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Gli occhi attenti e fissi, lo sforzo della vista e la curiosità dantesca

Nel documento La Commedia degli sguardi (pagine 153-156)

3. Dante: lo sguardo del pellegrino alle soglie del Cielo

3.1. Gli occhi attenti e fissi, lo sforzo della vista e la curiosità dantesca

Uno dei caratteri che maggiormente concorre a delineare la figura del pellegrino Dante, caricandola di realismo e concretezza umana, è senza dubbio la curiosità, la vivacità di uno sguardo attento, scrutatore, che non rinuncia in nessun caso a trarre nutrimento dalle esperienze e dagli incontri che si delineano sul suo cammino. La salita alla meta suprema del Cielo, ancor più che nei due regni precedentemente attraversati, appare dunque il luogo quanto più adatto all’esprimersi continuo di stupore, curiosità e attrazione verso una realtà tanto straordinaria quanto ineffabile.

Un “disir” che non si cela. Il desiderio di conoscenza non tarda quindi ad

affacciarsi sul volto del pellegrino. In molti casi, infatti, pur tacendo, non riesce a nascondere il disir che pungola il suo animo

Io mi tacea, ma 'l mio disir dipinto m'era nel viso, e 'l dimandar con ello,

più caldo assai che per parlar distinto. 12 (Par. IV, 10-12)

Dopo l’incontro con gli spiriti degli inadempienti ai voti nel Cielo della Luna, Dante viene assalito da dubbi riguardo alla situazione di tali anime e si chiede come possa la violenza altrui diminuire i loro meriti. La sua incertezza non si esprime a parole, ma parla attraverso gli occhi, con un’eloquenza che supera qualsiasi discorso o domanda. E Beatrice, che sempre più in questo regno comunica col suo allievo attraverso il canale privilegiato dello sguardo, legge distintamente nel volto di Dante, preparandosi a sciogliere il nodo del dubbio.

La fervente attesa di Cristo. L’interesse dantesco si acuisce nel procedere del

cammino, proporzionalmente alla straordinarietà degli incontri che gli si presentano. Tra i momenti più intensi del percorso non si può non ricordare la trepidante attesa che prelude alla prima visione di Cristo, eccezionalmente sceso insieme alla Vergine

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Potenza evocativa e comunicativa degli occhi nel poema dantesco

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dall’Empireo al Cielo delle Stelle fisse. Ad acuire la suspance si aggiunge la vista di Beatrice, ritratta a sua volta in atteggiamento di contemplazione e sospensione

sì che, veggendola io sospesa e vaga, fecimi qual è quei che disïando

altro vorria, e sperando s'appaga. 15 (Par. XXIII, 13-15)

L’atteggiamento della donna, definita sospesa e vaga, si riflette così nella vista del pellegrino, che sembra assorbire inevitabilmente desiderio e speranza di partecipare alla miracolosa visione che di lì a breve si presenterà al loro cospetto.

Uno sguardo assetato di Verità. Altrettanto sorprendente è l’approdo di Dante e

della sua guida alle soglie dell’Empireo: dopo essere stato avvolto da una luce sfolgorante, il pellegrino si ritrova accolto in uno spazio dalla bellezza pressoché indescrivibile, una sorta di locus amoenus in cui un fiume di luce è adornato da fiori e gemme di ogni genere. In questo luogo il pellegrino Dante è chiamato a sforzare la propria vista per scorgere meglio ciò che lo circonda

Non è fantin che sì sùbito rua col volto verso il latte, se si svegli

molto tardato da l'usanza sua, 84 come fec' io, per far migliori spegli

ancor de li occhi, chinandomi a l'onda

che si deriva perché vi s'immegli; 87 e sì come di lei bevve la gronda

de le palpebre mie, così mi parve

di sua lunghezza divenuta tonda. 90 (Par. XXX, 82-90)

Nei vv.82-84 la similitudine accosta l’immagine del pellegrino a quella del bambino, a cui spesso il poeta si paragona nel suo viaggio. Come il neonato si rivolge spontaneamente alla ricerca del latte materno, così il poeta si riconosce assetato di conoscenza della Verità e desideroso di dissetarsi con il latte della beatitudine. Lo sguardo del poeta appare dunque avido, curioso; gli occhi si sforzano di vedere sempre meglio, facendosi migliori spegli, cioè specchi capaci di riflettere la pienezza di quella

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luce incommensurabile. La straordinaria capacità poetica si manifesta così nel sapiente gioco di richiami tra i campi semantici dell’acqua e del bere e quello della vista, permettendo una resa quasi concreta e tangibile di quel “bere con gli occhi” attraverso cui il pellegrino riesce via via a nutrire il proprio spirito, quasi «un mistico travaso di sostanza luminosa attraverso gli occhi, come di un latte di sapienza che nutra la sua anima».87

Un crescente ardore di contemplazione. Lo sguardo dantesco lungo il percorso

appare perciò sempre più attento e desideroso di attingere alla visione di tutto ciò che è luce, gioia e Verità. Tale tensione visiva cresce progressivamente, rivelando la maturazione di uno sguardo che riesce passo dopo passo ad avvicinarsi alla meta agognata. Si veda ad esempio il caso della contemplazione della Madonna, apparsa in tutto il suo splendore

Bernardo, come vide li occhi miei nel caldo suo caler fissi e attenti,

li suoi con tanto affetto volse a lei, 141

che ' miei di rimirar fé più ardenti. (Par. XXXI, 139-142)

Gli occhi del pellegrino, qui definiti fissi e attenti, sono ormai in grado di contemplare e trovare appagamento al loro desiderio. E la forza di tale sguardo sembra quasi contagiare lo stesso San Bernardo, che a sua volta rivolge l’attenzione alla contemplazione della Vergine, suscitando nuovo desiderio e ardore nella vista del pellegrino. Una sorta, dunque di progressione di ardore contemplativo, che investe i personaggi attraverso luce, calore d’amore, felicità, chiamati a dare degna risposta ad ogni sguardo assetato che, come quello dantesco, chiede di essere saziato.

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3.2. Uno sguardo rituale dall’alto: la presa di distanza dalle miserie

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