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La base giuridica in materia di diritto penale sostanziale: l’art 83 TFUE

7.1. Il contenuto dell’art. 83 TFUE

Alcune delle considerazioni già sviluppate per l’art. 82 ben si attagliano anche all’art. 83 TFUE, dedicato alla competenza dell’Unione all’adozione di norme penali sostanziali171. In questo caso, Consiglio e Parlamento europeo sono investiti del potere di stabilire norme minime sulla definizione di reati e sanzioni, rispetto a fenomeni criminali che rispondano a due criteri essenziali: l’accentuata gravità e la portata transfrontaliera, elementi che giustificano l’urgenza di perseguire tali delitti sulla base di norme comuni agli Stati mem- bri.

In questo àmbito, i redattori del Trattato si sono preoccupati di chiarire con puntualità la portata operativa dell’art. 83 TFUE e, dunque, i confini del- le competenze accordate all’Unione europea. Il secondo periodo del primo paragrafo, infatti, dispone un’elencazione tassativa di fattispecie che rientrano nelle attribuzioni europee172: terrorismo, tratta di essere umani, sfruttamento  

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Ad ulteriore articolazione del già complesso panorama, si aggiunga che una terza pos- sibile base giuridica merita opportuna considerazione. Al disposto dell’art. 82 TFUE si acco- sta, sotto taluni profili, il testo dell’art. 74 TFUE, che affida al Consiglio, su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, la competenza a adottare prov- vedimenti che consentano la cooperazione fra servizi amministrativi nazionali o fra questi ul- timi e la Commissione. In particolare, l’art. 74 appare una specificazione dell’art. 197 TFUE, rubricato «Cooperazione amministrativa», che pone fra le strategie per assicurare l’effettiva attuazione del diritto dell’Unione l’avvio di iniziative di sostegno alle amministrazioni statali. Il Trattato dunque istituzionalizza la cooperazione amministrativa, consentendo all’Unione eu- ropea di sostenere la “capacity building” delle amministrazioni nazionali, in particolare attra- verso lo scambio di informazioni e la mobilità di funzionari, nonché mediante programmi di formazione. Anche per questa ragione, sono possibili profili di intersezione con il richiamo al «sostegno alla formazione degli operatori giudiziari» di cui all’art. 82, par. 1, TFUE.

171 Per considerazioni generali sull’art. 83 TFUE v. V.M

ITSILEGAS, The transformation of

criminal law in the Area of freedom, security and justice, in Yearbook of European Law, 2007, p. 1; C.LADEMBURGER, Police and criminal law in the Treaty of Lisbon, in European Constitu-

tional Law Review, 2008, p. 20; E.HERLIN-KARNELL, The Lisbon Treaty and the Area of crim- inal law and justice, in European Policy Analysis, SIEPS aprile 2008, www.sieps.se/epa/ 2008/EPA_nr3_ 2008.pdf (27 febbraio 2014), M.A.SANCHEZ, Derecho penal y Tratado de Lis- boa, in Revista de derecho comunitario europeo, 2008, p. 349; A.KLIP, Substantive criminal law

of the European Union, Anversa, 2011; P.ASP, The substantive criminal law competence of the European Union, Stoccolma, 2013.

172 Il carattere tassativo si evince dalla formula «dette sfere di criminalità sono le seguen-

sessuale di donne e minori, traffico di stupefacenti e di armi, riciclaggio di denaro, corruzione, contraffazione dei mezzi di pagamento, criminalità in- formatica e criminalità organizzata.

Peraltro, il terzo periodo del par. 1 contiene una clausola che, similmente a quanto avviene per l’art. 82 TFUE, introduce margini di estensione di tali competenze, ove l’adozione di norme in sede europea sia motivata dall’in- sorgenza di eventuali esigenze di tutela ulteriori, dettate dall’evoluzione dei fenomeni criminali. In simili eventualità, il Consiglio, con decisione unanime e previa approvazione del Parlamento europeo, può individuare altre sfere di criminalità per l’esercizio della potestà normativa dell’Unione173. Secondo la dottrina, deve pur sempre trattarsi di fenomeni criminali che rispondano ai criteri di cui al primo periodo dell’art. 83, par. 1, TFUE, vale a dire la rilevan- za transnazionale e la necessità di strategie di contrasto condivise174.

