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Tra passato e futuro: l’esigenza di verificare il rispetto delle basi giuridi che in tema di cooperazione in materia penale ed ulteriori politiche eu-

ropee

10.1. Aspetti introduttivi: la cooperazione in materia penale e la corretta in- dividuazione della base giuridica

L’individuazione della corretta base giuridica a fondamento di un atto di diritto derivato è un profilo di tradizionale interesse e criticità. Infatti, a fron- te della previsione di norme generali sul riparto di competenza fra Unione e Stati membri e sull’esercizio di tali attribuzioni, l’effettiva incisività delle pre- rogative accordate alle istituzioni sovranazionali si evince dalla peculiare di- sciplina che il Trattato riserva per ciascun àmbito di competenza. Tali dispo- sizioni consentono di tracciare le coordinate della legittimazione di cui è inve- stita l’Unione europea, in termini materiali, procedurali e decisionali302.

Il tema in esame ha assunto nel tempo crescente complessità, così che è  

301

A conferma di ciò, la materia è oggi disciplinata dalla decisione quadro 2008/977/GAI del Consiglio, del 27 novembre 2008, sulla protezione dei dati personali trattati nell’àmbito della operazione giudiziaria e di polizia in materia penale, in GU L 350, del 30 dicembre 2008, p. 60. Questo atto si limita a disciplinare le procedure e gli accorgimenti per il corretto tratta- mento e per la conservazione di tali informazioni personali da parte delle autorità nazionali e degli organi dell’Unione. La decisione quadro non prevede dunque specifiche fattispecie di reato in relazione alle condotte che infrangano le prescrizioni da essa previste sulla tutela dei dati personali. In particolare, l’art. 24 attribuisce agli Stati membri la competenza a adottare sanzioni efficace proporzionate e dissuasive in caso di violazione della normativa statale di re- cepimento della decisione quadro.

302 In generale sulla nozione di base giuridica v., ex multis, G.TESAURO, Diritto dell’U-

possibile individuarne due dimensioni rilevanti. Esso coinvolge un primo pia- no trasversale ai settori tradizionalmente interessati dal metodo di integrazio- ne comunitario e si risolve nelle possibili interferenze e connessioni fra le poli- tiche “orizzontali” definite dal Trattato sul Funzionamento. In questo caso, a fronte della possibilità di applicare in via generale un regime primario analogo per tutte le politiche, l’eventuale discrasia fra il contenuto dell’atto di diritto secondario e la norma del Trattato individuata quale suo fondamento deriva dall’inquadramento non coerente dell’azione sovranazionale. Ne può conse- guire l’applicazione di procedure decisionali non corrette, l’adozione di stru- menti normativi preclusi in altri settori di intervento, così come, in termini generali, una oggettiva disomogeneità fra l’azione intrapresa e la norma pri- maria atta a giustificarla303.

La seconda dimensione del problema si è manifestata nel recente passato ed interessa profili ulteriori, poiché non si arresta ad un erroneo incasellamen- to dell’atto, ma coinvolge la natura del processo di integrazione. Nel tempo, infatti, si è assistito a situazioni nelle quali l’individuazione della base giuridi- ca si giostrava fra due diversi pilastri, ed in particolare fra il pilastro contrad- distinto dal metodo comunitario ed i settori intergovernativi della PESC o della cooperazione in materia penale.

In simili ipotesi, la differenza di regime derivante dall’opzione per una o l’altra base giuridica non derivava solo dalla diversa modulazione delle com- petenze dell’Unione e degli strumenti accordati per il loro esercizio, ma da un approccio radicalmente differente all’integrazione fra Stati membri. Ricon- durre un’azione alle politiche comunitarie o agli ambiti di impostazione inter- governativa comportava dunque decisive conseguenze sia rispetto al ruolo delle istituzioni – basti pensare alle prerogative parlamentari o alla giurisdi-  

