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Tra sogno e illusione: l’inesauribile potenza creativa dello sguardo

Nel documento La Commedia degli sguardi (pagine 140-148)

7. Il potere della vista, tra visione e creazione: “visibile parlare” e il sogno

7.2. Tra sogno e illusione: l’inesauribile potenza creativa dello sguardo

Un’attenta analisi del ruolo dello sguardo e della visione all’interno della seconda cantica non può inoltre prescindere dalla considerazione di un ulteriore passaggio di fondamentale importanza. Si tratta dell’episodio inserito nel canto XIX, in cui Dante narra il contenuto di una visione a lui apparsa durante le prime ore del mattino (momento di tradizionale manifestazione di sogni dal carattere divinatorio), conosciuto come il sogno della femmina balba.

Il sogno si inserisce nel percorso della cantica come anticipazione dei successivi incontri che il pellegrino farà con le anime degli avari e prodighi. La femmina balba protagonista della visione dantesca, si rivelerà simbolo del carattere seduttivo e illusorio dei beni materiali e terreni a cui queste anime si sono dedicate totalmente in vita, dimenticando il vero bene supremo.

La donna, definita femmina con carattere spregiativo, appare in un primo momento nella sua vera essenza orripilante agli occhi del poeta

mi venne in sogno una femmina balba, ne li occhi guercia, e sovra i piè distorta,

con le man monche, e di colore scialba. 9 (Purg. XIX, 7-9)

Incapace di parola, cieca, storpia e monca, oltre che pallida, essa è l’incarnazione opposta della bellezza femminile tradizionale. Ma è nei versi successivi che si compie la metamorfosi miracolosa

141 Io la mirava; e come 'l sol conforta le fredde membra che la notte aggrava,

così lo sguardo mio le facea scorta 12 la lingua, e poscia tutta la drizzava

in poco d'ora, e lo smarrito volto,

com' amor vuol, così le colorava. 15 Poi ch'ell' avea 'l parlar così disciolto,

cominciava a cantar sì, che con pena

da lei avrei mio intento rivolto. 18 «Io son», cantava, «io son dolce serena,

che ' marinari in mezzo mar dismago;

tanto son di piacere a sentir piena! 21 Io volsi Ulisse del suo cammin vago

al canto mio; e qual meco s'ausa,

rado sen parte; sì tutto l'appago!». 24 (Purg. XIX, 10-24)

L’orribile creatura si tramuta rapidamente in una donna bellissima, dal canto soave, dal nobile portamento e dal colorito roseo della pelle. Ed è proprio qui che si cela un’importante chiave di lettura, che rende protagonista lo sguardo del poeta e la sua facoltà immaginativa. Come si evince, infatti, da un’attenta osservazione dei termini usati si può osservare il carattere tutt’altro che passivo dello sguardo dell’uomo: Io la

mirava, lo sguardo mio le facea scorta, …tutta la drizzava,…così le colorava, tutte

espressioni in cui risulta evidente l’intervento creativo e attivo dello sguardo dantesco sulla donna. Sono i suoi occhi a renderla capace di parola, ad ingentilirne le forme, a colorarne il viso. Lo sguardo dantesco è qui artista e scultore di una nuova immagine, creata dalla sua stessa mente. Tale potere trasfigurante sembra assimilabile a quello che opera nell’occhio dell’innamorato, che modifica la realtà, smussando i difetti e ingentilendo le grazie dell’amata, facendola apparire perfetta alla sua vista.84

La donna stessa, poi, si presenta al poeta quale dolce serena: Dante suggerisce ancora, come spesso accade nella Commedia, il confronto con il mito di Ulisse. In questo caso la figura femminile si lega all’immagine delle sirene del mito, creature

84 Cfr. Brunetti 2014, p. 567. Si noti in particolare il riferimento di Brunetti alla dottrina di Andrea Cappellano, De Amore, I 6.

La Commedia degli sguardi

Potenza evocativa e comunicativa degli occhi nel poema dantesco

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ammaliatrici e seduttrici, sviano i marinai dalla rotta con l’artificio del loro canto, che incanta e rapisce la mente di chi lo ascolta.

Quand’ecco apparire d’un tratto una seconda figura femminile, stavolta definita

santa e presta che corre in soccorso al pellegrino richiamando l’intervento di Virgilio

Ancor non era sua bocca richiusa, quand' una donna apparve santa e presta

lunghesso me per far colei confusa. 27 «O Virgilio, Virgilio, chi è questa?»,

fieramente dicea; ed el venìa

con li occhi fitti pur in quella onesta. 30 L'altra prendea, e dinanzi l'apria

fendendo i drappi, e mostravami 'l ventre;

quel mi svegliò col puzzo che n'uscia. 33 (Purg. XIX, 25-33)

L’azione rapida di Virgilio, che squarcia il ventre della prima donna metterà a nudo la sua vera natura, quella mostruosa, che l’azione creativa dello sguardo ammaliato aveva nascosto.

Ecco dunque rappresentato con l’efficacia singolare del sogno il carattere illusorio e seduttivo dei beni terreni. La femmina balba è infatti l’immagine esemplare della provvisorietà del denaro, delle ricchezze e degli averi, a cui l’uomo inutilmente tende; la natura di tali beni è malvagia, in quanto corruttrice dell’anima, ma l’apparenza che questi assumono è incantatrice e seduttiva. Così l’uomo, incantato dalle promesse di gloria e ricchezza, si allontana dalla ricerca della Verità e del Bene per seguire sogni che solo alla fine si riveleranno falsi ed illusori, svelando quella vita bugiarda di cui parlerà poco dopo papa Adriano V (Purg. XIX, 106-108).

