• Non ci sono risultati.

Fulminee ascese attraverso lo sguardo

Nel documento La Commedia degli sguardi (pagine 173-178)

4. Beatrice: gli occhi della guida, specchi del divino

4.1. Beatrice specchio di Dio: bellezza luminosa che aumenta, la salita con lo

4.1.2. Fulminee ascese attraverso lo sguardo

Lo sguardo di Beatrice, però, non è solo mediazione utile alla visione del divino per gli occhi ancora deboli del suo allievo, bensì diventa strumento di ascesa vera e propria che permette il passaggio da una sfera all’altra dei cieli. Così, ad esempio, avviene l’approdo al Cielo della Luna

Beatrice in suso, e io in lei guardava; e forse in tanto in quanto un quadrel posa

e vola e da la noce si dischiava, 24 giunto mi vidi ove mirabil cosa

mi torse il viso a sé; (…) (Par. II, 22-26)

Il v.22 ritrae perfettamente la reciprocità visiva tra Dante e Beatrice: questo è il solo indizio che viene fornito a spiegare la salita; il resto della descrizione si concentra sulla fulminea rapidità dello spostamento, che avviene attraverso gli occhi di Beatrice. Il

La Commedia degli sguardi

Potenza evocativa e comunicativa degli occhi nel poema dantesco

174

pellegrino quasi non fa a tempo a rendersene conto e giunto mi vidi ove mirabil cosa mi

torse il viso a sé.

La stessa rapidità caratterizza anche la salita improvvisa al Cielo di Mercurio, paragonata alla fulminea corsa di una freccia scoccata

Così Beatrice a me com' ïo scrivo; poi si rivolse tutta disïante

a quella parte ove 'l mondo è più vivo. 87 Lo suo tacere e 'l trasmutar sembiante

puoser silenzio al mio cupido ingegno,

che già nuove questioni avea davante; 90 e sì come saetta che nel segno

percuote pria che sia la corda queta,

così corremmo nel secondo regno. 93 Quivi la donna mia vid' io sì lieta,

come nel lume di quel ciel si mise,

che più lucente se ne fé 'l pianeta. 96 (Par. V, 85-96)

Mentre il pellegrino è assorto a contemplare la sua guida, anch’essa tacitamente rivolta tutta disiante verso il cielo, avviene lo spostamento rapidissimo e istantaneo, a cui segue il tramutarsi ancor più luminoso e lieto della donna.

Gli indizi della salita – splendore accresciuto di Beatrice. Il passaggio da un cielo all’altro, come visto, è rapido, quasi impercettibile per il pellegrino Dante, che improvvisamente si trova trasportato, con movimento passivo, in altri luoghi.97 A suggerire l’approdo ad una nuova dimensione accorre spesso il presentarsi agli occhi del poeta di un’atmosfera diversa, scandita da colori e luce differente. Ma un altro indizio risulta ben più pregnante per la presa di coscienza di tali passaggi, ovvero l’accrescersi della bellezza di Beatrice, che si illumina via via di luce sempre più sfolgorante e viva. È il caso, ad esempio, della salita al Cielo di Venere

97 Sul movimento istantaneo della salita, avvicinabile all’assenza di tempo che caratterizza visioni o processi cognitivi si veda Cornish 1995, pp. 234-236.

175 Io non m'accorsi del salire in ella;

ma d'esservi entro mi fé assai fede

la donna mia ch'i' vidi far più bella. 15 (Par. VIII, 13-15)

Si scopre così man mano che la bellezza della donna si accresce con l’avvicinarsi all’Empireo, attraverso l’aumento dello splendore del viso, del sorriso e della luce divina che traspare dal suo sguardo beato. Secondo alcune letture tale crescita di luce avrebbe valore simbolico profondo, testimoniando la maturazione interiore non tanto della donna, quanto dello stesso poeta: «Come sempre Beatrice è lo specchio dell’animo di Dante: non è lei in realtà che cresce, ma lui».98

Lo stesso fenomeno di aumento di luce e splendore si registra pressoché in tutti i trapassi compiuti dal poeta e dalla sua guida verso i cieli successivi; accade ad esempio anche per la salita al Cielo di Giove (Par XVIII, 52-57), in cui gli occhi di Beatrice, dette luci si fanno tanto mere, tanto giocondeda superare in luminosità e purezza ogni cosa circostante.

Nel momento dell’arrivo al settimo cielo, quello di Saturno, è poi la stessa Beatrice a riferire la natura del suo splendore, che ammette di trattenere volontariamente in questo frangente per non accecare il pellegrino

E quella non ridea; ma «S'io ridessi», mi cominciò, «tu ti faresti quale

fu Semelè quando di cener fessi: 6 ché la bellezza mia, che per le scale

de l'etterno palazzo più s'accende,

com' hai veduto, quanto più si sale, 9 se non si temperasse, tanto splende,

che 'l tuo mortal podere, al suo fulgore,

sarebbe fronda che trono scoscende. 12 (Par. XXI, 4-12)

Beatrice è consapevole della forza della sua bellezza che per le scale de l'etterno

palazzo più s'accende, che aumenta, cioè, man mano che ci si avvicina a Dio, la cui

La Commedia degli sguardi

Potenza evocativa e comunicativa degli occhi nel poema dantesco

176

dimora è paragonata alla magnificenza di una reggia. La donna afferma di non sorridere come suo solito per non ferire il mortal podere, la vista ancora debole di Dante, che altrimenti rimarrebbe accecato, come un ramo schiantato da un fulmine.

Tessere l’elogio di Beatrice, specchio di Dio. Il potere ineguagliabile, dunque,

che si sprigiona dallo sguardo di Beatrice non può che attrarre il pellegrino Dante, che ne tesse l’elogio e ne viene continuamente catturato, in una sorta di estasi mistica, dalla quale trae nutrimento e gioia

La mente innamorata, che donnea con la mia donna sempre, di ridure

ad essa li occhi più che mai ardea; 90 e se natura o arte fé pasture

da pigliare occhi, per aver la mente,

in carne umana o ne le sue pitture, 93 tutte adunate, parrebber nïente

ver' lo piacer divin che mi refulse,

quando mi volsi al suo viso ridente. 96 (Par. XXVII, 88-96)

In questi versi il poeta afferma il desiderio incontenibile, l’ardore che lo spinge a contemplare gli occhi di Beatrice, dalla quale la sua mente rimane sempre rapita e come innamorata (si noti la scelta del verbo donnea, tipico della lirica cortese). La bellezza, lo splendore divino della donna è tale che, dice il poeta, nessun altro oggetto desiderabile presente in natura (pasture) potrebbe eguagliare il piacere derivante dalla contemplazione estatica di Beatrice: tale gioia è piacer divin, poiché riflesso divino è la sua stessa sostanza.

Beatrice, infatti, partecipa direttamente del fulgore divino, in quanto creatura beata. Essa ne diviene, come detto, vero e proprio riflesso di luce, tanto che l’autore non manca di accostare l’immagine della donna a quella dello specchio. In questo senso, dunque, