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Le peculiarità della cooperazione giudiziaria in materia penale nell’Unio ne europea: obiettivi e strument

4.1. La cooperazione in materia penale quale strumento per la tutela di inte- ressi rilevanti per l’ordinamento UE

Il tema della cooperazione giudiziaria evidenzia, nel processo di integra- zione europea, alcuni tratti distintivi. Questi fattori interessano anzitutto la

ratio che ha motivato gli Stati membri ad estendere in itinere il progetto eu-

ropeo ad una materia tradizionalmente esclusa dal percorso di integrazione della Comunità. L’originaria impronta economica dell’esperienza comunita- ria, orientata all’elisione degli ostacoli alla libertà di circolazione dei fattori produttivi, ha invero costituito un potenziale veicolo di diffusione e svilup- po della criminalità transnazionale. Sostenuto dalla spinta propulsiva del le- gislatore europeo e della Corte di giustizia, l’abbattimento delle frontiere economiche, accompagnato dal rafforzamento della libertà di circolazione delle persone nello spazio Schengen, ha sollecitato gli Stati membri ad indi- viduare antidoti alle crescenti occasioni di impunità offerte dal mercato in- terno.

È opinione diffusa che, a partire dagli anni ’70 del secolo scorso, gli em- brionali tentativi di avviare forme di cooperazione penale nel contesto comu- nitario siano stati dettati dalla consapevolezza della loro complementarietà ri- spetto alla piena realizzazione delle libertà fondamentali: il coordinamento fra le autorità giudiziarie nazionali avrebbe potuto dunque compensare i rischi connessi alla soppressione delle frontiere fra gli Stati membri42. A prima vista,  

42 Cfr. R.A

DAM, La cooperazione nel campo della giustizia e degli affari interni: da Schengen

a Maastricht, in Rivista di diritto europeo, 1994, p. 225. L’autore in particolare evidenzia come al superamento del protezionismo economico avrebbe dovuto seguire, con urgente necessità,

pertanto, anche in sede europea si è registrata la preoccupazione che ha scan- dito e sostenuto lo sviluppo del diritto internazionale pattizio in materia di cooperazione giudiziaria, ovverosia il timore che le organizzazioni criminali potessero sfruttare a loro vantaggio le pieghe offerte dall’integrazione econo- mica, derivandone nuove occasioni per attività illecite e più promettenti mar- gini di sottrazione al controllo dell’autorità pubblica.

A ben vedere, però, nel contesto europeo, quanto meno nelle sue prime tappe evolutive, la cooperazione giudiziaria in materia penale fra gli Stati membri non si è esaurita nella neutralizzazione dei possibili effetti collaterali del mercato interno, ma è a sua volta risultata funzionale all’eliminazione de- gli ostacoli alle libertà di circolazione43. Lo stretto legame di funzionalità tra questi due poli è stato ben espresso nel Trattato di Maastricht, il cui articolo K.1 ricollegava manifestamente l’avvio della cooperazione intergovernativa nel pilastro Giustizia e affari interni al rafforzamento della libera circolazione delle persone44. Analoga formulazione era riportata nel Trattato di Amster-  

quello del protezionismo giuridico e giudiziario. Con riferimento alla conclusione dell’Accor- do di Schengen e della relativa Convenzione di applicazione, l’Avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer ha puntualizzato che «l’art. 54 della Convenzione contiene una norma funzionale al dinamico processo di integrazione europea che si realizza attraverso la creazione di uno spazio comune di libertà e di giustizia. La graduale soppressione dei controlli alle frontiere comuni è tappa obbligata nel cammino verso il raggiungimento di questo obiettivo. Tuttavia, la soppres- sione degli ostacoli di ordine amministrativo elimina le barriere per tutti senza distinzioni, an- che per coloro che approfittano di un abbassamento della soglia di vigilanza per espandere le loro attività illecite. Questo è il motivo per cui la soppressione dei controlli deve essere com- pensata da una maggiore cooperazione tra gli Stati, particolarmente in materia di polizia e di sicurezza». Cfr. le conclusioni del 19 settembre 2002, cause riunite C-187/01 e C-385/01, Gözütok e Brügge, in Racc. p. I-1345, punti 44 e 45.

