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Lo sguardo che salva e conforta, incoraggia e corregge

Nel documento La Commedia degli sguardi (pagine 178-183)

4. Beatrice: gli occhi della guida, specchi del divino

4.2. Lo sguardo che salva e conforta, incoraggia e corregge

Una volta considerata la natura di rinnovato splendore, derivata dal sempre maggiore contatto con il divino, della quale il poeta ha rivestito la donna lodata sin dalla

Vita Nuova, si deve poi prendere in esame l’insieme delle altre prerogative che fanno

della nuova Beatrice la guida prediletta del Paradiso. A questo proposito, dunque, l’autore costruisce una figura femminile di grande complessità e realismo, grazie alla molteplicità di sfaccettature che la compongono. Si assiste, infatti, al delinearsi di un’immagine dai tratti al contempo severi, decisi, ma ai quali non mancano di accostarsi amorevolezza e compassione altrettanto degne di rilievo. Da un lato, dunque, una Beatrice dallo sguardo risoluto, che, ricoprendo appieno il ruolo di guida a lei affidato, non esita a correggere e richiamare l’attenzione del suo allievo; dall’altro, però, una donna pronta ad incoraggiare, sostenere, confortare il pellegrino, con attenzione quasi di madre.

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4.2.1. Il volto materno di Beatrice

Sin dai primi versi della cantica, è possibile rilevare un volto materno e premuroso di Beatrice nei confronti di Dante. Un primo esempio si ha quando, di fronte ai continui dubbi che si affollano nella mente del poeta, che non riesce a spiegarsi i fenomeni miracolosi di cui è spettatore, Beatrice risponde con indulgenza, dopo un sospiro compassionevole nei confronti dell’incapacità degli uomini di comprendere il divino

Ond' ella, appresso d'un pïo sospiro, li occhi drizzò ver' me con quel sembiante

che madre fa sovra figlio deliro, 102 (Par. I, 100-102)

Il pïo sospiro, che accomuna l’atteggiamento dei beati nei confronti dell’umanità cieca, è qui specificamente nel volto di Beatrice un dettaglio di sofferenza e compassione, che la rendono accostabile allo sconforto provato dalla madre che assiste impotente al delirio del figlio. Vediamo in questi versi una Beatrice caratterizzata da dolcezza tutta femminile, ben diversa dall’immagine severa presentatasi nel Purgatorio, dove era apparsa simile ad un ammiraglio (Purg. XXX, vv.58-66) e che la avvicina indubbiamente all’amorevole saggezza della prima guida, il caro padre Virgilio.

Dispensatrice di conforto – gli occhi che rassicurano. Di fronte alla tenerezza

materna esibita dalla sua guida, il pellegrino Dante non esita a cercarvi conforto e rassicurazione, soprattutto nei momenti di smarrimento, ottenendo la risposta benevola della donna

Oppresso di stupore, a la mia guida mi volsi, come parvol che ricorre

sempre colà dove più si confida; 3 e quella, come madre che soccorre

sùbito al figlio palido e anelo

con la sua voce, che 'l suol ben disporre, 6

La Commedia degli sguardi

Potenza evocativa e comunicativa degli occhi nel poema dantesco

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Dante ha assistito ad un grido forte come di tuono da parte dei Beati, che provoca in lui smarrimento e stupore timoroso, non conoscendone le ragioni. La similitudine, efficace strumento nelle mani dell’autore, suggerisce in modo chiaro l’emozione provata, paragonando il ricorrere del poeta al conforto di Beatrice a quello del parvol che ottiene soccorso dalla madre, nella quale confida. La risposta della donna rivela con affettuosa umanità l’ingenuità del pellegrino, che si stupisce per qualcosa che è normale e risponde alle regole del cielo.

Così, ancora, nel Cielo della Luna, l’apparenza labile degli spiriti fa cadere Dante in errore, credendo che si tratti di riflessi; sentendosi smarrito si volge a cercare soccorso nella sua guida

e nulla vidi, e ritorsili avanti dritti nel lume de la dolce guida,

che, sorridendo, ardea ne li occhi santi. 24 (Par. III, 22-24)

L’incomprensibilità del fenomeno confonde il pellegrino, i cui gesti si susseguono rapidi e frenetici, come sottolinea la scelta di verbi al passato remoto posti in successione (e nulla vidi, e ritorsili); allo smarrimento del poeta si contrappone invece la serenità di Beatrice, per la quale i verbi scelti sottolineano l’immutabilità del sorriso e della luminosità che traspare dai suoi occhi (sorridendo, ardea).

