- raneo, 2012, p. 43.

204

L’iter decisionale per l’adozione di tali norme minime è individuato per relationem alla procedura indicata dal Trattato per la materia extrapenale di volta in volta interessata.

205

V. rispettivamente le sentenze della Corte di giustizia 1° settembre 2005, causa C- 176/03, Commissione c. Consiglio, in Racc., p. I-7879; 23 ottobre 2007, causa C-440/05, Com- missione c. Consiglio, in Racc. p. I-9097. Per approfondimenti di carattere generale v. ex multis A.DAWES,O.LINSKEY, The Ever-Longer Arm of EC Law: the Extension of Community Com- petence into the Field of Criminal Law, in Common Market Law Review, 2008, p. 131, S. PEERS, The European Community’s Criminal Law Competence: the Plot Thickens, in European

Law Review, 2008, p. 399.

206 V., fra i numerosi contributi e commenti, P.T

ORRETTA, Quando le politiche comunitar-

ie “attraggono” competenze penali: la tutela dell’ambiente attraverso il diritto penale in una re- cente decisione della Corte europea di Giustizia (Sentenza 13 Settembre 2005, causa C-176/03), in Rassegna di diritto pubblico europeo, 2005, p. 219; M.L.CESONI, Compétence pénale: la Cour de justice des Communautés européennes prime-t-elle le principe de legalité, in Journal des Tribunaux, 2006, p. 365; F.CHALTIEL, Arrêt CJCE Commission c. Conseil, du 13 septembre 2005: une nouvelle avancée de l’idée de souveraineté européenne: la souveraineté pénale en dé- venir, in Revue du marché commun et de l’Union européenne, 2006, p. 24; P.THIEFFRY, Con- tentieux de la validité des mesures communautaires de protection de l’environnement: le retour,

forza degli articoli 29, 31 e 34 TUE207. Nella sua proposta, la Commissione aveva indicato quale base giuridica l’art. 175, par. 1, TCE, in tema di prote- zione dell’ambiente. Tuttavia, come precisato nei considerando dell’atto, i rappresentanti degli Stati membri riuniti in Consiglio avevano inteso incorpo- rare nel documento alcune norme di diritto penale sostanziale. Di conseguen- za, avevano ritenuto che il progetto trascendesse le prerogative della Comuni- tà e che dovesse essere più opportunamente incardinato nel contesto della cooperazione in materia penale.

Onde evitare il fallimento dell’iter normativo, era stata modificata la base giuridica dell’atto, senza tuttavia sottoporre ulteriormente la problematica alla Commissione208. Quest’ultima sollecitava dunque l’annullamento di tale atto, che interessava profili e perseguiva finalità teoricamente riconducibili sia al terzo pilastro sia al Trattato comunitario. In effetti, se la previsione di norme di ravvicinamento degli ordinamenti interni nel settore penale rappresentava un obiettivo di tradizionale matrice intergovernativa, la tutela dell’ambiente era annoverata fra le politiche comunitarie209.

In uno con il Parlamento europeo, l’istituzione ricorrente riteneva, dun- que, che le disposizioni inserite nella decisione quadro dovessero essere più correttamente fondate sull’art. 175 TCE, ritenuto idoneo ad imporre agli Stati l’introduzione di norme penali sostanziali e sanzionatorie, funzionali ad assi- curare la piena efficacia dell’azione europea nel settore ambientale210.

Il compito della Corte, pertanto, consisteva nella valutazione del contenu- to della decisione quadro, attraverso l’attenta ponderazione delle due anime dell’atto211. Nel dirimere la controversa questione, il Giudice dell’Unione ha  

in Gazette du Palais, 2006, p. 873; D.SPINELLIS, Court of justice of the European Community,

judgment of 13 September 2005, in European Constitutional Law Review, 2006, p. 293; C. HONORATI, La comunitarizzazione della tutela penale, cit. p. 941.

207

Decisione quadro 2003/80/GAI del Consiglio, del 27 gennaio 2003, sulla protezione dell’ambiente attraverso il diritto penale, in GU L 29, del 5 febbraio 2003, p. 55.

