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L’integrazione negativa e l’integrazione indiretta in materia penale

2.1. L’integrazione negativa attraverso l’influenza del diritto UE sulle norme penali nazionali

Già a partire dagli anni ’70, la Corte di giustizia ha posto sotto crescente pressione l’assunto in base al quale la normativa penale sarebbe in toto riser- vata agli Stati membri, ritenuto inadeguato a racchiudere e sistematizzare compiutamente le complesse relazioni fra ordinamento CE e diritto degli Stati membri67.

Un primo elemento di crisi di questo convincimento – o, rectius, di supe- ramento dei limiti che esso tradizionalmente imponeva al diritto comunitario – è infatti derivato dal riconoscimento in sede giurisprudenziale del fenomeno della cd. “integrazione negativa”, secondo il quale gli atti adottati nel contesto del primo pilastro sarebbero stati idonei ad influenzare, entro un certo grado, l’approvazione di norme penali nazionali o la loro legittimità68.

L’erosione dell’impostazione tradizionale ha in particolare trovato una premessa decisiva nell’affermazione del principio del primato, in forza del quale il diritto nazionale, qualsiasi essa sia la sua natura e collocazione nella gerarchia delle fonti nazionali, soccombe alle norme europee69. Come suggeri-  

67 Per notazioni aggiuntive in chiave storica v. J.W.BRIDGE, The European Communities

and the Criminal Law, in Criminal Law Review, 1976, p. 88; C.PEDRAZZI, L’influenza della produzione giuridica CEE sul diritto penale italiano, in M.CAPPELLETTI,A.PIZZORUSSO (a cu-

ra di), L’influenza del diritto europeo sul diritto italiano, Milano, 1982, p. 612; G.GRASSO, Comunità europee e diritto penale, Milano, 1989; H.SEVENSTER, Criminal law and EC law, in

Common Market Law Review, 1992, p. 29. Sul contributo della Corte in questo settore v., in termini generali, G. TESAURO, Diritto comunitario, Corte di giustizia e diritto penale, in G. GRASSO,R.SICURELLA (a cura di), Per un rilancio del progetto europeo. Esigenze di tutela degli interessi comunitari e nuove strategie di integrazione penale, Milano, 2008, p. 665. Tra le prime pronunce della Corte di giustizia in questo senso v. la sentenza 21 marzo 1972, causa 82/71, SAIL, in Racc. p. 119; sentenza 11 novembre 1981, causa 203/80, Casati, in Racc. p. 2595.

68 Per una visione di insieme sui vari profili dell’integrazione penale negativa e indiretta v.

R.FRANCE, The influence of European Community law on the criminal law of the Member Sta- tes, in European Journal of Crime, Criminal Law and Criminal Justice, 1994, p. 324; M.DEL- MAS-MARTY, The European Union and penal law, in European Law Journal, 1998, p. 87; A.

BERNARDI, I tre volti del diritto penale comunitario, in L.PICOTTI (a cura di), Possibilità e limi- ti di un diritto penale europeo, Milano, 1999, p. 124; C.HARDING, Exploring the intersection

between European law and National criminal law, in European Law Review, 2000, p. 374.

69 Cfr. le sentenze 15 luglio 1964, causa 6/64, Costa c. Enel, in Racc. p. 1141, e 9 marzo

1978, causa 107/78, Amministrazione delle Finanze dello Stato c. Simmenthal, in Racc. p. 629. Benché il primato sia il paradigma elettivo attraverso il quale vanno ricostruite le antinomie fra normativa penale nazionale e diritto UE, nel tempo ha acquisito crescente spazio l’obbligo di interpretazione conforme, quale strumento che consente al giudice nazionale di comporre la controversia per via ermeneutica, senza sacrificare la norma interna. La portata del principio del primato sul diritto penale nazionale ha alimentato considerevole confronto in dottrina. V.,

to dalla Corte di giustizia nel caso Internationale Handellsgesellschaft70, infatti, il primato opera anche in relazione al diritto penale di ciascuno Stato mem- bro71, indipendentemente dalla sua rilevanza per l’ordinamento costituzionale nazionale o dal valore formalmente attribuitogli nella sistematica delle fonti interne.