43 In dottrina, d’altra parte, è stato evidenziato come le prime espressioni della coopera-

zione giudiziaria fra le autorità degli Stati membri abbiano in realtà avuto origine al di fuori del contesto comunitario e dell’Unione, in particolare attraverso la conclusione di convenzioni internazionali fra i singoli Stati. Ciò ha condotto taluni a sostenere come, in verità, lo scopo prioritario perseguito da tali strumenti fosse la risposta all’esigenza di assicurare la piena effi- cacia del sistema di prevenzione e repressione penale nazionale, in luogo di un legame funzio- nale con gli scopi posti dai trattati istitutivi. V. in questo senso R.ADAM, La cooperazione nel campo della giustizia e degli affari interni, cit., p. 226.

44 Il legame fra cooperazione giudiziaria e realizzazione del mercato interno era altresì

espresso dall’originario art. 220 CEE – poi divenuto art. 293 CE ed oggi abrogato a seguito del Trattato di Lisbona – con riferimento alla sola cooperazione nel settore civile. Nella sua formazione originaria, prima dell’introduzione della cooperazione giudiziaria civile fra le ma- terie di competenza della Comunità, l’articolo in questione prevedeva che gli Stati membri po- tessero concludere fra loro accordi volti ad agevolare il reciproco riconoscimento e l’ese- cuzione delle decisioni giudiziarie. La norma è stata unanimemente interpretata, in dottrina ed in giurisprudenza, come circoscritta alla sola cooperazione nel settore civile. V. ad es. M.R. SAULLE, Diritto comunitario e diritto internazionale privato, Napoli, 1983, p. 160; sentenza del-

la Corte di giustizia 10 febbraio 1994, causa C-398/92, Mund e Fester c. Hatrex, in Racc. p. I- 474.

dam, che sottolineava l’indispensabilità della cooperazione intergovernativa per il conseguimento dei prioritari obiettivi comunitari45. Parimenti, questo rapporto di funzionalità è stato evidenziato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, che ha talora espressamente ricollegato l’interpretazione di alcuni istituti propri della cooperazione giudiziaria penale – ne bis in idem in primis – all’esigenza di elidere possibili ostacoli alla libera circolazione delle perso- ne46.

Questa impostazione suggerisce una notazione aggiuntiva. Essa infatti ri- flette la progressiva evoluzione delle priorità del processo di integrazione eu- ropea, così come cristallizzate dai Trattati istitutivi. Nel corso dei decenni, al

market-oriented approach dettato dal Trattato CE si sono gradualmente af-

fiancate finalità ulteriori, sia su impulso delle istituzioni politiche, sia grazie alla volontà degli Stati o al contributo della giurisprudenza della Corte di giu- stizia. La tutela dell’ambiente, la protezione dei diritti fondamentali, il sup- porto alla cooperazione allo sviluppo sono solo alcuni degli obiettivi ricollega- ti in itinere all’azione della Comunità, caratterizzati da un legame via via più flebile con la realizzazione del mercato interno: un’eterogenesi dei fini che ha il suo nucleo originario nelle libertà di circolazione e che ha determinato il progressivo ampliamento delle materie di competenza dell’Unione.

Così, a partire dagli anni ’90, si è affacciata sul palcoscenico europeo un’espressione innovativa, destinata a traghettare l’Europa verso rotte ine-

 

45

Cfr. in particolar modo il testo dei primi due paragrafi dell’allora art. 29 TUE: «Fatte salve le competenze della Comunità europea, l’obiettivo che l’Unione si prefigge è fornire ai cittadini un livello elevato di sicurezza in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, svilup- pando tra gli Stati membri un’azione in comune nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale e prevenendo e reprimendo il razzismo e la xenofobia.

Tale obiettivo è perseguito prevenendo e reprimendo la criminalità, organizzata o di altro tipo, in particolare il terrorismo, la tratta degli esseri umani ed i reati contro i minori, il traffico illecito di droga e di armi, la corruzione e la frode […]».

46 Si pensi, ad esempio, al caso elettivo del principio del ne bis in idem transnazionale, sul

quale v. più diffusamente il Capitolo V. Alla luce dell’art. 54 della Convenzione di applicazio- ne dell’Accordo di Schengen, gli elementi costitutivi del principio sono stati oggetto di ap- prezzamento estensivo ad opera della Corte di Lussemburgo anche in ragione dell’esigenza di tutelare la libertà di circolazione delle persone. Cfr. in questo senso le sentenze della Corte del 9 marzo 2006, causa C-436/04, van Esbroek, in Racc. p. I-2333; 28 settembre 2006, causa C- 467/04, Gasparini, in Racc. p. I-9199; 28 settembre 2006, causa C-150/05, van Straaten, in Racc. p. I-9327. In dottrina v. B. VAN BOCKEL, The ne bis in idem principle in the European Union legal order: between scope and substance, in ERA Forum, 2012, p. 325; A.WEYEMBERG, La jurisprudence de la CJ relative au principe ne bis in idem: une contribution essentielle à la re- connaissance mutuelle en matière pénale, in A.ROSAS,E.LEVITS,Y.BOT (a cura di), The Court of Justice and the construction of Europe: analyses and perspectives on sixty years of case-law – La Cour de Justice et la construction de l’Europe: analyses et perspectives de soixante ans de juri- sprudence, L’Aia, 2013, p. 539.

