• Non ci sono risultati.

Beatrice: lo sguardo che salva

Nel documento La Commedia degli sguardi (pagine 132-138)

Gli ultimi canti del Purgatorio dantesco vedono l’entrata in scena e l’assunzione del ruolo di guida del poeta da parte di Beatrice. L’avvicinarsi del tanto atteso incontro con la donna amata in vita è più volte anticipato da Virgilio lungo l’ascesa al Paradiso terrestre e funge da vero e proprio sprone del pellegrino alla salita, come si vede nel momento del superamento del muro di fuoco, che fa indugiare Dante

Quando mi vide star pur fermo e duro, turbato un poco disse: «Or vedi, figlio:

tra Bëatrice e te è questo muro». 36 Come al nome di Tisbe aperse il ciglio

Piramo in su la morte, e riguardolla,

allor che 'l gelso diventò vermiglio; 39 così, la mia durezza fatta solla,

mi volsi al savio duca, udendo il nome

che ne la mente sempre mi rampolla. 42 (Purg. XXVII, 34-42)

E poco dopo il riferimento esplicito del maestro agli occhi di Beatrice

Lo dolce padre mio, per confortarmi, pur di Beatrice ragionando andava,

dicendo: «Li occhi suoi già veder parmi». 54 (Purg. XXVII, 52-54)

Sin da questi primi riferimenti si delinea chiaramente la sostanza salvifica e di guida che sarà una delle cifre portanti della figura di Beatrice da qui al Paradiso.

Gli occhi belli di Beatrice. L’immagine di Beatrice è costantemente identificata

e condensata nella potenza straordinaria dei suoi occhi, definiti in numerose occorrenze col sintagma occhi belli. Si ricordi come la centralità dello sguardo di Beatrice era emersa sin dalle prime pagine del poema, quando Virgilio, chiarendo la missione a lui affidata nel condurre Dante attraverso i primi due regni, parla dell’intervento salvifico di Beatrice accennando solamente ai suoi occhi (Lucevan li occhi suoi più che la stella,

133

Inf. II, 55). Ancor prima, in alcuni passi del Convivio, l’autore aveva messo in evidenza

il ruolo fondamentale dello sguardo, unito alla forza del sorriso, parlando delle mirabili virtù della donna-Sapienza, che nella Commedia sembrano incarnarsi (per poi essere addirittura superate) nella figura di Beatrice-Sapienza teologica:

E però che nella faccia massimamente in due luoghi opera l'anima - però che in quelli due luoghi quasi tutte e tre le nature dell'anima hanno giurisdizione - cioè

nelli occhi e nella bocca quelli massimamente adorna e quivi pone lo 'ntento tutto a

fare bello, se puote. E in questi due luoghi dico io che appariscono questi piaceri dicendo: "nelli occhi e nel suo dolce riso".

Li quali due luoghi, per bella similitudine, si possono appellare balconi della donna che nel dificio del corpo abita, cioè l'anima: però che quivi, avegna che quasi velata, spesse volte si dimostra. (Conv. III, 8-9)

Con la definizione di questa bellezza della donna-Sapienza si potrebbe spiegare anche la seconda bellezza (Purg. XXXI, 136) che connota Beatrice sin dalla sua prima apparizione, tutta condensata nella doppia potenza di sguardo e sorriso, quali balconi, finestre della donna sul mondo a cui porta la sua salvezza.81

Dalla Vita Nuova alla Commedia, missione salvifica di Beatrice. Ma il ruolo

salvifico fondamentale della donna a cui si è accennato non può essere ben compreso se non inquadrato con ordine all’interno del progetto dantesco. L’immagine di Beatrice, infatti, protagonista centrale della Vita Nuova, ritorna nel poema dantesco con una nuova missione, che pur rimanendo connessa all’esperienza giovanile del poeta, vede però nella Commedia la progressione verso un cammino di salvezza più alto.

Nella Vita Nuova Beatrice è la manifestazione di Amore in terra: dapprima oggetto concreto del desiderio del poeta, dalla quale spera e attende saluti e riconoscimenti, si trasforma poi, con l’aderire del poeta allo Stilnovo, in una figura eterea e angelicata, dalla quale il poeta non chiede di ricevere nulla, se non di poterne gustare la vista e lodare la bellezza. Si tratta del noto passaggio al cosiddetto “stile della loda”, che avrà nei sonetti Tanto gentile e tanto onesta pare e Vede perfettamente onne

salute le sue più famose testimonianze.