La portata e l’interpretazione del diritto dell’Unione, pertanto, non pos- sono incontrare un limite nella eventuale sovrapposizione con l’àmbito di ap- plicazione di norme penali interne. Al contrario, piuttosto, queste ultime de- vono risultare compatibili con l’ordinamento dell’Unione e non possono im- porre restrizioni – tout court o alla luce di una valutazione condotta sulla base del principio di proporzionalità – a posizioni giuridiche da questo sorgenti.

La Corte di giustizia è stata dunque chiamata in molte occasioni a solleci- tare i giudici nazionali a disapplicare disposizioni di diritto penale sostanziale, considerate non conformi al diritto dell’Unione, in quanto capaci di limitare le libertà fondamentali del mercato unico o gli obiettivi perseguìti da altre po- litiche europee. Così, le pronunce del Giudice dell’Unione hanno non di rado determinato la successiva abrogazione di norme incriminatrici, ad opera dei legislatori degli Stati membri72.

 

per tutti, D.SCHIATTI, Quale primato del diritto comunitario in àmbito penale?, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2008, p. 479. Sulla rilevanza e sui limiti dell’obbligo di interpretazione conforme v. gli studi raccolti in F.SGUBBI,V.MANES (a cura di), L’interpre- tazione conforme al diritto comunitario in materia penale, Bologna, 2007.

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Cfr. la sentenza 17 dicembre 1970, causa 11/70, Internationale Handellsgesellschaft, in Racc. p. 1125, punto 3.

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Se la dottrina internazionalistica ha usualmente letto questa dinamica alla luce del pri- mato, molti studiosi di diritto penale hanno individuato fondamenti teorici differenti e non sempre coerenti rispetto al tema del rapporto fra ordinamenti, ad esempio qualificando la coe- sistenza di norme CE e disposizioni penali nazionali con esse configgenti come una antinomia fra precetti di concorrente applicazione o una causa di giustificazione. Per un’analisi delle va- rie teorie v. G.MAZZINI, Prevalenza del diritto comunitario sul diritto penale interno ed effetti

nei confronti del reo, in Il diritto dell’Unione europea, 2000, p. 349.

72 Molte questioni sollevate in via pregiudiziale dinnanzi alla Corte di giustizia, rivelatesi

decisive per lo sviluppo del mercato unico, sono scaturite proprio dal contrasto fra norme CE sulle libertà di circolazione e disposizioni penali nazionali. Ad esempio, quanto alla circola- zione delle merci, le sentenze 11 luglio1974, causa 8/74, Dassonville, in Racc. p. 874, e 23 no- vembre 1963, cause riunite C-267/91 e C-268/91, Keck e Mithouard, in Racc. p. I-6097. Cfr. altresì la sentenza 28 marzo 1979, causa 179/78, Rivoira, in Racc. p. 1147, quanto al rapporto tra norme sull’unione doganale e reati di frode alimentare; più di recente, sentenza20 giugno 2002, cause riunite C-388/00 e C-429/00, Radiosistemi, in Racc. p. I-5845. Parallelamente, in alcune pronunce l’effetto limitativo sulla portata operativa del diritto penale interno non si verifica a séguito della disapplicazione di una norma incriminatrice in sé, ma a causa della ri- tenuta incompatibilità con il diritto UE di norme interne non penali la cui violazione può co- stituire un presupposto per una risposta punitiva. Si pensi ad esempio alla necessità di conse- guire un’autorizzazione amministrativa ai fini dello svolgimento di una determinata attività, altrimenti ritenuta abusiva. Un’evenienza simile si è verificata, in Italia, in ordine all’attività di raccolta di scommesse sportive. L’imposizione di una previa autorizzazione di polizia, la cui

La stessa sorte è stata riservata altresì a disposizioni volte ad imporre san- zioni per determinati comportamenti: sul punto, la Corte ha talora valutato la compatibilità del quantum o della species di una misura afflittiva disposta nell’ordinamento statale con i princìpi di uguaglianza e proporzionalità73. Da un lato, infatti, il Giudice dell’Unione ha censurato i regimi che prevedessero una diversa modulazione della pena in base a criteri quali la cittadinanza o la residenza; dall’altro lato, la Corte di Lussemburgo non ha mancato di eviden- ziare la necessità che misure statali destinate a sanzionare condotte riconduci- bili ad una materia oggetto di intervento normativo europeo non eccedano un parametro di ragionevolezza in rapporto alla gravità ed agli effetti lesivi delle vicende occorse74.

La Corte di giustizia ha in definitiva orchestrato la ritrazione del diritto penale nazionale in favore di norme UE75, consentendo un radicale mutamen- to di prospettiva: a differenza di quanto tradizionalmente sostenuto, il diritto dell’Unione non è confinato al di fuori del “giardino prioibito” degli Stati, non ne è inesorabilmente limitato. Al contrario, la normativa europea contri- buisce a sua volta a modellare nuovi è più puntuali confini all’operato del le- gislatore nazionale, poiché «se la legislazione penale e le norme di procedura penale […] sono in linea di principio riservate alla competenza degli Stati

 

mancanza comportava l’integrazione del reato di esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa, è stata considerata incompatibile con le norme sul mercato unico, poiché idonea a restringere indebitamente la libertà di stabilimento. Cfr. la sentenza 6 marzo 2007, cause riuni- te C-338/04, C-359/04 e C-360/04, Placanica e altri, in Racc. p. I-1891. Per approfondimenti sui vari filoni della giurisprudenza della Corte di giustizia nell’àmbito del rapporto fra diritto comunitario e diritto penale nazionale v. M.DOUGAN, From the velvet glove to the iron fist: criminal sanctions for the enforcement of Union law, in M.CREMONA (a cura di), Compliance and the enforcement of EU law, Oxford, 2012, p. 74.

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La casistica in questo caso è più copiosa e trova oggi più puntuale riscontro normativo nell’art. 49, par. 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, a mente del quale le pene irrogate non devono essere sproporzionate rispetto al reato commesso. V., fra le altre, le sentenze 3 luglio 1980, causa 157/79, Pieck, in Racc. p. 2171; 19 gennaio 1999, causa C- 348/96, Calfa, in Racc. p. I-11; 28 aprile 2011, causa C-61/11 PPU, El Dridi, in Racc. p. I-3015. Quest’ultima pronuncia riguarda le norme italiane di attuazione della direttiva 2008/115/UE sul sistema di rimpatrio dei cittadini di Stati terzi irregolarmente presenti sul territorio euro- peo, che prevedevano, a dispetto dello spirito dell’atto europeo, l’irrogazione della pena de- tentiva in caso di mancata ottemperanza ad un ordine di allontanamento.

74 Cfr. la sentenza 30 aprile 1998, causa C-24/97, Commissione c. Germania, in Racc. p. I-

2133, in relazione ad un regime sanzionatorio per la violazione dell’obbligo di possedere un documento di identità valido che prevedeva conseguenze particolarmente afflittive per i citta- dini di altri Stati membri, in rapporto al più mite trattamento accordato ai cittadini tedeschi.

75 La dottrina ha spesso richiamato la duplice prospettiva della ritrazione del diritto pena-

le interno e della contestuale forza espansiva del diritto CE: v. S.MANACORDA, L’efficacia espansiva del diritto comunitario sul diritto penale, in Foro italiano, 1995, IV, p. 55.

membri, tuttavia […] il diritto comunitario pone dei limiti a tale competen- za»76.

