3.1. Accesso al “giardino proibito”? Le prime esperienze di cooperazione ed il quadro istituzionale della cooperazione giudiziaria in materia penale nel Trat- tato di Maastricht
Le prime esperienze di cooperazione giudiziaria nel settore penale fra gli Stati membri si collocano al di fuori del processo di integrazione comunitario, sebbene siano state proprio da quest’ultimo motivate. Nel 1986, infatti, l’entrata in vigore dell’Atto unico europeo accelerò l’attuazione del mercato interno, che avrebbe dovuto essere completata entro il 1° gennaio del 199396, assicurando così piena libertà di circolazione alle persone ed ai fattori di pro- duzione. Questo lungimirante obiettivo avrebbe dunque comportato l’elisione dei controlli alle frontiere interne, con potenziali conseguenze di segno nega- tivo per la sicurezza pubblica, in assenza di opportuni correttivi.
95 V. infra, par. 8.2.
96 Cfr. il libro bianco della Commissione europea sul completamento del mercato interno,
In risposta a queste esigenze, nel 1988 il Consiglio europeo di Rodi istituì il Gruppo dei Coordinatori97, composto da rappresentanti degli Stati membri e chiamato a dirigere ed orientare l’azione di organi specializzati anche preesi- stenti, quali il Gruppo TREVI98, il Gruppo per la cooperazione giudiziaria ed il Gruppo di cooperazione ad hoc sull’immigrazione. All’esito dell’operato del Gruppo dei Coordinatori, inoltre, si pervenne all’adozione di alcune conven- zioni internazionali in materia di assistenza giudiziaria, intrise dell’influenza di analoghe esperienze avviate nel sistema del Consiglio d’Europa, sino ad allora principale promotore della realizzazione di uno spazio giudiziario di respiro europeo99.
La positiva sperimentazione dello strumento delle convenzioni influenzò i negoziati per l’approvazione del Trattato di Maastricht, il quale nel 1992 cri- stallizzò per la prima volta nella sistematica delle fonti UE il richiamo alla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, come noto inserita nel pilastro dedicato alla Giustizia ed agli Affari interni100. Il regime del 1992, in
97 Cfr. le conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo di Rodi del 2-3 dicembre
1988, pp. 3-4, reperibili all’indirizzo http://www.european-council.europa.eu/media/849119/ 1988_ dicembre_-_rodi__it_.pdf (3 ottobre 2014).
98
Il Gruppo TREVI, costituito su proposta inglese a séguito del Consiglio europeo di Roma del dicembre 1975, era composto dai Ministri dell’Interno e della Giustizia degli Stati membri. Il suo còmpito era di preparare relazioni su questioni attinenti al terrorismo, all’or- dine pubblico, alla criminalità transnazionale ed al traffico droga. L’attività di quest’organo si svolgeva in assenza di istituzioni permanenti o strumenti normativi, stante l’assenza di un ac- cordo internazionale che ne disciplinasse il funzionamento. Il lavoro dei Gruppi è risultato decisivo ai fini dell’inserimento nel Trattato UE del settore Giustizia e Affari interni. Sul pun- to, v. C.ELSEN, Les méchanismes institutionnels: Trevi, Schengen, Dublin, Maastricht, in A.
PAULY (a cura di), Schengen en panne, European Institute of Public Administration, Maastri- cht, 1994, p. 43; J.PEEK, International police cooperation within justified political and judicial frameworks: five theses on TREVI, in J.MONAR (a cura di), The Third Pillar of the European Union: cooperation in the fields of Justice and Home Affairs, Bruxelles, 1994, p. 201; G.CA- PECCHI, La cooperazione di polizia nel nuovo assetto dell’UE, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 2000, p. 147.
99 Si ricordano, sul punto, le Convenzioni di Bruxelles del 25 maggio 1987 sul trasferimen-
to delle persone condannate e sull’applicazione del principio del ne bis in idem e sulla sop- pressione della legalizzazione degli atti civili; l’Accordo di San Sebastian del 26 maggio 1989 sulla semplificazione e la modernizzazione dei mezzi di trasmissione delle domande di estradi- zione; l’Accordo di Roma del 6 novembre 1990 sulla trasmissione dei procedimenti penali; la Convenzione dell’Aia del 13 novembre 1991 sull’esecuzione della condanne penali straniere. Anche se solo un novero ristretto di questi testi ottenne il numero di ratifiche necessario all’entrata in vigore, essi rappresentarono il preludio alla creazione di un embrionale sistema di cooperazione nell’alveo del terzo pilastro dell’Unione europea. Cfr. V.LIBRANDO, La coope- razione giudiziaria nella Comunità economica europea: sette anni di attività (1984-1990), in Di- ritto comunitario e degli scambi internazionali, 1990, p. 7.