Così formulato, l’art. 83 TFUE ha le proprie radici negli artt. 29 e 31, par. 1, lett. e) del previgente Trattato sull’Unione europea, che annoveravano fra gli obiettivi della cooperazione nel Terzo pilastro la prevenzione e la lotta a talune forme di criminalità, in particolar modo mediante l’approvazione di norme minime in relazione al terrorismo, al crimine organizzato ed al traffico di droga o, se necessario, attraverso il ravvicinamento degli ordinamenti in- terni175. Sebbene l’art. 31 TUE enumerasse solo tre fattispecie criminose, il  

173 Ad oggi, la procedura prevista da questa disposizione non ha trovato applicazione. 174

S.PEERS, EU justice and home affairs law, Oxford, 2011, p. 762.

175 Cfr. il testo del previgente art. 29 TUE: «Fatte salve le competenze della Comunità eu-

ropea, l’obiettivo che l’Unione si prefigge è fornire ai cittadini un livello elevato di sicurezza in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, sviluppando tra gli Stati membri un’azione in co- mune nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale e prevenendo e reprimendo il razzismo e la xenofobia.

Tale obiettivo è perseguito prevenendo e reprimendo la criminalità, organizzata o di altro tipo, in particolare il terrorismo, la tratta degli esseri umani ed i reati contro i minori, il traffico illecito di droga e di armi, la corruzione e la frode, mediante:

- una più stretta cooperazione fra le forze di polizia, le autorità doganali e le altre autorità competenti degli Stati membri, sia direttamente che tramite l’Ufficio europeo di polizia (Eu- ropol), a norma degli articoli 30 e 32,

- una più stretta cooperazione tra le autorità giudiziarie e altre autorità competenti degli Stati membri, anche tramite l’Unità europea di cooperazione giudiziaria (Eurojust), a norma degli articoli 31 e 32,

- il ravvicinamento, ove necessario, delle normative degli Stati membri in materia penale, a norma dell’articolo 31, lettera e)».

V. altresì l’art. 31, par. 1, lett. e) TUE: «La progressiva adozione di misure per la fissazio- ne di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni, per quanto ri- guarda la criminalità organizzata, il terrorismo e il traffico illecito di stupefacenti».

In dottrina, su questi settori della criminalità, v. A.WEYEMBERGH,V.SANTAMARIA, Lutte contre le terrorisme et droit fondamentaux dans le cadre du Troisième Pilier. Le décision cadre du 13 juin 2002 relative à la lutte contre le terrorisme et le principe de légalité, in J.RIDEAU (a cura di), Les droits fondamentaux dans l’Union européenne dans le sillage de la Constitution

suo enunciato era ritenuto non esaustivo, poiché il combinato disposto con l’art. 29 TUE, norma di contenuto più ampio, suggeriva un’interpretazione estensiva delle competenze dell’UE.

In effetti, il legislatore europeo è nel tempo intervenuto anche in settori ulteriori, quali lo sfruttamento sessuale di donne e minori, la criminalità in- formatica, il riciclaggio di denaro o la falsificazione dei mezzi di pagamento176. In questo modo, operando un confronto tra la disciplina esistente ed il novel- lato disposto del Trattato, l’unico fenomeno criminale inserito ex novo dalla riforma di Lisbona è il traffico di armi, peraltro di fatto tradizionalmente connesso al terrorismo ed al crimine organizzato.

In definitiva, l’art. 83, par. 1, TFUE non apporta significative e sostanziali modifiche alla sfera di competenza dell’Unione europea nell’adozione di norme penali sostanziali, al netto delle riformate procedure decisionali e fatta salva la possibilità di disciplinare nuovi settori ove i presupposti istituzionali di cui al terzo periodo siano integrati.

Il secondo paragrafo dell’art. 83 TFUE, oggetto di più approfondita con- siderazione nel successivo paragrafo, conferisce invece alle istituzioni europee il potere di adottare direttive recanti norme penali minime nell’àmbito di altre politiche dell’Unione, ed in particolare nei settori interessati da misure di ar- monizzazione. Questa ulteriore potestà è tuttavia circoscritta ai casi in cui il ravvicinamento delle norme penali nazionali sia condizione essenziale per ga- rantire l’efficacia dell’azione europea nei settori di volta in volta oggetto di in- tervento177.

L’adozione di tali norme minime richiede il ricorso alla procedura legisla- tiva prevista dal Trattato per lo specifico settore extrapenale interessato, pur essendo in ogni caso possibile, a norma dell’art. 76 TFUE, che un gruppo co- stituito da almeno un quarto degli Stati membri formuli una proposta di at- to178.