208

V. in particolare il 7° considerando della decisione quadro.

209 L’importanza delle disposizioni di natura penale nell’economia complessiva della deci-

sione quadro era evidente anzitutto dalle tappe della procedura normativa. La più parte di tali norme era stata infatti introdotta dal Consiglio in corso d’opera, sulla scorta della crescente preoccupazione per fenomeni criminali transnazionali capaci di arrecare grave pregiudizio all’ambiente. Alla base della decisione quadro vi era dunque l’intenzione di perseguire con strumenti più efficaci e condivisi i reati ambientali. Cfr. i considerando 1-3.

210 Pur in mancanza di precedenti specifici, la Commissione si appellava alla giurispruden-

za della Corte sul principio di leale cooperazione, nonché ai princìpi di effettività e di equiva- lenza, ed in particolare alle sentenze della Corte di giustizia del 2 febbraio 1977, causa 50/76, Amsterdam Bulb, in Racc., p. 137, punto 33, e dell’8 luglio 1999, causa C-186/98, Nunes e de Matos, in Racc. p. I-4883, punti 12 e 14.

211

Rispetto alla sentenza sui Visti aeroportuali, si segnalavano alcuni importanti elementi di novità, derivanti da una sostanziale differenza fra i problemi giuridici affrontati nelle due cause: se nella prima si trattava di definire in quale settore di competenza ricadesse la materia disciplinata dall’UE, nella seconda si assisteva ad un atto che coinvolgeva al contempo il setto-

richiamato i princìpi a più riprese sostenuti nelle cause riguardanti l’indivi- duazione della base giuridica, applicandoli altresì ai conflitti fra diversi pilastri dell’UE. In questo senso, essa ha riproposto l’assunto giurisprudenziale se- condo cui tale scelta deve ispirarsi a criteri oggettivi, suscettibili di sindacato giurisdizionale, quali il contenuto e lo scopo dell’atto212. Proprio la pondera- zione di questi elementi è infatti il presupposto per apprezzare quale profilo costituisca l’asse portante dell’atto e quale invece rivesta una funzione mera- mente ancillare213. Muovendo dunque dalla valutazione di tali presupposti, la Corte ha ravvisato nel rafforzamento della tutela ambientale l’oggetto princi- pale della decisione quadro, reso urgente dall’acuirsi dei fenomeni criminali transfrontalieri. Essa ha di conseguenza dichiarato la nullità dell’atto.

I Giudici di Lussemburgo hanno in particolare riconosciuto, in presenza di talune condizioni, la legittimazione in capo alla Comunità ad imporre agli Stati l’adozione di norme penali214. Pur mancando un’attribuzione generale di  

re ambientale e penale. In passato, ove si fosse rilevata una coincidenza di profili, l’uno di rile- vanza comunitaria, l’altro intergovernativa, si era a più riprese ricorso alla prassi di adottare due atti in parallelo, reciprocamente complementari. Così era avvenuto, ad esempio, per il re- golamento CE 974/1998, del Consiglio, del 3 maggio 1998, relativo all’introduzione dell’euro, in GU L 139, dell’11 maggio 1998, p. 1, integrato dalla decisione quadro 2000/383/GAI, del Consiglio, del 29 maggio 2000, relativa al rafforzamento della tutela per mezzo di sanzioni pe- nali e altre sanzioni contro la falsificazione di monete in relazione all’introduzione dell’euro, in GU L 140, del 14 giugno 2000, p. 1; v. altresì direttiva 2002/90/CE, volta a definire il favoreg- giamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali, in GU L 328, del 5 dicembre 2002, p. 17, completata dalla decisione quadro 2002/946/GAI, del Consiglio, del 28 novembre 2002, relativa al rafforzamento del quadro penale per la repressione del favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali, in GU L 328, del 5 dicembre 2002, p. 1. Questa prassi è stata efficacemente definita in dottrina con l’espressione «cohabitation forcée»: v. J.A.E.VERVAELE, The European Community and harmonization of the criminal law enforce- ment of Community policy, in European Criminal Law Association’s Forum, 2006, p. 88.

212 V. fra le molte pronunce della Corte di giustizia in materia, le sentenze 11 giugno 1991,

causa C-300/89, Commissione c. Consiglio (Biossido di titanio), in Racc. p. I-2867, punto 10; 19 settembre 2002, causa C-336/00, Huber, in Racc. p. I-7699, punto 30; 12 maggio 2005, causa C-347/03, Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia e ERSA, in Racc. p. I-3785, punto 72.

