• Non ci sono risultati.

Gli specchi di Dio: lo sguardo perfetto degli angeli

Nel documento La Commedia degli sguardi (pagine 197-200)

5. La corte del cielo: beati e creature angeliche, gli occhi innamorati del divino

5.3. Gli specchi di Dio: lo sguardo perfetto degli angeli

Una parte altrettanto consistente della corte celeste che si aggiunge alla moltitudine dei Beati è quella delle schiere angeliche che coronano l’Empireo. La natura di queste creature proviene direttamente dalle mani di Dio, che le creò a sua immagine.103 Ecco il motivo per cui l’immagine più chiara ed efficace in grado di descrivere la sostanza degli angeli è sicuramente quella dello specchio, permettendo di far emergere nuovamente il ruolo centrale del campo visivo nel poema.

Le creature angeliche sono infatti dette speculi, in quanto entità chiamate a riflettere come piccoli frammenti l’immensità del divino

103 Dante distingue tra Intelligenze prime e seconde in base alla sostanza più o meno diretta della luce divina che le investe, come riporta già in Conv. III, xiv ,3-6: si veda Mocan 2007, pp. 81-83.

La Commedia degli sguardi

Potenza evocativa e comunicativa degli occhi nel poema dantesco

198 Vedi l'eccelso omai e la larghezza

de l'etterno valor, poscia che tanti

speculi fatti s'ha in che si spezza, 144

uno manendo in sé come davanti». (Par. XXIX, 142-145)

Dio, definito l’etterno valor, ha creato un immenso numero di esseri che lo rispecchiano, nei quali si moltiplica quasi spezzandosi, pur rimanendo uno nell’immutabilità originale del suo essere. In questi versi si coglie l’immensità ineguagliabile di Dio, che accetta di donarsi continuamente nel molteplice di più piccole manifestazioni, come nel caso degli angeli-specchi, per avvicinarsi alle sue creature. Esse, però, rimangono incapaci di vederne la totalità, come nel caso dell’uomo che, a causa della sua natura limitata, non può che coglierne alcuni tratti, solo per approssimazioni continue a quel molteplice in cui Dio si rende presente.104

Uno sguardo perfetto, mai sazio di Dio. Ciò che colpisce ancor più l’interesse

della nostra analisi è però la constatazione del fatto che la condizione privilegiata di cui gli angeli godono è strettamente connessa alla forza e alla qualità del loro sguardo. Ciò che ha permesso e continuamente permette a queste creature di essere tali sembra essere proprio la capacità di mantenere gli occhi fissamente rivolti a Dio, senza mai essere sviati

Queste sustanze, poi che fur gioconde de la faccia di Dio, non volser viso

da essa, da cui nulla si nasconde: 78 però non hanno vedere interciso

da novo obietto, e però non bisogna

rememorar per concetto diviso; 81 (Par. XXIX, 76-81)

Sin dalla loro creazione queste sustanze appaiono innamorate, inevitabilmente attratte e appagate dalla visione di Dio, tanto che non volser viso da essa, rimanendo da sempre immersi nella sua contemplazione. Il loro sguardo, dunque, non appare mai ostacolato da alcun oggetto terreno che possa in qualche modo traviarlo o indurlo in

104 Rispetto al tema qui accennato della similitudo tra Dio e le sue creature, secondo il principio della

199

tentazione di rivolgersi altrove. Ecco, dunque, che a differenza degli uomini, continuamente sviati nella vista dalle cose del mondo, gli angeli non conoscono lo scorrere del tempo e non necessitano di memoria alcuna, perché totalmente ed eternamente immersi nella gioiosa contemplazione del vero Bene.

La capacità contemplativa, misura della beatitudine. E proprio nella misura

della forza di tale sguardo avviene poi l’attribuzione del grado di beatitudine angelica e la relativa distribuzione nelle diverse schiere. La conoscenza di Dio, infatti, e la maggiore o minore vicinanza ad esso equivale alla sua più o meno perfetta visione: tale capacità contemplativa diviene perciò la misura della beatitudine e della luce che da essa deriva

e dei saper che tutti hanno diletto quanto la sua veduta si profonda

nel vero in che si queta ogne intelletto. 108 (Par. XXVIII)

Gli ordini angelici hanno una misura di beatitudine (diletto) proporzionale alla disposizione del loro sguardo ad immergersi in Dio, il quale è l’unica verità nella quale può trovare appagamento ogni creatura, sia essa umana o angelica.105

Avviene così, che il filo conduttore che unisce Dio alle sue creature è tutto insito nella potenza dello sguardo, nello scambio visivo che tra essi si compie attraverso la contemplazione. Ed è tramite quest’ultima che avviene la trasformazione profonda di chiunque ne faccia esperienza: l’intelletto si rende capace di vedere Dio e la volontà si allontana da desideri che inducono al peccato.

Ecco, dunque, che proprio dallo scambio visivo con il Creatore, ogni essere può avvicinarsi alla perfezione, sperimentando per mezzo degli occhi la pienezza della gioia più autentica.

6. La Vergine Maria: lo sguardo di madre che ride e contagia

l’Amore

6.1. La prima apparizione e i preannunci dell’incontro

L’incontro del pellegrino con la Vergine non avviene da subito in modo diretto. Egli la scorge una prima volta tra gli spiriti trionfanti del Cielo delle Stelle fisse, dove è scesa eccezionalmente al seguito di Cristo, riconoscendola nell’anima più splendente.

Sin da questo primo momento, il contatto con la Vergine prende avvio proprio dallo sguardo, tramite primo con il quale la donna del ciel arriva a toccare gli occhi di Dante, attirando la sua attenzione. Il poeta raffigura dunque la discesa dell’Arcangelo Gabriele, che disegna una corona luminosa attorno alla Madonna, tra danze e canti soavi di lode. (Par XXIII, 88-102). In questi versi la figura di Maria è rievocata da innumerevoli appellativi dalla straordinaria soavità e raffinatezza, chiamati a sostituire il nome santo, che solo raramente viene annoverato. La Madonna è quindi definita qui bel

fior, viva stella, bel zaffiro, ad indicarne la natura delicata, splendente di luce e dalla

preziosità inestimabile.

L’incontro diretto e più ravvicinato con la Vergine si deve però attendere alla fine del poema. L’entrata in scena di Maria è preannunciata dalle parole di San Bernardo, che invita Dante a guardarsi intorno, contemplando il giardino dell’Empireo, alzando lo sguardo; il poeta obbedisce ed ecco che i suoi occhi vengono colpiti da una luce splendente, che sovrasta tutti i lumi dei Beati. (Par XXXI, 118-123). Presto si scoprirà essere la potenza luminosa emanata da Maria, regina celeste dell’Empireo.

6.2. Gli occhi ridenti che innamorano e diffondono gioia

Gioia e splendore dello sguardo di Maria. Dopo essere stata preannunciata dalla

luce, che via via si fa più intensa, l’immagine della Madonna si manifesta finalmente agli occhi del pellegrino. Ma contrariamente alla descrizione che chiunque potrebbe aspettarsi, la raffigurazione di Maria proposta dell’autore si concentra e risolve

Nel documento La Commedia degli sguardi (pagine 197-200)