splorate: la nozione di spazio di libertà, sicurezza e giustizia47, summa di poli- tiche europee tradizionalmente considerate complementari al mercato inter- no. Merita sottolineare, a questo proposito, che l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha segnato un epocale mutamento di prospettiva: ai sensi dell’art. 3 TUE, infatti, lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia ha scalzato il mercato interno all’apice dell’elencazione delle priorità dell’UE, divenendo dunque il fulcro delle prossime tappe del processo di integrazione48.

La scelta operata dai redattori del Trattato testimonia i progressi compiuti dall’Unione e, ai fini della presente analisi, pone in evidenza il ruolo centrale accordato alla cooperazione giudiziaria in materia penale, che acquista per- tanto ulteriore specificità rispetto alla sua declinazione tradizionale. Essa in- fatti si smarca dal rapporto meramente ancillare con gli obiettivi di carattere economico, per divenire una delle finalità cardine dell’ordinamento UE, vota- ta alla realizzazione della «quinta libertà di circolazione»49, vale a dire la circo- lazione dei provvedimenti giurisdizionali nello spazio giudiziario europeo50.  

47 L’elaborazione dottrinale sulle origini e sulla portata di questa espressione, così come

sulle sue implicazioni politiche e giuridiche, è copiosa. Fra i molti contributi, v. H.LABAYLE, Un espace de liberté, de securité et de justice, in Revue trimestrielle de droit européen, 1997, p. 813; U.DRAETTA,N.PARISI, Lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia dell’unione europea, Na- poli, 2007; J.MONAR (a cura di), The Institutional Dimension of the European Union’s Area of

Freedom, Security and Justice, Bruxelles, 2010; S.PEERS, EU Justice and Home Affairs Law, Oxford, 2012. V. inoltre la comunicazione della Commissione europea COM(1998) 459, del 14 luglio 1998, Verso uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, nella quale l’istituzione sotto- lineava come l’elemento comune delle tre componenti di questo spazio fosse la centralità della persona: «I tre concetti di libertà, sicurezza e giustizia sono strettamente connessi. La libertà perde gran parte del suo significato se non si può viverla in un ambiente sicuro, fondato su un sistema giudiziario nel quale tutti i cittadini e residenti dell’Unione possono avere fiducia. Questi tre concetti, indissociabili, hanno uno stesso “denominatore comune” – le persone -– e la piena realizzazione dell’uno presuppone quella degli altri due. L’equilibrio da mantenere fra di essi deve costituire il filo conduttore dell’azione dell’Unione».

48

Ai sensi dell’art. 3, par. 2, TUE: «L’Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui sia assi curata la libertà di circolazione delle persone assieme a misure appropriate per quanto concerne i rapporti con le frontiere esterne, l’asilo, l’immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta conto quest’ultima». Il trino- mio libertà, sicurezza e giustizia è altresì riportato e valorizzato nel Preambolo del TUE.

49 Cfr. C.A

MALFITANO, Conflitti di giurisdizione, cit., p. 102. 50

Anche la nozione di spazio giudiziario europeo, in verità, ha una storia radicata. Essa è stata proposta per la prima volta in occasione del Consiglio europeo di Bruxelles del 5-6 di- cembre 1977, dall’allora Presidente della Repubblica francese Giscard d’Estaing. In quella se- de, la proposta venne benevolmente accolta dagli altri Capi di Stato e di Governo convenuti, segnando un primo passo politico verso la l’instaurazione di forme di cooperazione giudi- ziaria. Cfr. DOC/77/3, in http://europa.eu/rapid/pressReleasesAction.do?reference=DOC/ 77/3&format=HTML&aged=1&language=FR&guiLanguage=en (7 marzo 2014). Per appro- fondimenti v. E.CRABIT, Recherches sur la notion d’espace judiciaire européen, Bordeaux, 1988.