213 Ciò anche in ragione del fatto che, secondo la Corte, nell’àmbito del primo pilastro, so-

lo ove sia provato che l’atto persegue contemporaneamente più obiettivi tra loro inseparabili senza che uno di essi assuma importanza secondaria e indiretta rispetto all’altro, la base giuri- dica può essere individuata nei diversi fondamenti normativi corrispondenti. Si tratta dunque di ipotesi che la stessa giurisprudenza di Lussemburgo qualifica come eccezionali. V. le sen- tenze 19 settembre 2002, Huber, cit., punto 31; 12 dicembre 2002, causa C-281/01, Commis- sione c. Consiglio, in Racc. p. I-12049, punto 35; 11 settembre 2003, causa C-211/01, Commis- sione c. Consiglio, in Racc. p. I-8913, nonché il parere 6 dicembre 2001, n. 2/00 sulla conven- zione sulla diversità biologica, in Racc. p. I-9713, punto 23.

214

L’impostazione supportata dal Collegio è stata oggetto di accese critiche a livello na- zionale. Si segnala sotto questo profilo la relazione di Richard Plender alla House of Lords, che ha avanzato forti criticità sull’individuazione di una competenza penale in capo alla Co- munità, in assenza di espresse disposizioni del Trattato e di una chiara volontà degli Stati

competenza alla Comunità a legiferare nel settore penale215, infatti, la previ- sione di fattispecie criminali e l’applicazione di misure sanzionatorie effettive, proporzionate e dissuasive è stata ritenuta uno strumento elettivo per salva- guardare l’effetto utile delle norme sulla tutela ambientale e, di riflesso, l’effettività dell’azione europea in sé216. Pertanto, nel limite in cui l’indivi- duazione di condotte penalmente rilevanti fosse strettamente necessaria ad assicurare l’effettività della disciplina comunitaria ed a contrastare fenomeni di criminalità transfrontaliera di accentuata gravità, la Comunità era legittima- ta a disporre norme capaci di incidere direttamente sulla legislazione penale degli Stati membri217, operando un progressivo ravvicinamento dei loro ordi- namenti218.

 

membri in tal senso. Cfr. R.PLENDER, The criminal law competence of the European Communi- ty, Report n. 42 dallo Europeran Union Committee della House of Lords, sessione 2005-2006, paper 227, in http://www.publications.parliament.uk/pa/ld200506/ldselect/ldeucom/227/227.pdf (2 aprile 2014). Ha sostenuto una posizione diversa C.TOBLER, Case note, in Common Market

Law Review, 2006, p. 951, che ha evidenziato l’assenza di un catalogo in negativo di compe- tenze. Hanno rilevato invece apertamente la necessità di configurare prerogative in materia penale in capo alla Comunità M.WASMAIER e N.THWAITES, The “Battle of pillars”: does the European Community have the power to approximate national criminal laws?, in European Law Review, 2004, p. 613.

215 V. altresì la sentenza della Corte di giustizia del 28 aprile 2011, causa C-61/11 PPU, El

Dridi, in Racc. p. I-3015, punto 53.

216 V. sul tema le conclusioni dell’avvocato generale Colomer. Analizzando il caso di spe-

cie e le finalità fissate dalla decisione quadro, l’avvocato generale ha ritenuto che, allo scopo di contrastare condotte penalmente rilevanti capaci di arrecare grave nocumento all’ambiente ed ai molteplici beni giuridici che su di esso si innestano, solo misure penali potessero integrare i tre requisiti ora individuati. Sarebbe spettato tuttavia agli Stati definire in concreto le misure opportune. In particolare, «la Comunità ha la facoltà di definire con precisione il bene giuri- dico tutelato e la natura della sanzione, mentre agli Stati membri spetta l’elaborazione della norma sanzionatoria, sia individualmente che in maniera coordinata attraverso la cooperazione intergovernativa disciplinata dal terzo pilastro del Trattato UE». Cfr. le conclusioni del 26 maggio 2005, causa C-176/03, Commissione c. Consiglio, in Racc. p. I-7879, punti 86-87. In dottrina v. J.P.JACQUÉ, La question de la base juridique dans le cadre de la justice et des affaires

intérieures, in A.WEYEMBERGH,G. DE KERCHOVE (a cura di), L’espace pénal européen: enjeux et perspectives, Bruxelles, 2002, pp. 255-256. Ha sottolineato il valore generalpreventivo e de- terrente di una sanzione penale, a maggior beneficio della tutela dell’ambiente, R.PEREIRA, Environmental criminal law in the first pillar: a positive development for environmental protec- tion in the European Union?, in European Environmental Law Review, 2007, p. 257.