La Commedia degli sguardi

Potenza evocativa e comunicativa degli occhi nel poema dantesco

134

È in questa stagione poetica che Dante riconosce alla donna amata la singolare capacità di salvare l’uomo: quasi manifestazione del divino sulla terra, tanto da essere invidiata dalle creature angeliche, Beatrice dispensa grazia e virtù con il solo passare lungo la via. La potenza salvifica della donna passa attraverso un canale indispensabile, cioè lo sguardo, oltre che il sorriso: chiunque abbia il privilegio di incontrare i suoi occhi ne viene naturalmente trasformato e nobilitato, essendo reso partecipe della bellezza incommensurabile del divino. Amore, grazia e beatitudine passano quindi attraverso gli occhi della donna e raggiungono il cuore del poeta, modificandone la sostanza, secondo i precetti della dottrina stilnovistica.

Nel Paradiso terrestre, la missione rinnovata. Una volta incontrato Dante nel

paradiso terrestre, Beatrice ripercorre le tappe della biografia del poeta, sottolineando proprio questo ruolo di guida salvifica e di portatrice di Amore da lei svolto in vita, istituendo un diretto rimando alla Vita Nuova

Alcun tempo il sostenni col mio volto: mostrando li occhi giovanetti a lui,

meco il menava in dritta parte vòlto. 123 Sì tosto come in su la soglia fui

di mia seconda etade e mutai vita,

questi si tolse a me, e diessi altrui. 126 (Purg. XXX, 121-126)

Ma ecco rivelarsi anche la colpa di Dante, quel traviamento che, dopo la morte di Beatrice, fa distogliere l’attenzione e lo sguardo del poeta dalla via del bene che la donna aveva lui indicato fino a quel momento.

È la scomparsa di Beatrice, dunque, la perdita del lume che guidava Dante, a segnare il passaggio cruciale della sua esistenza: da qui la caduta nell’errore, lo smarrimento in quella selva oscura, da cui Beatrice si prodigherà per salvarlo, attraverso l’intervento di Virgilio.

Il cammino di Dante pellegrino rivendica, quindi, in questi canti finali, la dimensione di redenzione di un fallimento personale, alla ricerca della propria salvezza, oltre che quello universale di exemplum di riscatto per l’intera umanità.

135

In questo senso, perciò, si assiste alla trasformazione della stessa Beatrice, che mostra nel Paradiso la piena manifestazione di quella sostanza divina e salvifica, solamente accennata nella Vita Nuova, perché limitata dal suo provvisorio collocarsi sulla terra. Ora la donna può innalzarsi pienamente a guida del cielo per Dante, portando a termine il compito lasciato in sospeso in vita.

Una nuova Beatrice dagli occhi di smeraldo. Negli ultimi canti del Purgatorio

Beatrice appare a Dante all’improvviso, similmente alle manifestazioni stilnovistiche; veste lo stesso abito rosso della Vita Nuova (simbolo dell’amore carità), ma aggiunge ad esso i colori delle altre due virtù teologali (il velo bianco della fede, il mantello verde della speranza), a testimonianza della sua nuova identità superiore e mutata.

Ma l’elemento chiave della nuova Beatrice è tutto innestato nella potenza dello sguardo, nella luce dei suoi occhi, rinnovati nel segno della nuova investitura celeste. Ecco, allora, le virtù cardinali, nella forma di quattro fanciulle leggiadre, annunciare a Dante lo splendore degli occhi della donna, simili a smeraldi

Merrenti a li occhi suoi; ma nel giocondo lume ch'è dentro aguzzeranno i tuoi

le tre di là, che miran più profondo». 111 Così cantando cominciaro; e poi

al petto del grifon seco menarmi,

ove Beatrice stava volta a noi. 114 Disser: «Fa che le viste non risparmi;

posto t'avem dinanzi a li smeraldi

ond' Amor già ti trasse le sue armi». 117 (Purg. XXXI, 109-117)

Particolare significativo è la scelta dello smeraldo per descrivere gli occhi di Beatrice. Attributo della bellezza femminile non consueto nella trattatistica latina, l’occhio verde diventa topos letterario solo dal XIII secolo, grazie all’influenza della poesia di Geoffroi de Vinsauf, che nella sua Poetria nova parla di «Luce smaragdina vel sideris instar ocelli…»(v.570). Gli occhi di Beatrice, quindi, appaiono verdi e rilucenti, sulla base della tradizione precedente a cui Dante attinge, tra cui anche il

La Commedia degli sguardi

Potenza evocativa e comunicativa degli occhi nel poema dantesco

136

Trésor di Brunetto Latini, nel quale si dice: «ses oils ki sormontent toutes esmeraudes

reluisent en son front comme .ii. estoiles» (Tresor III,13,11).