L’autore propone una approfondita riflessione sull’insorgenza di una nozione di spazio giudi- ziario europeo, anche alla luce del contributo del Consiglio d’Europa.

Pertanto, unitamente alle altre politiche che compongono lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, la cooperazione giudiziaria in materia penale è divenuta un autonomo ed efficace veicolo di perfezionamento del processo di integra- zione europea, uno strumento per assicurare in maggior grado i diritti della persona e per concorrere alla tutela degli interessi dell’Unione ed al conse- guimento degli obiettivi prefissati dai Trattati.

Rispetto alla sua accezione ordinaria, in definitiva, la cooperazione giudi- ziaria penale nell’Unione si distingue non solo per il suo stretto legame di complementarietà e funzionalità con altre politiche europee, ma anche per gli interessi ed obiettivi che essa stessa in via autonoma persegue, a beneficio dei valori sui quali si fonda il processo di integrazione europea.

4.2. La cooperazione normativa

Quanto alle tecniche ed alle modalità attraverso le quali la cooperazione si realizza, il modello europeo non si esaurisce nella tradizionale collaborazione funzionale ed operativa tra autorità giurisdizionali straniere: piuttosto, esso coinvolge altresì il piano normativo, tanto da potersi qualificare come un avanzato – e ad oggi mai compiutamente imitato – modello di cooperazione legislativa. Lo schema europeo si differenzia anzitutto dall’accezione debole di cooperazione giudiziaria, la cui dimensione normativa è limitata al solo fat- to che, in molti casi, il legislatore nazionale si preoccupa di cristallizzare i cri- teri volti a individuare le ipotesi in cui la giurisdizione nazionale è competente a giudicare condotte criminose commesse all’estero. Parimenti, l’esperienza dell’UE si distingue dal pur significativo esempio del Consiglio d’Europa. In quest’ultimo contesto, infatti, si è assistito all’adozione di numerosi strumenti convenzionali, che appaiono tuttavia ancòra una volta confinati alla dimen- sione funzionale ed operativa della cooperazione, in quanto destinati in mas- sima parte al coordinamento delle giurisdizioni nazionali51.

Nel modello UE, invece, il più elevato grado di integrazione tra gli Stati membri e la maggiore incisività degli obiettivi posti dai Trattati hanno con- sentito di superare le espressioni più radicate e tradizionali della cooperazione giudiziaria penale. Pertanto, oltre a promuovere il coordinamento delle giuri- sdizioni penali interne, anche mediante l’approvazione di strumenti volti all’affermazione del principio del reciproco riconoscimento52, l’UE ha intra- preso una strada più lungimirante: l’adozione di norme volte al ravvicinamen-

 

51 Possono costituire esempi rilevanti la convenzione europea di estradizione, firmata il 13

dicembre 1957 ed entrata in vigore il 18 aprile 1960, o la convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale, conclusa il 20 aprile 1959 ed entrata in vigore il 12 giugno 1962.

52 Sulla portata e le implicazioni del reciproco riconoscimento v. più diffusamente il Capi-

to delle legislazioni nazionali ed alla conseguente elisione delle principali di- scrasie fra i sistemi penali statali53.

Se anche nelle ipotesi di norme convenzionali concluse fra più Stati cia- scuna Parte contraente è chiamata all’adozione di norme attuative coerenti con gli obiettivi ed i requisiti comuni, tuttavia il ravvicinamento delle legisla- zioni non rappresenta usualmente lo scopo principale della disciplina pattizia, bensì un effetto indiretto e ad incisività limitata. Diversamente, nell’esperien- za dell’Unione europea il ravvicinamento delle normative interne in materia penale sostanziale e processuale è oggetto degli obblighi derivanti dai Trattati in capo agli Stati membri ed ha lo scopo precipuo di giungere ad una crescen- te affinità sostanziale fra gli ordinamenti interessati. Nell’ottica della realizza- zione dello spazio giudiziario europeo, infatti, il ravvicinamento delle norme interne secondo linee direttrici comuni è funzionale al rafforzamento della fi- ducia reciproca tra le autorità giurisdizionali nazionali54, a sua volta presup- posto essenziale per l’affermazione del reciproco riconoscimento, secondo cardine che regge la cooperazione giudiziaria in materia penale nell’Unione europea55.