Lo sguardo che incita e incoraggia. Il pellegrino Dante, dunque, si rivolge

continuamente a cercare lo sguardo della sua guida, dalla quale trarre conforto, suggerimento, risposta. In molti casi gli occhi di Beatrice diventano non solo luogo di conferma, ma anche stimoli vivi all’azione, capaci di infondere incoraggiamento e forza affinché l’allievo dia spazio alla propria curiosità o alla propria conoscenza.

È ciò che accade in occasione dell’incontro con alcuni spiriti beati, con i quali Dante desidera colloquiare. Beatrice incoraggia ad esempio Dante a rispondere all’invito di Carlo Martello a fermarsi, approvando con la sola forza dello sguardo

Poscia che li occhi miei si fuoro offerti a la mia donna reverenti, ed essa

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fatti li avea di sé contenti e certi, 42 rivolsersi a la luce che promessa

tanto s'avea, e «Deh, chi siete?» fue

la voce mia di grande affetto impressa. 45 (Par. VIII, 40-45)

Oppure sostiene silenziosamente la curiosità dell’allievo di parlare con lo spirito di Cunizza

Li occhi di Bëatrice, ch'eran fermi sovra me, come pria, di caro assenso

al mio disio certificato fermi. 18 (Par. IX, 16-18)

La forza comunicativa e autorevole degli occhi di Beatrice è sottolineata dall’aggettivo fermi, che rende l’immagine di uno sguardo attento, sicuro, in grado di sostenere le fragilità del pellegrino.

4.2.2. Una guida saggia e ferma

Il carattere amorevole e rassicurante di Beatrice non esaurisce, come detto, la molteplicità del ruolo da essa svolto. Nel corso del viaggio, dunque, non mancano episodi altrettanto significativi, in cui Beatrice rivendica la propria autorità di maestro spirituale, richiamando l’attenzione del pellegrino, spesso distratto da apparizioni e immagini che ne catturano l’interesse e lo stupore. In questi casi la donna gli si rivolge con tono deciso, invitandolo a guardarsi intorno, con espressioni ricorrenti, quali ficca li

occhi, rivolgiti… .

Un eccessivo amore contemplativo. A necessitare del richiamo puntuale di

Beatrice è però sicuramente un fatto, che risulta caratterizzante del personaggio Dante in quanto amante della donna in vita e suo fedele servo di Amore-Carità in Paradiso. Si tratta dell’ardore contemplativo con cui spesso il pellegrino viene inevitabilmente attratto a guardare la sua donna, giungendo talvolta persino allo smarrimento dei sensi, come in preda ad un’estasi mistica.

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Potenza evocativa e comunicativa degli occhi nel poema dantesco

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Così lo riprende, ad esempio, durante la pausa delle parole di Cacciaguida, quando, dopo essere stato da lei rassicurato riguardo al suo destino, il pellegrino si perde per qualche istante nella contemplazione dell’amore negli occhi della sua guida, che non esita a riscuoterlo

Vincendo me col lume d'un sorriso, ella mi disse: «Volgiti e ascolta;

ché non pur ne' miei occhi è paradiso». 21 (Par. XVIII, 19-21)

Beatrice si rivolge a Dante con indulgenza e sorridendo, ricordandogli che il Paradiso è certamente presente nei suoi occhi, ma va contemplato anche nel luogo che lo circonda.

Di nuovo, poi, e in modo ancor più esemplare e severo, lo rimprovera nel Cielo delle Stelle fisse

«Perché la faccia mia sì t'innamora, che tu non ti rivolgi al bel giardino

che sotto i raggi di Cristo s'infiora? 72 Quivi è la rosa in che 'l verbo divino

carne si fece; quivi son li gigli

al cui odor si prese il buon cammino». 75 (Par. XXIII, 70-75)

Dante è infatti così rapito, incantato dagli occhi di Beatrice da non riuscire a distoglierne lo sguardo, se non su esplicita richiesta della donna, che lo richiama indulgentemente a guardare oltre, per ammirare il bel giardino dei beati che lo circonda e il trionfo di Cristo a cui assisterà di lì a breve. Si noti il lessico con cui Beatrice indica il rapimento di Dante: il verbo innamorare, usato in forma attiva, crea un saldo e innegabile legame tra questi sguardi e quelli che dominano la lirica amorosa a cui Dante, pur volendo segnarne il superamento, non manca però spesso di fare allusione.

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Nel documento La Commedia degli sguardi (pagine 178-183)