2.2. L’integrazione penale indiretta: l’obbligo in capo agli Stati di adottare tutte le misure – eventualmente di natura penale – necessarie ad assicurare l’effettività del diritto dell’Unione

In una inversa prospettiva “positiva”, la Corte di giustizia si è resa prota- gonista altresì di un fenomeno di cd. “integrazione penale indiretta”77, grazie alla valorizzazione dell’obbligo degli Stati membri di adempiere puntualmen- te al diritto UE, quale peculiare declinazione del principio di leale coopera- zione78. L’obbligo di attuare correttamente le norme europee e di assicurarne l’effettività, infatti, impone agli Stati membri di adottare tutte le misure all’uopo necessarie, ad esempio mediante l’imposizione di sanzioni «effettive, adeguate alla gravità del fatto e dissuasive»79. Tali sanzioni, puntualizza  

76 Cfr. la sentenza 2 febbraio 1989, causa 186/87, Cowan, in Racc. p. 195, punto 19. È in-

teressante rilevare come questa formula sia stata riproposta dalla Corte di giustizia, in un’occasione, anche in sèguito alla riforma di Lisbona ed all’espresso conferimento all’UE di attribuzioni in materia penale. V. in questo senso la sopra menzionata pronuncia El Dridi, al punto 53. In una pronuncia di pochi mesi successiva, tuttavia, il Collegio, pur richiamando il leading case Cowan, ha modificato il riferimento, precisando che «risulta da una costante giu- risprudenza della Corte che il diritto dell’Unione impone dei limiti alla competenza degli Stati membri in materia penale, dovendosi tener conto del fatto che una legislazione riguardante questa materia non può, in particolare, limitare le libertà fondamentali garantite dal diritto dell’Unione». Cfr. la sentenza 15 settembre 2011, causa C-347/09, Dickinger e Ömer, in Racc. p. I-8185.

77 Si è scritto, a questo proposito, di competenze penali indirette della Comunità europea,

capace, indipendentemente da un espresso disposto del Trattato, di influire attivamente sui sistemi penali interni: cfr. A.BERNARDI, I tre volti del diritto penale comunitario, cit., p. 80; D. GIUDICELLI-DELAGE, S.MANACORDA, L’integration pénale indirecte, Parigi, 2006.

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Per approfondimenti, in termini generali, v. O.PORCHIA, Princìpi dell’ordinamento eu- ropeo. La cooperazione pluridirezionale, Bologna, 2008. In relazione agli obblighi di re- pressione e tutela penale, in favore dell’efficacia del diritto UE, v. H.LABAYLE, Entre désire et réalités: quelle voie pour une repression pénale des violations du droit communautaire?, in Revue du Marché commun et de l’Union européenne, 2003, p. 293; C.PAONESSA, Gli obblighi di tute- la penale. La discrezionalità legislativa nella cornice dei vincoli costituzionali e comunitari, Pisa, 2009.

79 Cfr. la sentenza della Corte di giustizia del 21 settembre 1989, causa C-68/88, Commis-

sione c. Grecia (mais greco), in Racc. p. 2965, in particolar modo i punti da 23 a 25. A partire dalla fine degli anni ’70, questa espressione è stata frequentemente riproposta in giurispruden- za ed a livello normativo, tanto da essere qualificata in dottrina come «formula sanzionatoria». In questo senso v. C.HONORATI, La comunitarizzazione della tutela penale ed il principio di

legalità nell’ordinamento comunitario, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2006, p. 941. In particolare, ad esempio, si ritrova la formula all’art. 325 TFUE, in materia di tutela degli interessi finanziari dell’Unione. D’altra parte, la Corte di giustizia ha avuto modo di precisare come questa specificazione di fatto nulla aggiunga agli obblighi già incombenti

usualmente la Corte, possono anche essere rappresentate da misure di natura penale, in vista dell’obbligo di risultato del quale sono gravati gli Stati80.

Gli Stati membri, pertanto, nell’adempiere al diritto UE, sono chiamati a garantire l’effettività del diritto europeo81, così come il principio di equivalen- za, alla luce del quale gli interessi perseguìti dalle istituzioni europee, pur in contesti differenti dalla prevenzione e repressione del crimine, devono essere protetti dalle autorità interne attraverso strumenti e mezzi analoghi a quelli previsti per la salvaguardia di interessi nazionali82. Peraltro, secondo la giuri- sprudenza di Lussemburgo83, il dovere di rispettare i princìpi di effettività ed  

agli Stati in forza del principio di leale cooperazione: sentenza dell’8 luglio 1999, causa C- 186/98, Nunes e de Matos, in Racc. p. I-4883.