 

européenne, Bruxelles, 2009, p. 127; V.MITSILEGAS, Defining organized crime in the European Union. The limits of European criminal law in the Area of freedom, security and justice, in Eu- ropean Law Review, 2001, p. 565.

176 Per un approfondimento generale sulla tendenze della produzione normativa

dell’Unione nell’ambito del terzo pilastro v. H.BAKER,C.HARDING, From past imperfect to future perfect? A longitudinal study of the Third Pillar, in European Law Review, 2009, p. 25; V.MITSILEGAS, The third wave of Third Pillar law: which direction to EU criminal justice?, in European Law Review, 2009, p. 523 e dottrina ivi citata.

177 Un ulteriore limite riguarda inoltre il contenuto dei provvedimenti dell’Unione, che

devono essere incentrati sull’applicazione di standard minimi comuni nella definizione di fatti- specie penali o misure sanzionatorie.

178 Il disposto del Trattato non consente di chiarire in via definitiva se le norme penali

debbano essere contenute in un atto ad hoc separato o se possano essere adottate quali emen- damenti a misure già in vigore. Nel passato, con riferimento alla definizione di fattispecie de- littuose in materia di inquinamento navale, la Commissione ha inteso proporre la seconda op- zione. Cfr. la proposta di direttiva recante emendamenti alla direttiva 2005/35 sull’inquina-

Le disposizioni conclusive dell’art. 83 TFUE, inoltre, disciplinano il già ci- tato meccanismo del “freno d’emergenza”. Sebbene la disciplina sia in toto ricalcata sul disposto dell’art. 82 TFUE, l’istituto trova ora applicazione in tutte le ipotesi di esercizio della potestà legislativa dell’Unione in materia di diritto penale sostanziale, senza le limitazioni che invece contraddistinguono la norma che precede179.

In ultimo, anche per l’art. 83 TFUE si pone il problema di considerare i rapporti fra i paragrafi ora brevemente analizzati. In questo senso, si ritiene che le disposizioni in questione siano leges speciales le une rispetto alle altre e che, pertanto, l’applicazione delle prime escluda l’operatività delle seconde. Sul punto si rileva dunque una pur flebile differenza rispetto all’art. 82 TFUE, in relazione ai primi paragrafi del quale si è prospettato un rapporto di specialità reciproca. Ciò sta ad indicare che, a fronte di un nucleo comune – ivi rappresentato dall’adozione di direttive con procedura legislativa ordina- ria nella materia processuale penale – le norme recano elementi integrativi e condizioni di applicabilità peculiari. Nel caso dell’art. 83 TFUE, invece, si ri- tiene venga meno anche questo minimo comune denominatore: diversi sono gli obiettivi posti a base dell’azione dell’Unione, l’oggetto del potere normati- vo conferito alle istituzioni, le materie interessate, e, potenzialmente, anche le procedure180.

Ne deriva ancòra una volta la necessità di un’accorta valutazione della ba- se giuridica a sostegno di un atto. Tale esigenza sussiste a fortiori nel rapporto fra l’art. 83 TFUE nel suo complesso e ulteriori disposizioni del Trattato, poi- ché in questa ipotesi la scelta della base giuridica determina la possibilità o

 

mento navale, COM(2008) 134. Si tratta peraltro di una proposta avanzata nel contesto nor- mativo precedente alla riforma di Lisbona e che, pertanto, non è idonea a preannunciare l’orientamento che la Commissione intenderà sostenere. Si può in questa sede evidenziare co- me l’inserimento delle norme di natura penale nell’atto contenente la disciplina generale della materia interessata possa consentire maggiore chiarezza e trasparenza, evitando altresì un’ec- cessiva frammentazione normativa. Allo stesso tempo, tuttavia, in simili ipotesi, gli Stati po- trebbero avvalersi del freno d’emergenza in misura estensiva, celando dietro alla volontà di tutelare aspetti rilevanti del proprio ordinamento penale un’opposizione di fondo al comples- so dell’atto.

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Questa differenza può trovare spiegazione nella maggiore sensibilità delle opzioni di tutela penale formulate in sede nazionale e nella conseguente necessità di assicurare un più approfondito controllo da parte degli Stati membri sulla produzione normativa europea. Un secondo ordine di ragioni attiene alla differente formulazione dei due articoli del Trattato in esame. Come già precisato, infatti, l’art. 82 esordisce menzionando il reciproco riconoscimen- to ed è nel suo primo paragrafo focalizzato sull’adozione di atti di diritto derivato volti a raf- forzare l’affermazione di tale principio essenziale per la sviluppo della cooperazione giudizia- ria e di polizia fra gli Stati membri.

