3. Dante: lo sguardo del pellegrino alle soglie del Cielo
3.3. Tra repulsione e attrazione dello sguardo: abbagli, smarrimenti e contemplazione
3.3.2. Verso più alti abbagli
Non è solo lo splendore di Beatrice ad esercitare quella forza di attrazione e repulsione visiva di cui abbiamo parlato. Accanto alla presenza luminosa della donna amata, infatti, prendono vita progressivamente altre figure dall’apparenza sfolgorante, che provocano lo stupore oltre che il rapimento del poeta.
Il Sol Christi. Un primo esempio si ha quando Dante assiste al manifestarsi
eccezionale di Cristo, sceso in trionfo nel Cielo delle Stelle fisse
Quale ne' plenilunïi sereni Trivïa ride tra le ninfe etterne
che dipingon lo ciel per tutti i seni, 27 vid' i' sopra migliaia di lucerne
un sol che tutte quante l'accendea,
come fa 'l nostro le viste superne; 30 e per la viva luce trasparea
la lucente sustanza tanto chiara
nel viso mio, che non la sostenea. 33 (Par. XXIII, 25-33)
L’apparizione di Cristo, costruita attraverso il campo semantico della luce, è accuratamente preparata dalla similitudine dei vv.25-27, che ritarda l’annuncio della visione miracolosa, aumentando l’attesa e l’emozione dell’evento. Il sol è Cristo, così detto per la viva luce che emana dal suo corpo risorto; egli supera tutte le stelle
161
(lucerne) dei beati col suo splendore, raggiungendo con forza la vista del poeta, che non riesce però a sostenere lo sguardo, ancora troppo debole.
Ma la debolezza visiva viene presto superata dal pellegrino, che, dopo la rivelazione di Beatrice di trovarsi al cospetto di Cristo, si abbandona all’estasi mistica, uscendone con la vista rafforzata e rinvigorita
Come foco di nube si diserra per dilatarsi sì che non vi cape,
e fuor di sua natura in giù s'atterra, 42 la mente mia così, tra quelle dape
fatta più grande, di sé stessa uscìo,
e che si fesse rimembrar non sape. 45 «Apri li occhi e riguarda qual son io;
tu hai vedute cose, che possente
se' fatto a sostener lo riso mio». 48 (Par. XXIII, 40-48)
In questi versi si possono riconoscere i diversi momenti che scandiscono le fasi della contemplazione, come descritto dai mistici dell’epoca: la dilatatio mentis (la
mente mia…fatta più grande), cioè l’ampliamento della mente; l’ excessus mentis (di sé stessa uscìo), ovvero l’abbandono dei limiti della mente; la sublevatio mentis (che possente se’ fatto a sostenerlo riso mio), cioè il potenziamento delle facoltà visive di
Dante, affermato dalle parole di Beatrice.90
Il pellegrino Dante ha dunque portato a termine l’eccezionale esperienza della contemplazione diretta del Sol Christi, grazie ad un primo passo di rinnovamento della vista, che gli permette di osservare anche Beatrice, sempre più splendente, in quanto riflesso del divino.
San Giovanni e la Carità. Un’ulteriore esperienza di abbaglio, seguita dal rinvigorimento della facoltà visiva, avviene al momento dell’incontro con San Giovanni, incaricato di sottoporre il pellegrino all’esame sulla virtù della Carità91
.
90 Garavelli – Corti 1994, p. 403.
91 Sul tema dell’abbaglio che lega l’esperienza di Dante al cospetto di San Giovanni con quella di San Paolo folgorato da Cristo sulla via di Damasco si veda Petrocchi 1988, p. 247.
La Commedia degli sguardi
Potenza evocativa e comunicativa degli occhi nel poema dantesco
162
L’accecamento temporaneo del poeta è dovuto al fissarsi del suo sguardo incuriosito sulla luce sfolgorante del santo, nel vano tentativo di scorgerne la sagoma del corpo
Qual è colui ch'adocchia e s'argomenta di vedere eclissar lo sole un poco,
che, per veder, non vedente diventa; 120 tal mi fec' ïo a quell' ultimo foco
mentre che detto fu: «Perché t'abbagli
per veder cosa che qui non ha loco? 123 (Par. XXV, 118-123)
In questi versi l’autore ammette la manchevolezza del proprio gesto, che si rivelerà tanto vano quanto rischioso, come colui che sforza la vista nel voler osservare un’eclissi e si acceca per la troppa presunzione. La vanità della pretesa è resa eloquentemente dalla paronomasia del v.120, che sottolinea l’assurdità e il paradossale risultato di colui che per voler vedere molto perde la vista totalmente. L’inutilità dello sforzo di Dante è presto spiegata da San Giovanni: il pellegrino vuole scorgere le fattezze di un corpo che in realtà non c’è, in quanto solo Cristo e la Vergine sono stati assunti in cielo con anima e carne.