100 Sulla disciplina della cooperazione in materia penale nel Trattato di Maastricht v., ex
multis, J.MONAR,R.MORGAN, The third pillar of the European Union: cooperation in the fields of justice and home affairs, Bruxelles, 1994; D.O’KEEFE,P.TWOMEY, Legal issues of the Maas-
effetti, poneva al centro dell’attività normativa gli Stati, legittimati all’ado- zione di convenzioni, ed il Consiglio, che poteva pervenire all’approvazione di posizioni ed azioni comuni101.
In definitiva, alla formale attribuzione di competenze all’Unione non face- va séguito la previsione di mezzi effettivi ed incisivi per il loro esercizio. Tanto più che, a differenza dell’impostazione avvalorata nel pilastro comunitario, l’adozione di un atto necessitava il voto unanime dei componenti del Consi- glio.
La prudenza degli Stati membri nello sperimentare forme cogenti di coo- perazione in sede europea era altresì testimoniata dalle circoscritte funzioni riconosciute alle altre istituzioni. Proprio nel settore penale, infatti, il potere di iniziativa normativa era riservato agli Stati, a discapito della Commissione; quanto al Parlamento europeo, l’art. K.6 disponeva che esso fosse informato dei lavori svolti nell’àmbito del terzo pilastro e che la Presidenza del Consiglio lo consultasse sulle problematiche principali, tenendo in debito conto la sua opinione. Ne derivava un evidente deficit di controllo democratico, al quale si affiancava un sistema di tutela giurisdizionale oltremodo lacunoso e frammen- tato.
3.2. Il Trattato di Amsterdam e la riforma strutturale ed istituzionale del terzo pilastro
Queste criticità furono al cuore del dibattito avviato dalla conferenza in- tergovernativa sull’adozione del Trattato di Amsterdam, nell’alveo di un nuo- vo e generale obiettivo dell’Unione europea, menzionato all’art. 2 TUE: la creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia102. Il confronto si sof-
tricht Treaty, Londra, 1994; P.C.MÜLLER-GRAFF, The legal basis of the third pillar and its posi- tion in the framework of the Union Treaty, in Common Market Law Review, 1994, p. 493; M. ANDERSON, Policing the European Union, Oxford, 1995; V.BARRETT, Justice cooperation in the European Union, Dublino, 1997. Per considerazioni critiche su tale regime v. D.CURTIN,
The constitutional structure of the Union: a Europe of bits and pieces, in Common Market Law Review, 1993, p. 17; F.DEHOUSSE, Europe after Maastricht. An ever closer Union?, Monaco, 1994.
101 Sulla portata di queste ultime due fonti cfr. V.M
ITSILEGAS, Third wave of Third Pillar
law: which direction to EU criminal justice?, in European Law Review, 2009, p. 523, in partico- lare da p. 527.
102 Sul Trattato di Amsterdam e lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia v., fra gli altri, H.
LABAYLE, La coopération européenne en matière de justice et d’affaires intérieures et la Confé- rence intergouvernementale, in Revue trimestrielle de droit européen, 1997, p. 1; B. MCDONAGH, Original sin in a brave new world. An account of the negotiation of the Treaty of
Amsterdam, Dublin, 1998; J.MONAR, Justice and home affaire in the Treaty of Amsterdam: re- form at the price of fragmentation, in European Law Review, 1998, p. 320; G.SOULIER, Le
Traité d’Amsterdam et la coopération policière et judiciaire en matière pénale, in Revue de sci- ence criminelle et de droit pénal comparé, 1998, p. 237; C.ELSEN, Schengen, Maastricht, Am-
fermò in via principale sulla configurazione del quadro istituzionale e sull’opportunità di trasferire nel pilastro comunitario alcune materie sino ad allora comprese nel settore Giustizia e Affari interni.
All’esito dei lavori della conferenza, in relazione a quest’ultimo aspetto, si optò per la comunitarizzazione della disciplina relativa a immigrazione, visti, frontiere e cooperazione giudiziaria civile, che, come noto, venne incorporata al Titolo IV TCE103. Residuava così nel terzo pilastro la sola cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, anch’essa peraltro interessata da inno- vazioni significative104.