180 Cfr. House of Lords European Union Committee, The Treaty of Lisbon: an impact as-

meno per gli Stati di attivare la procedura del freno di emergenza, di cui al par. 3.

Si segnala in effetti come anche altre norme del Trattato contengano una formula capace di investire di potestà normativa in materia penale l’Unione europea. L’esempio principale è costituito dall’art. 325 TFUE, già art. 280 TCE, riguardante la lotta contro le frodi agli interessi finanziari dell’Unione. Questa norma ha posto alcuni problemi interpretativi e di coordinamento con l’art. 83 TFUE. Il previgente art. 280, par. 4, TCE, infatti, prevedeva che le misure adottate dall’UE non potessero riguardare «l’applicazione del diritto penale nazionale o l’amministrazione della giustizia negli Stati membri». Que- sta formula non è stata però riproposta dopo il Trattato di riforma e la mate- ria in questione non rientra fra le ipotesi di cui all’art. 83, par. 1, TFUE, seb- bene possa manifestare possibili intersezioni con il disposto del secondo pa- ragrafo. Al riguardo, come si avrà modo di considerare più diffusamente, mentre la dottrina è divisa sul punto, le istituzioni europee hanno espresso il convincimento che l’art. 325 TFUE rappresenti una autonoma base giuridica per l’adozione di norme penali da parte dell’Unione, con la conseguente ne- cessità di opportuno coordinamento con l’art. 83 TFUE181.

7.2. Il freno d’emergenza

7.2.1. Il funzionamento della clausola

Una delle più rilevanti espressioni dei limiti all’esercizio delle competenze dell’Unione nel settore della cooperazione in materia penale, a garanzia delle prerogative e delle peculiarità degli ordinamenti interni, è prevista dagli artt. 82, par. 3, ed 83, par. 3, TFUE e riguarda il menzionato freno di emergen- za182. Queste disposizioni introducono infatti ex novo nel testo del Trattato un meccanismo di flessibilità potenzialmente idoneo ad incidere in misura molto significativa sulla produzione normativa sovranazionale e sull’omogeneo svi- luppo del processo di integrazione europea nel settore in parola.

 

181 In dottrina v. in particolare E.HERLIN-KARNELL, EU competence in criminal law after

Lisbon, in A.BIONDI,P. EECKHOUT,S.RIPLEY (a cura di), European Union Law after the Treaty of Lisbon, Oxford, 2012, p. 344. L’autrice peraltro evidenzia come anche l’art. 114 TFUE possa in linea astratta accordare al legislatore europeo una «charte blanche» all’ado- zione di norme penali. Ciò in ragione del fatto che, anche alla luce della giurisprudenza di Lussemburgo, questa norma può essere invocata per armonizzare gli ordinamenti interni lad- dove un’eccessiva frammentazione possa costituire un ostacolo alla realizzazione del mercato interno.

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In generale sul freno di emergenza – emergency break nella dicitura inglese – v. S. PEERS, EU criminal law and the Treaty of Lisbon, in Yearbook of European Law, 2008, p. 522;

V.MITSILEGAS, European criminal law and resistance to communautarisation after Lisbon, in New Journal of European Criminal Law, 2010, p. 458. Quest’ultimo autore evidenzia come il freno di emergenza costituisca uno fra i principali elementi residui del metodo intergovernati- vo nel contesto delle competenze dell’Unione nel sistema di Lisbona.

La clausola può trovare applicazione allorquando uno Stato membro ri- tenga che un progetto di direttiva contenente norme di ravvicinamento degli ordinamenti interni o finalizzate ad incentivare il reciproco riconoscimento in materia penale sostanziale o processuale incida su aspetti fondamentali del si- stema giuridico nazionale. In tali situazioni, lo Stato può chiedere che la que- stione venga sottoposta al Consiglio europeo, di modo che, attraverso un più approfondito confronto politico, si giunga ad una soluzione normativa condi- visa. La procedura legislativa viene dunque sospesa per un periodo non supe- riore a quattro mesi, termine entro il quale la massima istituzione politica eu- ropea è chiamata ad indirizzare al Consiglio il progetto di atto sul quale sia stato raggiunto un accordo.