217 Cfr. il punto 48 della sentenza in esame. La Corte ha dunque posto l’accento sui con-

cetti di necessità delle misure sanzionatorie ed effettività delle politiche comunitarie, in luogo di soffermarsi più diffusamente – come suggerito dall’avvocato generale – sulla specifica esi- genza di un più elevato grado di tutela dell’ambiente. In dottrina, H.LABAYLE, Architecte ou spectatrice? La Cour de justice de l’Union dans l’espace de liberté, sécurité et justice, in Revue trimestrielle de droit européen, 2006, p. 10.

218 Occorre di riflesso puntualizzare come la pronuncia in esame, a prescindere dagli im-

portanti risvolti sulle competenze della Comunità e dal copioso dibattito che ne è seguito, ab- bia sfumato la rigida ripartizione fra il pilastro comunitario ed i settori di integrazione aventi

A conferma della sensibilità della questione, a breve distanza di tempo la Corte è stata nuovamente chiamata a statuire su una controversia analoga, sorta in relazione alla decisione quadro 2005/667/GAI sul rafforzamento del- la cornice penale per la repressione dell’inquinamento provocato dalle navi219. Il punctum dolens dell’atto era costituito dalla previsione di una serie di di- sposizioni di carattere penale fondate sugli articoli 30 e 34 TUE. La Commis- sione riteneva infatti che l’esercizio della potestà legislativa del Consiglio do- vesse essere ricondotto all’art. 80, par. 2, TCE220, norma che estendeva ad altri mezzi di trasporto la disciplina riservata espressamente dal Trattato alla sola circolazione su strada e che sollecitava il Consiglio a disporre norme per il raf- forzamento della sicurezza della navigazione221.

La decisione quadro in esame, dunque, perseguiva al contempo l’obiettivo di incrementare la sicurezza marittima e di innalzare il grado di tutela ambien-  

matrice intergovernativa, accrescendo così l’importanza e la complessità del controllo giurisdi- zionale sul rispetto dei confini tra pilastri, consacrato dall’art. 47 TUE. L’art. 47 è dunque di- venuto il fulcro di quella che in dottrina è stata definita l’intergouverementalisation prohibée dell’azione della Comunità. Cfr. S.MANACORDA, Judicial activism dans le cadre de l’espace de liberté, de justice et de sécurité de l’Union européenne, in Revue de sciences criminelles et de droit pénal comparé, 2005, p. 956.

219

Cfr. la decisione quadro 2005/667/GAI, del Consiglio, del 12 luglio 2005, sulla cornice penale per la repressione dell’inquinamento navale, in GU L 255, del 30 settembre 2005, p. 164. Sulla sentenza Inquinamento marittimo del 23 ottobre 2007 v. in dottrina, ex multis, L. SCHIANO DI PEPE, Competenze comunitarie e reati ambientali: il caso dell’inquinamento provo- cato da navi, in Il diritto dell’Unione europea, 2006, p. 769; L.SCOTT, The European Court of Justice stirs up a storm in ship-source pollution, in Journal of European Criminal Law, 2007; F. MUNARI,C.AMALFITANO, Il “terzo pilastro” dell’Unione: problematiche istituzionali, sviluppi giurisprudenziali, prospettive, in Il diritto dell’Unione europea, 2007, p. 773; S.PEERS, The Eu-

ropean Community’s criminal law competence, cit., p. 399; A.DAWES,O.LINSKEY, The ever- longer arm of EC law: the extension of Community competence into the field of criminal law, in Common Market Law Review, 2008, p. 131; N.NEAGU, Entrapment between two pillars: the European Court of justice rulings in criminal law, in European Law Journal, 2009, p. 536.