303

Come noto, il legislatore europeo può adottare atti vincolanti solo se fa espressa men- zione della corretta base giuridica destinata a legittimare le istituzioni all’esercizio di una de- terminata competenza. Infatti, tale investitura non può essere presunta, in assenza di specifi- che indicazioni del Trattato. V al riguardo l’ordinanza della Corte di giustizia del 30 settembre 1987, causa 229/86, Brother Industries c. Commissione, in Racc. p. 3757. Viceversa, la base giu- ridica deve essere chiaramente e puntualmente indicata nell’atto impugnato o, quantomeno, deve essere possibile risalire alla sua identificazione con certezza, attraverso l’analisi del prov- vedimento e le ulteriori indicazioni in esso contenute. Cfr. le sentenze della Corte di giustizia 20 settembre 1988, causa 203/86, Spagna c. Consiglio, in Racc. p. 4563, punto 37; 16 giugno 1993, causa C-325/91, Francia c. Commissione, in Racc. p. I-3283, punto 30, in cui la Corte ha precisato che la mancata indicazione della base legale costituisce una violazione del principio della certezza del diritto. Sulla possibilità di desumere il fondamento dell’atto dal contesto v. 26 marzo 1987, causa 45/86, Commissione c. Consiglio, in Racc. p. 1493, punto 9. Secondo la Corte di giustizia, la base giuridica deve essere determinata alla luce degli elementi oggettivi e distintivi dell’atto che siano suscettibili di sindacato giurisdizionale, quali lo scopo ed il conte- nuto. V., fra le molte pronunce, la sentenza 12 novembre 1996, causa C-84/94, Regno Unito c. Consiglio, in Racc. p. I-5755, punto 25; sentenza 13 maggio 1997, causa C-233/94, Germania c. Parlamento e Consiglio, in Racc. p. I-2405, punto 12.

zione della Corte di giustizia – sia all’incidenza della volontà degli Stati nel processo decisionale, sia alle caratteristiche degli strumenti giuridici adottati.

La coesistenza del pilastro comunitario e dei pilastri intergovernativi ha fatto sì che, sino all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, proprio quest’ultimo aspetto sia stato in via principale argomento di acceso dibattito fra le istituzioni europee e fra queste e gli Stati membri. Un confronto sul quale è intervenuta con alcune pronunce di particolare rilievo la Corte di giu- stizia, in forza del suo ruolo di guardiana del rispetto dei confini fra pilastri riconosciutole dal previgente art. 47 TUE, oggi art. 40 TUE.

Su queste tematiche, a prima vista, il Trattato di Lisbona sembra interve- nire in maniera risolutiva, grazie alla più volte menzionata soppressione della struttura a tempio dell’Unione europea ed alla conseguente applicazione del medesimo regime per tutti i settori di intervento delle istituzioni sovranazio- nali. Nondimeno, vi sono margini per ritenere che sulla questione la riforma di Lisbona non ponga del tutto fine alle problematiche passate e prospetti nuove sfide circa la definizione dei limiti della “materia penale” rispetto alle altre politiche dell’Unione.

In effetti, in primo luogo, il Trattato stesso fa salve alcune specificità, co- me nel caso della Politica estera e di sicurezza comune, e dispone norme ad

hoc per alcuni àmbiti specifici, quali la tutela dei dati personali ed il contrasto

al terrorismo. In secondo luogo, come evidenzia la casistica più recente, persi- ste pur sempre la necessità di tracciare gli opportuni confini fra i settori disci- plinati dal Trattato sul Funzionamento.

Si intende dunque prendere le mosse dalle tappe che hanno contraddistin- to la cd. “battaglia fra i pilastri”, per poi considerare quali possibili problema- tiche residue ponga in questo contesto il rinnovato regime dei Trattati. Suc- cessivamente, l’analisi sarà focalizzata sui limiti della cooperazione in materia penale rispetto alle ulteriori politiche europee, in un’ottica di riparto “oriz- zontale” del campo operativo delle basi giuridiche dei Trattati304.

10.2. La delimitazione dei confini fra i pilastri dell’Unione europea: l’art. 47 TUE precedente alla riforma di Lisbona e l’odierno art. 40 TUE

Nel previgente sistema dei Trattati, la norma che presiedeva al rispetto dei confini fra integrazione intergovernativa e comunitaria era l’articolo 47 TUE, oggi divenuto art. 40 TUE e sensibilmente riformulato305. In particolare,  

304

In particolare, l’analisi non si sofferma sulla dibattuta questione della competenza della Comunità a adottare norme penali: oggetto della trattazione è pertanto in via prioritaria il problema della base giuridica in sé, così come affrontato dalla Corte di giustizia.

305 L’art. 47 TUE recitava: «Fatte salve le disposizioni che modificano il trattato che isti-

tuisce la Comunità economica europea per creare la Comunità europea, il trattato che istitui- sce la Comunità europea del carbone e dell'acciaio ed il trattato che istituisce la Comunità eu-

l’articolo in questione esprimeva il chiaro favore dei redattori del Trattato per il primo pilastro, al quale era accordata espressa prevalenza sulla PESC e sulla cooperazione in materia penale306. Infatti, la norma stabiliva che in nessun ca- so l’esercizio delle competenze attribuite nei settori di matrice intergovernati- va potesse arrecare pregiudizio a quelle della Comunità europea307. Simile formulazione era dunque volta a tutelare il principio di attribuzione delle competenze, ma, da un punto di vista prettamente sostanziale, intendeva al- tresì garantire il pieno sviluppo delle politiche definite dal TCE, in ordine alle quali sussistevano margini di approfondimento del processo di integrazione molto più ampi in raffronto a quelli cui era vincolato il TUE308.

