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Virgilio e Dante: lo sguardo di intesa

Nel documento La Commedia degli sguardi (pagine 111-115)

4. Virgilio: gli occhi del maestro

4.1. Virgilio e Dante: lo sguardo di intesa

Uno degli aspetti più sensibilmente umani e commoventi del poema è senza dubbio l’intensità della relazione che lega i due poeti pellegrini Dante e Virgilio. Colpiscono l’affetto, la sincerità, il sostegno reciproco, la fiducia illimitata che l’allievo sente nei confronti della sua amata guida. Virgilio modello di poesia, di virtù e di saggezza è il maestro che non a caso Dante sceglie di porre al suo fianco durante il lungo peregrinare. Un affetto denso di rispetto e reverenza per un padre di poesia, ma che procedendo sfumerà sempre più nell’amore verso un padre vero e proprio, (come denota la presenza degli appellativi come dolce padre, figliuol mio) man mano che si avvicina il momento del distacco, per lasciare posto a Beatrice, quale nuova guida verso il Paradiso.

Cercare gli occhi del maestro. La forza del rapporto che lega i due poeti emerge

in particolare in alcuni passi nei quali si percepisce chiaramente l’intesa instauratasi, che permette loro di comunicare anche con il solo sguardo, di capirsi e comprendersi.

La Commedia degli sguardi

Potenza evocativa e comunicativa degli occhi nel poema dantesco

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La curiosità di Dante verso alcune anime che gli si presentano sul cammino lo spinge spesso a cercare l’approvazione negli occhi del maestro

e volsi li occhi a li occhi al segnor mio: ond' elli m'assentì con lieto cenno

ciò che chiedea la vista del disio. 87 Poi ch'io potei di me fare a mio senno,

trassimi sovra quella creatura

le cui parole pria notar mi fenno, 90 (Purg. XIX, 85-90)

Il disio negli occhi di Dante è talmente evidente, che il maestro legge nel suo sguardo senza fatica, dando il suo silenzioso assenso con gli occhi al colloquio con papa Adriano V.

Virgilio legge nell’animo di Dante. Così ancora si manifesta l’attenzione del

maestro alle esigenze dell’allievo, quando, fissandone lo sguardo, percepisce non solo il desiderio di chiedere delucidazioni, ma anche l’imbarazzo di Dante nel domandare, temendo di risultare importuno

Posto avea fine al suo ragionamento l'alto dottore, e attento guardava

ne la mia vista s'io parea contento; 3 e io, cui nova sete ancor frugava,

di fuor tacea, e dentro dicea: 'Forse

lo troppo dimandar ch'io fo li grava'. 6 Ma quel padre verace, che s'accorse

del timido voler che non s'apriva,

parlando, di parlare ardir mi porse. 9 (Purg. XVIII, 1-9)

Accortosi della difficoltà dell’allievo, dunque, Virgilio lo incoraggia ad esprimere i suoi dubbi, a cui risponderà ampiamente nei versi successivi.

Uno sguardo, dunque, quello di Virgilio, che intende, che fruga e comprende i moti interiori dell’animo; nulla gli è infatti ignoto dei pensieri del suo allievo, come lui stesso afferma

113 «O dolce padre mio, se tu m'ascolte, io ti dirò», diss' io, «ciò che m'apparve

quando le gambe mi furon sì tolte». 126 Ed ei: «Se tu avessi cento larve

sovra la faccia, non mi sarian chiuse

le tue cogitazion, quantunque parve. 129 (Purg. XV, 124-129)

Sono gli occhi del maestro premuroso, che indaga il bisogno, la sete dell’alunno e allo stesso tempo insegnano, come Dante stesso afferma con orgoglio e riconoscenza, presentando la sua guida al poeta Stazio

Ond' io: «Forse che tu ti maravigli, antico spirto, del rider ch'io fei;

ma più d'ammirazion vo' che ti pigli. 123 Questi che guida in alto li occhi miei,

è quel Virgilio dal qual tu togliesti

forte a cantar de li uomini e d'i dèi. 126 (Purg. XXI, 121-126)

La funzione di guida è sintetizzata nel v.124, in cui Virgilio è ritratto come colui che indica agli occhi inesperti dell’allievo la retta via da seguire, ovvero quella che tende verso l’alto.