220

La Commissione, in particolare, rilevava come il preambolo dell’atto esprimesse chia- ramente la finalità prioritaria delle norme in esso contenute. Il punto 4 dei considerando, in effetti, precisava che la decisione quadro era destinata ad integrare e supportare l’efficacia del- le norme della direttiva 2005/35/CE sull’inquinamento provocato dalle navi, adottata in forza dell’art. 80, par. 2, TCE. L’art. 80 TCE recitava: «1. Le disposizioni del presente titolo si ap- plicano ai trasporti ferroviari, su strada e per vie navigabili. 2. Il Consiglio, con deliberazione a maggioranza qualificata, potrà decidere se, in quale misura e con quale procedura potranno essere prese opportune disposizioni per la navigazione marittima e aerea. Le disposizioni di cui all’art. 71 sono applicabili».

221 Il Collegio ha usualmente annoverato la politica comune dei trasporti, estesa ad ogni

via di comunicazione, tra i fondamenti della Comunità. Cfr. la sentenza 28 novembre 1978, causa 97/78, Schumalla, in Racc. p. 2311, punto 4. Secondo la giurisprudenza della Corte, l’art. 80, par. 2, TCE, non escludeva l’applicazione del Trattato CE ai trasporti marittimi, ma si li- mitava a prevedere che le disposizioni specifiche relative alla politica comune dei trasporti di cui al titolo V non si applicassero automaticamente a tale àmbito di attività. Cfr. la sentenza 7 giugno 2007, causa C-178/05, Commissione c. Grecia, in Racc. p. I-4185, punto 52.

tale, anche mediante l’imposizione di misure penali. La presenza di una plura- lità di scopi era peraltro dettata dalla natura stessa della politica ambientale, settore trasversale e multidisciplinare necessariamente integrato da ulteriori politiche, quali i trasporti, l’energia, l’agricoltura.

In un simile contesto, l’analisi dello scopo e del contenuto dell’atto corro- borava il giudizio di indispensabilità dell’azione penale ai fini della maggiore effettività delle norme comunitarie a protezione dell’ambiente dall’inquina- mento navale. Ne erano indici decisivi la stretta connessione con la direttiva 2005/35/CE222, anch’essa riguardante la medesima materia, nonché l’ampio potere discrezionale riconosciuto al legislatore europeo dall’art. 80 TCE. Il secondo paragrafo, infatti, in ossequio alla necessità di garantire l’effetto utile del diritto comunitario, affidava al Consiglio il compito di adottare ogni misu- ra necessaria, senza precludere espressamente un intervento normativo in àmbito penale. Inoltre, alla luce del testo del Trattato, le esigenze connesse alla tutela dell’ambiente, da annoverarsi fra gli obiettivi prioritari della Co- munità, dovevano essere “integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni comunitarie”223. Il legislatore comunitario avrebbe dunque potuto, sulla base dell’art. 80, par. 2, TCE e nell’esercizio delle attribuzioni conferitegli da tale disposizione in materia di trasporti, promuovere la tutela dell’ambiente. Queste constatazioni hanno condotto la Corte a rilevare la nul- lità della decisione quadro, individuando nell’art. 80, par. 2, TCE la corretta base giuridica224.

 

222 Cfr. la direttiva 2005/35/CE, del Consiglio, del 7 settembre 2005, relativa all’inquina-

mento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per violazioni, in GU L 255, del 30 settembre 2005, p. 1.

223 Cfr. l’art. 6 TCE ed il punto 60 della sentenza in esame.

224 Più precisamente, la Corte ha ritenuto che l’art. 47 fosse stato violato solo rispetto ad

alcune delle disposizioni della decisione quadro. Anche se questa considerazione in nulla mo- difica l’esito della sentenza sull’atto, stante la sua indivisibilità ai fini della dichiarazione di an- nullamento, pur tuttavia disvela un importante distinguo operato dal Collegio. In particolare, rientravano effettivamente nell’àmbito operativo del terzo pilastro gli artt. 4 e 6 della decisione quadro, che definivano il tipo ed il livello di sanzioni applicabili, materia eccedente la compe- tenza della Comunità. Erano invece finalizzati al rafforzamento della sicurezza marittima gli artt. 2, 3 e 5, che imponevano agli Stati membri la repressione di talune condotte dannose per l’ambiente. La Corte non ha infine ritenuto di doversi pronunciare sull’inquadramento degli