Dal punto di vista funzionale, la norma è stata oggetto di diverse valuta- zioni in dottrina, tanto da essere qualificata ora come clausola di subordina- zione tout court del TUE rispetto ai Trattati comunitari309, ora come regola di composizione dei conflitti interpilastro310. Al di là degli aspetti stricto sensu  

ropea dell'energia atomica, nonché le presenti disposizioni finali, nessuna disposizione del presente trattato pregiudica i trattati che istituiscono le Comunità europee né i trattati e atti successivi che li hanno modificati o completati». L’art. 47 è stato definito in dottrina una «clausola di subordinazione» del TUE rispetto ai trattati comunitari, anche alla luce della ne- cessità di interpretarlo anzitutto alla luce dell’ordinario significato del suo dato letterale, così come prescritto dalla Convenzione di Vienna del 1969 sull’interpretazione dei Trattati e sotto- lineato dalla giurisprudenza di Lussemburgo.

306 Una conferma ulteriore di questa impostazione poteva essere desunta dall’art. 29 TUE,

che, in tema di cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale, esordiva condizionando la realizzazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia al rispetto delle competenze della Comunità. V. in questo senso V. MITSILEGAS, The competence question: the European Com- munity and criminal law, in E.GUILD,F.GEYER (a cura di), Security versus justice? Police and

judicial cooperation in the European Union, Aldershot, 2008, p. 153.

307 Le radici profonde dell’art. 47 TUE e della ratio ad esso sottesa affondavano nell’art.

32 dell’Atto Unico Europeo, che disciplinava tuttavia un contesto alquanto differente. Prima del Trattato di Maastricht, infatti, le tre Comunità europee erano affiancate dalla cooperazione politica, ritenuta un possibile strumento strategico per lo sviluppo dell’integrazione europea. Anche in quella sede, però, era stato ritenuto opportuno introdurre una clausola che salva- guardasse le iniziative comunitarie da possibili ingerenze di natura intergovernativa. L’art. 32 AUE recitava: «Fatti salvi l’articolo 3, paragrafo 1, il titolo II e l’articolo 31, nessuna disposi- zione del presente Atto pregiudica i trattati che istituiscono le Comunità europee né i trattati e atti successivi che li hanno modificati o completati».

308

Pare orientarsi in tal senso anche la Corte di giustizia nella sentenza cd. armi leggere, 20 maggio 2008, causa C-91/05, Commissione c. Consiglio, in Racc. p. I-3651, punto 59: «Stabi- lendo che nessuna disposizione del Trattato UE pregiudichi i Trattati istitutivi delle Comunità europee o i Trattati e gli atti susseguenti che li hanno modificati o completati, l’art. 47 UE si prefigge, infatti, conformemente agli artt. 2, quinto trattino, UE e 3, primo comma, UE, di mantenere integralmente l’acquis comunitario e di svilupparlo».

309

L’opinione è espressa da R.MASTROIANNI, Art. 47 TUE, in A.TIZZANO (a cura di), Trattati dell’Unione europea e della Comunità europea, Milano, 2004, p. 167, ed è in sostanza condivisa da molti in dottrina, sebbene talora non in maniera espressa.

definitori, peraltro, la formulazione dell’art. 47 TUE presentava in effetti due principali problematiche, che la Corte di giustizia ha dovuto affrontare nella propria giurisprudenza.

Anzitutto, anche a motivo della dichiarata prevalenza del pilastro comuni- tario, l’art. 47 TUE non poteva essere in concreto percepito appieno come uno strumento normativo di risoluzione di possibili discrasie e mancanze di coordinamento nel sistema dei Trattati. Infatti, per la sua formulazione, esso era invocabile solo in maniera univoca, id est per eventuali violazioni della sfe- ra di intervento della Comunità. Altrettanto non poteva dirsi, almeno alla luce del dato positivo, per le situazioni inverse: non vi erano dunque margini per richiamare la norma a garanzia delle prerogative del secondo e del terzo pila- stro.