L’impostazione inaugurata con il Trattato di Amsterdam – in massima parte confermata dal Trattato di Nizza – estese il potere di iniziativa normati- va alla Commissione europea, configurando così la possibilità, grazie al con- tributo dell’istituzione in esame, di orientare l’azione dell’UE all’effettivo per- seguimento degli obiettivi posti dai Trattati105.
Per quanto attiene al processo decisionale, il Consiglio venne elevato a so- litario detentore del potere legislativo, funzione esercitata in via pressoché
sterdam: étapes de la coopération policière et judiciaire européenne, in C.ELSEN (a cura di), Mé- langes en hommage à Fernand Schockweiler, Baden-Baden, 1999; G. DE KERCHOVE, L’espace
judiciaire pénal européen après Amsterdam et le sommet de Tampere, in G. DE KERCHOVE,A. WEYEMBERGH (a cura di), Vers un espace judiciaire pénal européen, Bruxelles, 2000, p. 4; P.
MAGRINI, L’evoluzione delle politiche europee nel settore della giustizia e degli affari interni: da Schengen a Tampere via Amsterdam, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2000, p. 1817; J. MONAR,W.WESSELS (a cura di), The European Union after the Treaty of Amsterdam, Londra, 2001.
103
Cfr. L.S.ROSSI, Verso una parziale “comunitarizzazione” del terzo pilastro, in Il diritto dell’Unione europea, 1997, p. 448. Peraltro l’art. 42 TUE prevedeva la cd. clausola passerella, in forza della quale il Consiglio, su proposta della Commissione o di uno Stato membro ed in base ad una deliberazione unanime, previa consultazione del Parlamento europeo, poteva de- cidere che un’azione nei settori contemplati all’art. 29 TUE fosse trasferita al Titolo IV TCE.
104 Per una panoramica sull’evoluzione del terzo pilastro nelle successive riforme dei Trat-
tati, ed in particolare nel Trattato di Amsterdam, v. H.LABAYLE, Un espace de liberté, sécurité et justice, in Revue trimestrielle de droit européen, 1997, p. 813; J.MONAR, Justice and Home
Affairs in the Treaty of Amsterdam. Reform at the price of fragmentation, in European Law Re- view, 1998, p. 320; M.L.TUFANO La cooperazione giudiziaria penale e gli sviluppi del “terzo pilastro” del Trattato sull’Unione Europea, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2001, p. 1029.
105
Cfr. M.ZBINDEN, Les institutions et les procédures de prise de décision de l’Union euro- péenne après Amsterdam, Berna, 2002; H.NILSSON, Decision-making in EU Justice and Home
affairs: current shortcomings and reform possibilities, Sussex European Institute Working Pa- per n. 57, novembre 2002, in www.sussex.ac.uk/sei/documents/wp57.pdf (18 settembre 2014). Come visto, nel regime previsto dal Trattato di Maastricht questa prerogativa spettava in via esclusiva agli Stati, che esercitavano dunque un controllo incisivo sulla produzione nor- mativa. Un’analisi ex post permette di evidenziare come l’estensione alla Commissione del po- tere di iniziativa normativa abbia rappresentato un elemento di particolare importanza per l’impulso all’attività legislativa nel terzo pilastro. La maggior parte delle iniziative promosse dopo l’entrata in vigore del nuovo regime, infatti, fu avviata proprio alla Commissione.
esclusiva all’unanimità. Infine, nonostante i rilievi mossi sul punto alla disci- plina consolidatasi dal 1992, il ruolo del Parlamento europeo venne relegato ad un piano meramente consultivo, con la perdurante carenza di un incisivo vaglio democratico sugli atti del terzo pilastro106.
Proprio in materia di fonti normative, peraltro, la riforma del 1997 appor- tò sensibili innovazioni, grazie all’introduzione di nuovi strumenti107. L’art. 34 TUE, novellando il previgente art. K.6, enumerò in primis le posizioni comu- ni, volte a definire l’approccio dell’Unione europea su determinate questioni e capaci di vincolare gli Stati a supportare l’orientamento da queste espresso. Furono inoltre disciplinate le decisioni, qualificate come atti vincolanti non idonei ad esercitare effetti diretti ed a contribuire al ravvicinamento degli or- dinamenti nazionali. Di contro, questo obiettivo avrebbe potuto essere rag- giunto mediante l’adozione di decisioni quadro, strumenti che, sul modello delle direttive, imponevano agli Stati membri un obbligo di recepimento at- traverso norme interne. Anche per le decisioni quadro, tuttavia, venne espres- samente esclusa la capacità di esercitare effetti diretti108.
4. Le disposizioni generali del Titolo V TFUE: il parziale superamento dei