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Cfr. la sentenza 2 febbraio 1977, causa 50/76, Amsterdam Bulb, in Racc. p. 137, in parti- colare il punto 32, nel quale la Corte paventa la possibilità che i mezzi necessari a dare piena ed effettiva attuazione al diritto comunitario siano sanzioni di carattere penale. V. altresì l’ordinanza 13 luglio 1990, causa 2/88, Zwartweld, in Racc. p. 3365, per la quale gli Stati sono tenuti a «adottare tutte le misure atte a garantire, se necessario anche penalmente, la portata e l’efficacia del diritto comunitario».

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È importante distinguere le situazioni nelle quali uno Stato stia applicando il diritto UE da quelle in cui invochi un regime derogatorio, poiché la valutazione sull’adeguatezza della misura interna si caratterizza in maniera alquanto differente. Nella prima ipotesi, la potestà discrezionale riservata allo Stato è maggiore, ma deve sempre essere orientata all’effettività delle norme europee. Nel secondo caso, invece, il margine per le autorità nazionali è più rigo- roso ed interviene un giudizio sulla necessità e proporzionalità delle disposizioni adottate. Sul più esteso margine discrezionale in caso di misure di attuazione del diritto UE v. la sentenza del 23 novembre 2006, causa C-315/05, Lidl Italia, in Racc. p. I-11181. La Corte ha puntualiz- zato che la presenza di soluzioni anche fortemente differenti in sede nazionale non costituisce di per sé un elemento di criticità, pur potendo rappresentare uno svantaggio per un privato o un’impresa che debbano fronteggiare differenti regimi giuridici a seconda dello Stato conside- rato. Così ad esempio la sentenza 4 dicembre 2003, causa C-92/02, Kristiansen, in Racc. p. I- 14597. La varietà di regimi a livello nazionale – riconosce inoltre la Corte – può anche deriva- re da fattori sociali e culturali locali: sentenza 7 giugno 2007, causa C-156/04, Commissione c. Grecia, in Racc. p. I-4129. Per un contributo dottrinale sul rapporto tra leale cooperazione e principio di effettività – ritenuto dall’autrice debitore della giurisprudenza maturata nel conte- sto della tutela giurisdizionale – v. E.BAKER, Criminal jurisdiction, the public dimension to ‘ef- fective protection’ and the construction of Community-citizen relations, in Cambridge Yearbook of European Legal Studies, 2001, p. 25.

82 Sul principio di equivalenza declinato alle misure sanzionatorie v. le sentenze 10 luglio

1990, causa C-326/88, Hansen, in Racc. p. I-2911, punto 17; 27 febbraio 1997, causa C- 177/95, Ebony Maritime, in Racc. p. I-1111, punto 35; 12 luglio 2001, causa C-262/99, Pa- raskevas Louloudakis, in Racc. p. I-5547, punto 69.

83 Cfr. la sentenza 14 luglio 1977, causa 8/77, Sagulo, in Racc. p. 1495, punto 12: «Non si

può escludere che le pene previste da una legislazione generale in materia di polizia degli stra- nieri, tenuto conto delle finalità di una siffatta legislazione, siano inadeguate alle esigenze risul- tanti dal diritto comunitario, fondato sulla libera circolazione delle persone e sull’applicazione generalizzata, salvo deroghe specifiche, del principio del trattamento nazionale; qualora uno Stato membro non abbia adattato la propria legislazione alle esigenze derivanti in materia dal diritto comunitario, il giudice nazionale dovrà far uso della libertà di valutazione riservatagli,

equivalenza sorge anche in capo ai giudici nazionali, di talché questi ultimi sono chiamati a sopperire, ove possibile84, alle lacune dell’operato del legisla- tore.