Stante l’assenza di un criterio orientativo ad hoc e la contestuale necessità di sindacare la validità di atti erroneamente adottati sulla scorta di norme del Trattato comunitario, la Corte, interpellata sul punto in due occasioni, ha fat- to richiamo ai parametri che in linea ordinaria soccorrono nella selezione del- le basi giuridiche, segnatamente il contenuto e la finalità dell’atto oggetto di ricorso per annullamento311. Sebbene in entrambi i casi il Collegio non abbia ritenuto fondate nel merito le argomentazioni dei ricorrenti, è pur tuttavia prezioso l’insegnamento che è possibile trarre dall’approccio adottato nelle controversie in esame.

Quasi valutando il proprio ruolo ex art. 47 TUE come species del più am- pio genus della competenza giurisdizionale sul controllo delle basi giuridiche e sulla legittimità delle norme UE, la Corte ha quindi aggirato la natura mo- nodirezionale dell’art. 47 TUE stesso, mediante il ricorso agli ordinari stru- menti di formazione del proprio convincimento. Nel fare ciò, peraltro, essa non ha mancato di operare ripetuti riferimenti alle argomentazioni proposte dalla giurisprudenza sub art. 47 TUE, dando prova, a dispetto dell’origine della investitura formale dei propri poteri, di maggiore attenzione per la so- stanza delle problematiche giuridiche ad essa sottoposte312.

Il secondo profilo critico suscitato dall’art. 47 TUE riguardava la compe- tenza giurisdizionale della Corte di giustizia. I margini di intervento del Col- legio di Lussemburgo erano infatti indicati per capita all’art. 46 TUE, che estendeva a talune norme del Trattato sull’Unione europea l’applicazione del  

bito dell’Unione. Un commento alla sentenza ECOWAS alla luce dei precedenti, in Studi sull’in- tegrazione europea, 2009, p. 482.

311

V. le sentenze 30 maggio 2006, cause riunite C-317/04 e C-318/04, Parlamento c. Con- siglio, in Racc. p. I-4721 e 10 febbraio 2009, causa C-301/06, Irlanda c. Parlamento europeo e Consiglio, in Racc. p. I-593.

312 Questo dato, come si vedrà più diffusamente nel prosieguo della trattazione, può risul-

tare di grande utilità nel delineare le future prospettive dei conflitti di base giuridica, in assen- za di una demarcazione strutturale fra i pilastri.

regime normativo primario comunitario, con limiti e condizioni rigorose313. La formulazione della norma consentiva di riconoscere piena competenza alla Corte solo nell’àmbito del Trattato comunitario e rispetto alle disposizioni fi- nali del Trattato sull’Unione, ovverosia dall’art. 46 all’art. 53 TUE. L’attri- buzione di giurisdizione esaustiva in favore della Corte interessava dunque l’applicazione e l’interpretazione dell’art. 47 TUE, il cui disposto di ampio re- spiro lasciava aperta la strada a molteplici soluzioni ermeneutiche. La Corte, pertanto, attraverso le proprie pronunce, ha progressivamente riempito di contenuto la norma, definendo limiti e condizioni per la sua applicazione.

A questo proposito, la giurisprudenza della Corte in materia annovera quattro principali pronunce, intervenute a partire dalla fine degli anni ’90 e meritevoli di pur breve approfondimento al fine di approfondire il ruolo da queste esercitato nella composizione dei conflitti di base giuridica interpila- stro. Ciascuna sentenza viene comunemente individuata con una espressione che ne sintetizza l’oggetto e che in questa sede si intende riproporre: Visti ae-

roportuali, Reati ambientali, Inquinamento marittimo ed Armi leggere314. Le pronunce Reati ambientali ed Inquinamento marittimo sono già state diffusa- mente affrontate in precedenza e vengono pertanto in questa sede solamente richiamate, a fini di completezza e coerenza dell’argomentazione315.

 

313 L’art. 46 TUE recitava: «Le disposizioni del Trattato che istituisce la Comunità euro-

pea, del Trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell'acciaio e del trattato che istituisce la Comunità europea dell'energia atomica relative alle competenze della Corte di giustizia delle Comunità europee ed all'esercizio di tali competenze si applicano soltanto alle disposizioni seguenti del presente trattato:

a) le disposizioni che modificano il trattato che istituisce la Comunità economica europea per creare la Comunità europea, il trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell'acciaio e il trattato che istituisce la Comunità europea dell'energia atomica;

b) le disposizioni del titolo VI, alle condizioni previste dall'articolo 35;

c) le disposizioni del titolo VII, alle condizioni previste dagli articoli 11 e 11 A del trattato che istituisce la Comunità europea e dall'articolo 40 del presente trattato;

d) l'articolo 6, paragrafo 2, per quanto riguarda l'attività delle istituzioni, nella misura in cui la Corte sia competente a norma dei trattati che istituiscono le Comunità europee e a nor- ma del presente trattato;

e) unicamente le disposizioni di carattere procedurale di cui all'articolo 7, per le quali la Corte delibera su richiesta dello Stato membro interessato, entro un termine di un mese a de- correre dalla data in cui il Consiglio procede alla constatazione prevista da detto articolo;

f) gli articoli da 46 a 53».