La cecità temporanea del pellegrino rivela, quindi, fin da subito anche la sua essenza rituale e simbolica. Essa diventa in qualche modo la manifestazione della limitatezza dell’umano di fronte al divino, del necessario ammonimento a quella
curiositas folle e superba che spesso spinge l’essere umano ad oltrepassare il limite
imposto (come già Ulisse e Lucifero avevano dimostrato).
Ma il riacquisto della vista non tarda ad avvenire, stavolta su azione di Beatrice
così de li occhi miei ogne quisquilia fugò Beatrice col raggio d'i suoi,
che rifulgea da più di mille milia: 78
onde mei che dinanzi vidi poi; (Par. XXVI, 76-79)
La riconquista della facoltà visiva è operata dal raggio luminoso degli occhi della sua guida, che agiscono in modo attivo allontanando ogni impedimento, quasi
163
risvegliando la vista dal torpore e permettendone il potenziamento (onde mei che
dinanzi vidi poi).92
La “luce viva” del divino. La folgorazione più intensa avviene senza dubbio nel
canto XXX, nel momento della salita del pellegrino all’Empireo, dove Dante riceve il saluto di Dio, accolto dalla luce viva che lo avvolge totalmente
Come sùbito lampo che discetti li spiriti visivi, sì che priva
da l'atto l'occhio di più forti obietti, 48 così mi circunfulse luce viva,
e lasciommi fasciato di tal velo
del suo fulgor, che nulla m'appariva. 51 (Par. XXX, 46-51)
L’azione folgorante della luce è assimilata all’azione di un lampo improvviso, che ferisce la vista rendendola temporaneamente incapace di scorgere gli oggetti. Allo stesso modo il fulgor divino diventa una sorta di velo che ottunde la vista, provocando una cecità momentanea.
Si noti la raffinatezza della descrizione, in cui il verbo circunfulse rivela tutta la pienezza dell’abbraccio luminoso di Dio, che circonda e rifulge, con una forza straordinaria. Il verbo scelto da Dante a descrivere la luce da cui viene investito non è casuale, ma traduce il termine circumfulsit con cui San Paolo narra il suo accecamento (a cui seguirà la conversione) sulla via di Damasco, negli Atti degli Apostoli, 22, 6-11: «Factum est autem eunte me et adpropinquante Damasco, media die subito de caelo circumfulsit me lux copiosa».93
La riconquista della vista non tarderà anche in questo caso a manifestarsi, come già precedentemente, ancora una volta dopo la presa di coscienza (grazie alla rivelazione delle parole di Beatrice) di trovarsi nell’Empireo, al cospetto della Corte celeste
92 La natura attiva dello sguardo di Beatrice, che le permette al raggio degli occhi di uscire oltre che di essere ricevuto rimanda ad una possibile influenza del pensiero platonico oltre che aristotelico sul pensiero dantesco, in particolare nel Paradiso: si veda Podgurski 1998.
93 Gilson 2000, pp. 87-88. Sul rapporto tra la Commedia e il testo paolino, la cui ricezione è selettiva, si veda Petrocchi 1988.
La Commedia degli sguardi
Potenza evocativa e comunicativa degli occhi nel poema dantesco
164 Non fur più tosto dentro a me venute queste parole brievi, ch'io compresi
me sormontar di sopr' a mia virtute; 57 e di novella vista mi raccesi
tale, che nulla luce è tanto mera,
che li occhi miei non si fosser difesi; 60 (Par. XXX, 55-60)
Anche il lessico scelto mette in luce la conquista di una potenzialità rinnovata della vista, che diventa sempre più adatta a contemplare la meraviglia del divino. Il verbo sormontar rende perfettamente l’idea di un accrescimento di potenza, di ascesa progressiva delle facoltà visive: quella di Dante pellegrino è ormai una novella vista, uno sguardo rinnovato per il quale non esiste più alcuna luce in grado di abbagliarlo o dalla quale i suoi occhi non sappiano ormai difendersi.
La conquista della vista superiore è ormai avvenuta e Dante è finalmente pronto a godere dello spettacolo dell’Empireo, fino alla visione di Dio.