Gli approdi ai quali è pervenuta la giurisprudenza di Lussemburgo hanno sollecitato un articolato dibattito circa la reale possibilità, da parte della Co- munità europea, di vincolare gli Stati all’introduzione di norme incriminatrici o misure sanzionatorie penali85. Un dibattito che la Corte stessa ha alimentato, limitandosi per anni a precisare che, da un lato, lo ius puniendi rientra nelle attribuzioni esclusive delle autorità nazionali86, senza tuttavia escludere, dall’altro lato, che l’attivazione di tale potere sovrano possa essere sollecitata da obblighi di provenienza comunitaria87.

 

al fine di pervenire all'applicazione di una pena adeguata alla natura ed allo scopo delle norme comunitarie di cui si vuole reprimere l’infrazione»

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Possibilità che dipende in via elettiva dal rispetto dei princìpi generali ai quali si ispira il diritto penale, in primis il principio di legalità ed divieto di applicare retroattivamente un trat- tamento sanzionatorio penale deteriore: cfr. le sentenze 15 luglio2004, causa C-459/02, Gere- kens, in Racc. p. I-7315 e 8 febbraio 2007, causa 3/06, Groupe Danone, in Racc. p. I-1331.

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Il confronto si è consumato soprattutto in relazione alla opzione tra sanzioni ammini- strative e penali, nella consapevolezza, peraltro, che l’inquadramento e la definizione formali di una determinata misura in sede nazionale non sono necessariamente coerenti con l’essenza sostanziale della medesima. Tradizionalmente, infatti, sia la Corte di giustizia che la Corte eu- ropea dei diritti dell’uomo adottano in materia un approccio sostanziale, qualificando le misu- re sanzionatorie nazionali in base alla gravità delle condotte commesse, alle caratteristiche ed alla capacità afflittiva delle sanzioni stesse: cfr. la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo dell’8 giugno 1976, ricorsi nn. 5100/71, 5101/71, 5102/71, 5354/72 e 5370/72, En- gel e altri c. Paesi Bassi; per la Corte di giustizia v. da ultimo la sentenza 26 febbraio 2013, cau- sa C-617/10, Ackerberg Fransson, non ancòra pubblicata in Racc. Sulla scelta fra sanzioni pe- nali e amministrative, v., fra gli altri, F.CONSULICH, «Materia penale» e tutela dei beni giuridici nello spazio unitario europeo. Il paradigma sanzionatorio tra definizioni formali e definizioni so- stanziali, in Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia, 2006, p. 65; A.M.MAUGERI, Il sistema sanzionatorio comunitario dopo la Carta europea dei diritti fondamentali, in G.GRASSO,

R.SICURELLA (a cura di), Lezioni di diritto penale europeo, Milano, 2007, p. 122; L.KUHL, Ca- dre juridique des sanctions administratives communautaires et sa recente mise en œuvre, in G. GRASSO,R.SICURELLA (a cura di), Per un rilancio del progetto europeo, cit., p. 53.

86 Oltre alla giurisprudenza già menzionata, pare utile fare riferimento alla deliberazione

del 14 novembre 1978, causa 1/78, sul progetto di convenzione dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica sulla protezione delle materie, degli impianti e dei trasporti nucleari, in Racc. p. 2151, in particolare il punto 31. La pronuncia è interessante poiché, nel rilevare sotto molti profili l’incompatibilità tra il progetto di convenzione ed il Trattato Euratom, la Corte precisò che le misure repressive di carattere penale previste dall’accordo internazionale rica- devano nell’esclusiva competenza degli Stati e pertanto trascendevano l’àmbito di applicazio- ne del diritto europeo. Di conseguenza, l’introduzione di tali norme nel progetto di conven- zione non era in linea di principio contrastante con il Trattato Euratom.

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Oltre alla menzionata giurisprudenza mais greco ed Amsterdam Bulb, si evidenzia un isolato precedente nel quale la Corte, in un obiter dictum, ha espressamente manifestato una preferenza per l’adozione di norme penali a livello statale. Cfr. la sentenza 28 gennaio 1999, causa C-77/97, Unilever, in Racc. p. I-431. In dottrina v. G.FRANCIOSI, Consumatori e produt-