Dante, però, non coglie il solo attributo di bellezza per Beatrice, ma sceglie lo smeraldo nella sua molteplicità di significati e virtù, annoverati anche nella tradizione lapidaria dell’epoca. Esso è scelto anche come simbolo di giustizia, come ancora ricorda Brunetto Latini

:

«La quarte vertu est justice, qui est segnefiee par l’esmeraude, ki est la plus vertuouse et la plus bele chose que oil d’ome puisse veoir» (Tresor II, 3).82 In questi ultimi canti, Beatrice assume infatti il ruolo di giudice severo; alla potenza del suo sguardo nulla si nasconde, così come si riteneva che la luce smeraldina superasse qualsiasi ostacolo restando sempre uguale a se stessa. Lo smeraldo era poi considerato emblema di castità e purezza, oltre ad essere dotato della capacità straordinaria di riflettere una luce riposante per la vista83. In tal senso si comprende ancor più nel profondo la metafora che Dante costruisce per gli occhi di Beatrice: quali smeraldi in grado di mediare la luce abbagliante per gli occhi umani, essi agiscono da intermediari attraverso i quali al poeta è reso possibile contemplare il riflesso dell’immagine di Cristo (nella forma di grifone), altrimenti inattingibile per la sua vista ancora inadeguata.

Gli occhi della donna appaiono dunque come il risultato dell’incontro di tradizioni riguardanti l’iconografia dello smeraldo, chiamate a conferire al personaggio le molteplici qualità di bellezza e di splendore, di forza e speranza, ma anche di giustizia, oltre che di ruolo mediatore verso il divino.

Attraverso gli occhi di Beatrice, verso il divino. La straordinarietà dello sguardo

di Beatrice si manifesta soprattutto nel momento in cui Dante fissa i suoi occhi in quelli di lei. Beatrice sta osservando con intensità il grifone, simbolo di Cristo, formato da due nature, umana e divina (rappresentate rispettivamente nelle due forme di leone e uccello del corpo della fiera) e Dante non crede quasi al miracolo a cui assiste

Mille disiri più che fiamma caldi strinsermi li occhi a li occhi rilucenti,

che pur sopra 'l grifone stavan saldi. 120

82 Pizzorusso 1969, p. 15.

137 Come in lo specchio il sol, non altrimenti la doppia fiera dentro vi raggiava,

or con altri, or con altri reggimenti. 123 Pensa, lettor, s'io mi maravigliava,

quando vedea la cosa in sé star queta,

e ne l'idolo suo si trasmutava. 126 (Purg. XXXI, 118-126)

Il poeta, infatti, scorge con i suoi occhi la sola forma di leone, quella umana di Cristo; ma fissando il suo sguardo in quello della donna, vede invece riflessa in esso l’immagine del grifone nella sua totalità, sia umana che divina.

Da questo momento in poi, infatti, lo sguardo miracoloso di Beatrice diventerà un mezzo fondamentale di conoscenza per il pellegrino che, soprattutto nel Paradiso, potrà avvicinarsi alla conoscenza di realtà divine proprio attraverso i giochi di riflessione prodotti dagli occhi di Beatrice.

Simbolicamente, dunque, si evince il ruolo della vista della Sapienza teologica (di cui Beatrice e l’incarnazione), quale strumento indispensabile per l’essere umano, in quanto mediatore verso il divino.

Uno sguardo a cui lo stesso Dante non riesce a resistere, come già notato più sopra (cfr. 3.4), e come affermato da lui stesso nei versi sopra citati: Mille disiri più che

fiamma caldi strinsermi li occhi a li occhi rilucenti.

Con Beatrice, dunque, ci troviamo di fronte ad una tra le più alte manifestazioni della potenza insita nello sguardo. Non più solo mezzo di comunicazione, di trasmissione di sentimenti e pensieri, di intenzioni e ragioni umane, ma strumento capace di farsi tramite diretto del divino, manifestazione e diffusione dell’Amore, della Salvezza eterna e della luce del cielo.

7. Il potere della vista, tra visione e creazione: “visibile parlare”

Nel documento La Commedia degli sguardi (pagine 132-138)