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Gli occhi rapiti dalle apparizioni e la curiosità dantesca

Nel documento La Commedia degli sguardi (pagine 53-56)

3. Dante: lo sguardo del pellegrino attraverso la notte

3.2. Gli occhi rapiti dalle apparizioni e la curiosità dantesca

L’eccezionalità che caratterizza l’itinerario dantesco nell’Aldilà risulta tanto più evidente quanto più si considera l’atteggiamento mostrato dal pellegrino stesso nei confronti di una realtà quanto mai sorprendente ed inattesa. Lo sguardo di Dante, infatti, si rivela sempre simile a quello di un fanciullo (a cui spesso si paragona nella

Commedia) alla continua scoperta. I suoi occhi sono attratti e ammaliati dalle

apparizioni, dalle visioni di spazi e personaggi che si stagliano sul suo cammino; la sua curiosità è continuamente rinnovata e sottolineata.

Contemplare gli Spiriti Magni – lo sguardo ammirato. Uno dei momenti più alti

in cui si manifesta lo sguardo dell’ammirazione e della contemplazione si ha ad esempio nel canto IV, quando Dante, condotto nel Limbo, scorge le anime degli spiriti magni, riconoscendo volti e figure di poeti, filosofi e uomini antichi da lui tanto amati

Colà diritto, sovra 'l verde smalto, mi fuor mostrati li spiriti magni,

che del vedere in me stesso m'essalto. 120 I' vidi Eletra con molti compagni,

tra ' quai conobbi Ettòr ed Enea,

Cesare armato con li occhi grifagni. 123 Vidi Cammilla e la Pantasilea;

da l'altra parte vidi 'l re Latino

che con Lavina sua figlia sedea. 126 Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino,

Lucrezia, Iulia, Marzïa e Corniglia;

e solo, in parte, vidi 'l Saladino. 129 Poi ch'innalzai un poco più le ciglia,

vidi 'l maestro di color che sanno

seder tra filosofica famiglia. 132 (Inf. IV, 118-132)

L’anafora del verbo Vidi…vidi suggerisce al lettore come l’occhio del poeta osservi l’orizzonte lentamente, scrutando e riconoscendo via via le personalità che

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Potenza evocativa e comunicativa degli occhi nel poema dantesco

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sfilano davanti a sé. La visione di tali spiriti provoca una gioia inesprimibile nel poeta, come lui stesso afferma (che del vedere in me stesso m’essalto).

Come attento spettatore – l’occhio che indaga e scruta. Il rapimento nella

visione di scene che si prospettano agli occhi del pellegrino non riguarda però solamente oggetti degni di ammirazione. Al contrario è invece spesso il ribrezzo, la cruenza, l’immagine di efferata violenza ad attirare il suo sguardo per provocarne poi il rifiuto. Le manifestazioni di malvagità, le pene dolorose sono, così, spesso motivo di indugio per il pellegrino. Si veda ad esempio la vista delle anime immerse nella palude Stigia

E io, che di mirare stava inteso, vidi genti fangose in quel pantano,

ignude tutte, con sembiante offeso. 111 (Inf. VII, 109-111)

O ancora lo sguardo assorbito dalla contemplazione delle anime dei barattieri, immerse nella pece bollente, che richiede l’intervento di Virgilio per esserne distolto

Mentr' io là giù fisamente mirava, lo duca mio, dicendo «Guarda, guarda!»,

mi trasse a sé del loco dov' io stava. 24 Allor mi volsi come l'uom cui tarda

di veder quel che li convien fuggire

e cui paura sùbita sgagliarda, 27

che, per veder, non indugia 'l partire: e vidi dietro a noi un diavol nero

correndo su per lo scoglio venire. 30 (Inf. XXI, 22-30)

In entrambi gli esempi si noti la centralità del verbo mirare e dell’avverbio

fisamente, che sottolineano il rapimento a cui la mente è sottoposta. Il poeta si definisce tutto inteso, concentrato nell’osservazione, tanto che il richiamo della sua guida alla

realtà e all’attenzione per i pericoli imminenti lo sconvolge come l’uom cui tarda di

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Uno sguardo curioso, quasi indiscreto. Al carattere contemplativo dello sguardo

dantesco, si aggiunge poi indubbiamente la pungente curiosità, che concorre a rendere ancor più vivo e tangibile il personaggio agli occhi del lettore. Si veda ad esempio lo sguardo curioso esibito al momento dell’entrata attraverso la porta della città di Dite

Dentro li 'ntrammo sanz' alcuna guerra; e io, ch'avea di riguardar disio

la condizion che tal fortezza serra, 108 com' io fui dentro, l'occhio intorno invio:

e veggio ad ogne man grande campagna,

piena di duolo e di tormento rio. 111 (Inf. IX, 106-111)

È lo stesso Dante a sottolineare l’ardente desiderio che lo pungola (ch’avea di

riguardar disio); l’occhio si guarda attorno con impazienza e scruta l’ambiente con

attesa.

Poco dopo la curiosità trova sfogo nella richiesta diretta al maestro di poter guardare cosa sia contenuto nei sepolcri disseminati di fronte a sé, nei quali si scopriranno sepolte le anime degli eretici

«O virtù somma, che per li empi giri mi volvi», cominciai, «com' a te piace,

parlami, e sodisfammi a' miei disiri. 6 La gente che per li sepolcri giace

potrebbesi veder? già son levati

tutt' i coperchi, e nessun guardia face». 9 (Inf X, 4-9)

Ma ancor più interessante è notare alcuni passi nei quali lo sguardo dantesco si carica di una sorta di ingordigia e avidità vera e propria nei confronti delle anime incontrate e della loro condizione. Esse, che non vogliono essere guardate per la profonda vergogna, irrompono allora con violenza sulla scena, rimproverando l’indiscrezione dell’occhio dantesco nei loro confronti.

Così, ad esempio, lo riprende l’anima dell’adulatore Alessio Interminelli da Lucca, immersa nello sterco della secondabolgia

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56 Quei mi sgridò: «Perché se' tu sì gordo

di riguardar più me che li altri brutti?». (Inf. XVIII, 118-119)

Uno sguardo, dunque, quello dantesco, che si rivela anche nelle sue qualità e debolezze più pienamente umane, lasciandosi attrarre e ammaliare da ciò che colpisce la sua mente o ancor più la sua innata curiosità.

Nel documento La Commedia degli sguardi (pagine 53-56)