Al di là della parola, comunicare con gli occhi. Una scena in particolare, ritrae

la forma più alta e meglio rappresentata di dialogo attraverso gli occhi di cui si è discusso fino ad ora. Si tratta del canto XXI, nel quale Dante e Virgilio incontrano l’anima del poeta Stazio. Dopo una digressione sulle cause non atmosferiche del terremoto appena avvenuto (causato infatti dalla liberazione dell’anima dello stesso Stazio dalle pene purgatoriali e dalla sua disposizione a salire al cielo), il poeta latino si presenta e annovera tra i grandi personaggi che hanno segnato la sua esistenza terrena proprio Virgilio, modello insuperato di poesia, oltre che di moralità. A questo elogio denso di affetto e commozione Dante non riesce a trattenere un sorriso spontaneo di approvazione. Virgilio però tenta di bloccare il suo allievo dal rivelare la sua identità

La Commedia degli sguardi

Potenza evocativa e comunicativa degli occhi nel poema dantesco

114 Volser Virgilio a me queste parole con viso che, tacendo, disse 'Taci';

ma non può tutto la virtù che vuole; 105 ché riso e pianto son tanto seguaci

a la passion di che ciascun si spicca,

che men seguon voler ne' più veraci. 108 Io pur sorrisi come l'uom ch'ammicca;

per che l'ombra si tacque, e riguardommi

ne li occhi ove 'l sembiante più si ficca; 111 (Purg. XXI, 103-105)

Si noti il gioco di parole, sguardi e silenzi dei vv.103 e 104, dove Virgilio sembra parlare, ma tace, intimando a Dante di non rivelare nulla con il solo potere dello sguardo. Una ricerca di complicità, quindi, quella del maestro, che incrocia lo sguardo dell’allievo; ma gli occhi di Dante sono troppo sinceri per nascondere e celare il sentimento di amore provato per Virgilio tanto da non riuscire ad evitare un lieve sorriso. Questo viene subito percepito da Stazio, che guarda Dante ne li occhi ove ’l

sembiante più si ficca. Ecco dunque quella potenza comunicativa dello sguardo, quella

forza che permette agli occhi di comunicare l’interiorità, di farsi “specchio dell’anima”. A tale proposito Dante si era già espresso nel Convivio, dove aveva indicato gli occhi e la bocca quali balconi, luogo di esternazione delle passioni dell’animo, aggiungendo poi:

Dimostrasi ne li occhi tanto manifesta, che conoscer si può la sua presente passione, che ben la mira. Onde, con ciò sia cosa che sei passioni siano proprie dell’anima umana (…), di nulla di queste puote l’anima essere passionata che a la finestra de li occhi non vegna la sembianza, se per grande virtù dentro non si

chiude. (Conv. III, VIII, 10)

Dante torna dunque a sottolineare nel poema il valore della spontaneità dei sentimenti espressi attraverso il linguaggio non verbale, tramite quei sembianti che

soglion esser testimon del core (Par III, 67-69), in particolare quando affidati agli

occhi, quale veicolo veritiero e infallibile delle emozioni. 64

115

Quando poi Stazio chiede a Dante spiegazione di quell’ammiccamento, subentra il disagio del poeta, che si sente intrappolato: da un lato Virgilio che intima di tacere, dall’altro Stazio che chiede chiarimento. Ma subito ecco intervenire il saggio maestro, che intuisce la difficoltà del suo protetto e lo libera dalla rete che lo tiene legato

Or son io d'una parte e d'altra preso: l'una mi fa tacer, l'altra scongiura

ch'io dica; ond' io sospiro, e sono inteso 117 dal mio maestro, e «Non aver paura»,

mi dice, «di parlar; ma parla e digli

quel ch'e' dimanda con cotanta cura». 120 (Purg. XXI, 115-120)

È così che, come notato da alcuni studiosi , «Qui si sviluppa una straordinaria commedia degli equivoci e delle intese, con una scena muta (vv.103-111) fatta di sorrisi e di gesti, di sguardi e di ammicchi».65

Un vero e proprio esempio, dunque, di “Commedia degli sguardi”.

Nel documento La Commedia degli sguardi (pagine 111-115)