Questa attività normativa è a sua volta giunta ad approdi di considerevole rilevanza, poiché non è rimasta confinata ad una funzione servente rispetto alla cooperazione lato sensu operativa fra autorità giudiziarie nazionali; al con- trario, essa abbraccia profili sostanziali e processuali che prefigurano la pro- gressiva formazione di un crescente corpus di atti, che, come si avrà modo di considerare con maggiore attenzione nel corso del lavoro, spaziano dalla defi- nizione di norme minime sulla definizione di talune fattispecie di reato alla disciplina del livello inderogabile di tutela di importanti diritti delle parti pro- cessuali e delle vittime di reato. Tratteggiando la linea direttrice che ha con- dotto il processo di integrazione a questi risultati, si rilevano molteplici quesiti  

53 Secondo parte della dottrina, l’obiettivo della cooperazione giudiziaria avviata nell’U-

nione europea «risiedeva nella volontà di realizzare forme di cooperazione più snelle e avanza- te di quelle attuabili nel più ampio consesso del Consiglio d’Europa». Cfr. L.SALAZAR, La co-

struzione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia dopo il Consiglio europeo di Tampere, in Cassazione penale, 2000, p. 1118. Analogo concetto viene espresso da A. WEYEMBERGH, L’harmonisation des législations, cit., p. 11. V. altresì, della stessa autrice, Le rapprochement des législations pénales au sein de l’Union européenne: les difficultés et leur conséquences, in G. DE

KERCHOVE, A.WEYEMBERGH (a cura di), L’espace pénal européen: enjeux et perspectives, Bruxelles, 2002, p. 127.

54 V. infra, Cap. IV, par. 4. Sull’evoluzione del concetto di fiducia reciproca tra autorità

nazionali nel contesto del diritto penale dell’UE v., fra i molti contributi, M.FICHERA, Mutual trust in European criminal law, University of Edimburgh Working Paper Series, paper n. 10/2009; V.MITSILEGAS, The limits of mutual trust in Europe’s area of freedom, security and

justice: from authomatic inter-State cooperation to the slow emergence of the individual, in Yearbook of European Law, 2008, p. 319.

55 Cfr. V.MITSILEGAS, The constitutional implications of mutual recognition in criminal

che riflettono, da diverse angolature, il binomio alla base della riflessione in corso: i limiti e le loro conseguenze. Sorgono infatti costanti interrogativi sui confini dell’intervento europeo, così come sull’esito finale dell’attività del le- gislatore sovranazionale, che più riprese negli ultimi anni è stato identificato con l’elaborazione di uno strumento codicistico o, quantomeno, di una copio- sa consolidazione di norme arricchita da una vera e propria «general part of

European criminal law»56.

4.3. La cooperazione in materia penale ed il ruolo della Corte di giustizia

Un’ultima peculiarità della cooperazione fra gli Stati membri UE nel set- tore della giustizia penale riguarda la cornice istituzionale, ed in particolar modo il ruolo rivestito della Corte di giustizia. La Corte di Lussemburgo, in- fatti, pur nell’originaria assenza di un’espressa competenza in materia penale in capo al legislatore sovranazionale, ha dimostrato la capacità del diritto co- munitario di influire sulle norme penali nazionali, soprattutto laddove queste ultime cagionassero una restrizione alle libertà fondamentali del mercato in- terno57. Inoltre, il Giudice dell’Unione ha rappresentato negli anni una fonte di ravvicinamento mediato degli ordinamenti nazionali58, anche attraverso so- luzioni interpretative improntate al rafforzamento della fiducia reciproca fra gli Stati membri ed all’effettività dei meccanismi di cooperazione59.

 

56

Sulla necessità o meno di una parte generale delle norme europee di diritto penale di- scute, fra gli altri, A.KLIP, Towards a general part of criminal law for the European Union, in

A.KLIP (a cura di) Substantive criminal law of the European Union, Anversa, 2011, p. 13. V. inoltre E.HERLIN-KARNELL, Waiting for Lisbon…Constitutional reflections on the embryonic

general part of EU criminal law, in European Journal of Crime, Criminal Law and Criminal Jus- tice, 2009, p. 227.

57

Cfr. il Capitolo I, par. 2.

58 La dottrina tratta di judicially-driven integration: v. ad esempio A.H

INAREJOS, Integra-

tion in criminal matters and the role of the Court of Justice, in European Law Review, 2011, p. 420.

59 La rilevanza dell’operato della Corte di giustizia per lo sviluppo del processo di integra-

zione europea, non solo in materia penale, è stata a più riprese evidenziata in dottrina. Fra i molti contributi, v. G. DE BÙRCA,J.H.H.WEILER, The European Court of Justice, Oxford, 2001; R.DEHOUSSE, The European Court of Justice: the politics of European integration, New