In tutto questo, come lo stesso autore suggerisce, lo sguardo umano ha il suo ruolo imprescindibile e la sua responsabilità. Sta infatti all’uomo stesso la capacità di controllare e servirsi in modo adeguato della straordinaria facoltà creativa di cui la sua vista è stata dotata, evitando le illusioni e rifuggendo le facili seduzioni.

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Una volta conosciuto il rischio a cui l’occhio può essere sottoposto con l’inganno, compito dell’uomo è quindi volgere lo sguardo verso l’alto, alla ricerca dell’unico bene da cui valga realmente la pena lasciarsi ammaliare.

PARADISO

Il trionfo della luce,

gli occhi della mente

1. L’ultima tappa del viaggio: luci e abbagli tra cieli e stelle,

verso lo sguardo che si rinnova

Dopo il lungo cammino percorso attraverso i primi due regni dell’Aldilà, tra ombre e tenebre del peccato e luci soffuse di speranza, tra lamenti e rimpianti e canti di consolazione, il pellegrino Dante è finalmente condotto all’ultima tappa del suo viaggio nel mondo del Paradiso.

Costantemente sostenuto e accompagnato dall’amata guida Beatrice, che lo condurrà fino all’Empireo, affidandolo alle amorevoli mani di San Bernardo, il percorso dantesco nel mondo celeste si rivela tanto eccezionale quanto stupefacente.

Nel regno dell’Amore che risplende. Ad accoglierlo, questa volta, è un mondo

dominato dalla luce diffusa e ancor più spesso abbagliante, simbolo dello splendore divino e dell’Amore che in esso regna.85

La luce è infatti proporzionale all’Amore-Carità espresso dalle anime beate e aumenta con la contemplazione di Dio, a cui tutte le creature tendono naturalmente. Gloria e Amore- Carità rappresentano infatti la sostanza

85 Si consideri il rapporto di corrispondenza tra sole/luce e amore divino che funge da fondamento dell’intero poema: all’emanazione di luce e calore solare corrisponde l’emanare da Dio di bontà e amore (cfr. lo studio sulla simbologia solare in Stabile 2007, pp. 330-332)

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Potenza evocativa e comunicativa degli occhi nel poema dantesco

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stessa del Paradiso (in quanto insite nel suo stesso Creatore) e il motore primo dell’intera creazione, su esplicito volere divino, come si evince dall’incipit e dalla conclusione della cantica stessa

La gloria di colui che tutto move per l'universo penetra, e risplende

in una parte più e meno altrove. 3 (Par. I, 1-3)

A l'alta fantasia qui mancò possa; ma già volgeva il mio disio e 'l velle,

sì come rota ch'igualmente è mossa, 144

l'amor che move il sole e l'altre stelle. (Par. XXXIII, 142-145)

Come lo splendore, così la Gloria di Dio si diffonde come luce nel creato, il quale è governato da quello stesso amor che in origine l’aveva concepito e formato.

Allo stesso tempo sono quindi fulgori luminosi anche le creature che abitano il regno celeste (beati, santi, schiere angeliche), sostanze nutrite di amore e gioia che il pellegrino incontra via via sul proprio cammino, chiamate a testimoniare, spesso con scene corali, la Gloria di quel Padre da cui traggono la beatitudine di cui godono.

Il viaggio complesso della mente, verso la “novella vista”. La complessità di

queste prime riflessioni rispetto alla natura della creazione, al suo funzionamento e al suo principio formativo dice molto sulla complicata elaborazione che il poeta ha necessariamente dovuto affrontare. Per questo motivo, dunque, la missione affidata a Dante (qui divenuto come calamus dei, intermediario tra Dio e l’umanità) affronta sin dai primi versi il problema evidente dell’ineffabilità del divino, mettendo in luce il gravoso compito di mettere su carta un’esperienza tanto straordinaria quanto difficile da rendere con parole umane (si ricordi a tal proposito il famoso Trasumanar significar per

verba non si poria; Par. I, 70-71).

Il linguaggio dantesco si cimenterà quindi con brillante risultato nel tentativo di rendere l’esperienza compiuta quanto più concretamente possibile, servendosi di strumenti retorici complessi, quali metafore, simbologie, richiami mitologici e similitudini, tesi a restituire la sostanza visionaria delle realtà incontrate.

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Il viaggio di Dante nel Paradiso può infatti essere definito, più ancora che nei due regni precedenti, un’ascesi della mente e dello sguardo, molto più che del corpo. La salita verso Dio, concepita quale atteso ritorno del figlio esule sulla terra alla casa del Padre, è segnata dalla continua prova a cui la vista è sottoposta. Gli occhi umani, terreni, non sono più strumenti efficaci, ed è perciò necessario uno sguardo rinnovato. La vista del pellegrino sarà dunque chiamata ad elevarsi, a staccarsi dall’umano e inabissarsi nella mente, alla ricerca del supremo contatto con il divino.

2. Incontri ed apparizioni: anime evanescenti e occhi luminosi tra

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