Ove tuttavia i punti di attrito e le criticità sollevate non siano stati compo- sti, entro il medesimo termine almeno nove Stati membri hanno la facoltà di comunicare al Parlamento europeo, al Consiglio ed alla Commissione la loro intenzione di instaurare una cooperazione rafforzata, a partire dal progetto di direttiva contrastato. Secondo la formula adottata dal Trattato, ne consegue l’automatico rilascio dell’autorizzazione che gli Stati devono ordinariamente conseguire per avviare simili esperienze di flessibilità ed ha così luogo una forma di integrazione differenziata, che deve rispettare le condizioni previste in via generale per la cooperazione rafforzata183.

La possibilità di ovviare ai più rigorosi presupposti richiesti in via ordina- ria per l’avvio di una cooperazione rafforzata mira a scongiurare che l’appli- cazione di questo strumento trovi nella prassi ostacoli istituzionali difficilmen- te superabili184. Il problema riguarda soprattutto le ipotesi – non rare in una  

183 Cfr. l’art. 20, par. 2, TUE e l’art. 329, par. 1, TFUE. Si tratta, effettivamente, di una

procedura più rapida, per la quale non sono previste le condizioni in via ordinaria richieste per l’autorizzazione di una cooperazione rafforzata. In effetti l’art. 329 TFUE impone una ri- chiesta della Commissione, approvata dal Parlamento europeo e votata a maggioranza qualifi- cata dal Consiglio, con deliberazione alla quale prendono parte tutti gli Stati membri. Una vol- ta instaurata la cooperazione rafforzata, invece, prendono parte alle votazioni in Consiglio i soli rappresentanti dei Paesi membri partecipanti, ai sensi dell’art. 330 TFUE. Viceversa, ove l’adozione dell’atto richieda una deliberazione del Parlamento europeo, tutti i parlamentari possono prendere parte alla votazione. Fra le condizioni sostanziali di attivazione di una coo- perazione rafforzata, appaiono di particolare rilievo il divieto di arrecare nocumento al merca- to interno, di alterare la concorrenza fra gli Stati membri e di costituire barriere o discrimina- zioni al commercio. Questi limiti, infatti, possono esercitare un’incidenza significativa rispetto a normative di natura penale che interessino anche indirettamente l’attività imprenditoriale, come nell’ipotesi di atti sul riciclaggio di denaro o sull’uso dei dati bancari a fini di repressione criminale. Cfr. E.HERLIN-KARNELL, The constitutional dimension of European criminal law, Oxford, 2012, p. 134.

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D’altra parte la dottrina evidenzia come non vi siano dati testuali idonei a far ritenere che il meccanismo in esame sia l’unico applicabile alla cooperazione in materia penale, con totale preclusione per le procedure ordinarie di instaurazione di una cooperazione rafforzata. L’iter istituzionale potrebbe dunque dipendere dalla volontà degli Stati coinvolti o dall’op-

materia come la cooperazione nel settore penale – in cui una proposta della Commissione incontri consensi diffusi, ma non sufficienti ad integrare la maggioranza qualificata richiesta in seno al Consiglio. Con la conseguenza che, pur sussistendo un numero di Stati favorevole ad un approfondimento del processo di integrazione in un dato settore, il necessario e previo conse- guimento dell’autorizzazione costituirebbe una condizione non realizzabile185.

7.2.2. La portata del freno d’emergenza ed il rapporto con ulteriori clausole previste dai Trattati

Il meccanismo, nel suo complesso, ha dunque una duplice natura: da un lato, consente di invocare l’”emergency brake”, onde scongiurare indebite in- gerenze sui sistemi penali interni; dall’altro, predispone anche un “accelera-

tor”, grazie al quale gli Stati membri che vogliano approfondire il processo di

integrazione in un determinato settore della materia penale possono superare l’empasse ed avviare una cooperazione rafforzata186.

La previsione di questa fast-track rappresenta peraltro un importante ele- mento di novità non solo rispetto alla disciplina generale sulle cooperazioni rafforzate, ma anche in raffronto a clausole similari presenti nelle versioni passate dei Trattati187. Esse infatti erano solitamente ed esclusivamente formu- late “in negativo”, quale limite ad un approfondimento dell’integrazione eu- ropea in àmbiti particolarmente sensibili, rispetto ai quali non vi fosse diffuso consenso.

 

portunità politica contingente, anche se la disciplina fissata dal Titolo V consente un regime di maggior favore. Cfr. S.PEERS, EU criminal law, cit., p. 524.

185 Una simile situazione si è effettivamente verificata in relazione alla proposta di decisio-