314 V., rispettivamente, le sentenze 12 maggio 1998, causa C-170/96, Commissione c. Con-

siglio, in Racc. p. I-2763; 13 settembre 2005, causa C-176/03, Commissione c. Consiglio, in Racc. p. I-7879; 23 ottobre 2007, causa C-440/05, Commissione c. Consiglio, in Racc. p. I-9097; 20 maggio 2008, causa C-91/05, Commissione c. Consiglio, in Racc. p. I-3651.

10.3. L’art. 47 TUE e la giurisprudenza della Corte di giustizia

La prima pronuncia rilevante sul punto è intervenuta nel 1998316, a séguito del ricorso per annullamento esperito dalla Commissione avverso l’azione comune del Consiglio 96/197/GAI317, relativa al regime di transito aeropor- tuale dei passeggeri318. La base giuridica dell’atto era stata individuata nell’art. K.3 TUE, che elencava gli strumenti di cui l’Unione era dotata per incentivare la cooperazione penale fra gli Stati membri319. Secondo l’opinione dell’isti- tuzione ricorrente, di contro, il fondamento primario era rappresentato dall’art. 100 C TCE. Questa norma, infatti, stabiliva in favore della Comunità la competenza a individuare gli Stati terzi i cui cittadini dovessero essere in possesso di un visto per l’attraversamento della frontiera esterna dell’Unione.

Pur rigettando nella sostanza le doglianze della Commissione, la Corte ha colto l’occasione per statuire sulle modalità di applicazione dell’art. 47 TUE320. Anzitutto, il Collegio ha precisato che il proprio ruolo di vigilanza a  

316 Si segnala, in precedenza, la sentenza 3 dicembre 1996, causa C-268/94, Portogallo c.

Consiglio, in Racc. p. I-6177, nella quale la Corte, senza affrontare un’analisi approfondita dell’art. 47 TUE, ha operato una valutazione sl riparto di materie fra pilastri. La sentenza è intervenuta su una controversia sorta fra Portogallo e Consiglio, in merito ad un accordo di cooperazione tra la Comunità europea e l’India, finalizzato ad incentivare le relazioni fra le parti contraenti nei settori dell’energia, del turismo, della cultura, della lotta contro l’abuso di stupefacenti e della tutela della proprietà intellettuale. In questa sede la Corte ha respinto i rilievi mossi dal Portogallo, che aveva fra l’altro rilevato come il contrasto al traffico di stupe- facenti rientrasse nell’ambito degli obiettivi del terzo pilastro Secondo la Corte «la formazio- ne, l’istruzione, la cura e la disintossicazione dei tossicomani, al pari delle azioni volte a svi- luppare la creazione di attività economiche alternative […] possono collegarsi agli obiettivi socio-economici perseguiti dalla cooperazione allo sviluppo».

317 Cfr. l’azione comune 96/197/GAI del Consiglio, del 4 marzo 1996, adottata sulla base

dell’articolo K.3 del Trattato sull'Unione europea, sul regime di transito aeroportuale, in GU L 63, del 13 marzo 1996, p. 8. Ai sensi dell’art. 1 dell’atto, per visto di transito aeroportuale doveva intendersi l’autorizzazione cui sono assoggettati i cittadini di taluni paesi terzi per tran- sitare attraverso la zona internazionale degli aeroporti degli Stati membri, in deroga al princi- pio di libero transito stabilito dall'allegato 9 della Convenzione di Chicago sul trasporto aereo internazionale, firmata il 7 dicembre 1944, in Recueil des Traités des Nations Unies, vol. 15, n. 102.

318 Cfr. la sentenza 12 maggio 1998, causa C-170/96, cit. 319

Ai sensi dell’art. K.3, par. 2, lett. b), TUE, il Consiglio era legittimato a adottare azioni comuni, nella misura in cui gli obiettivi dell'Unione, data la portata o gli effetti dell'azione prevista, potessero essere realizzati meglio con un’azione condivisa che con iniziative dei sin- goli Stati membri.

320

La Corte ha avallato le conclusioni dell’avvocato generale Fennelly. In dottrina, non- dimeno, è stato rilevato come la soluzione sostenuta non sia del tutto coerente con il percorso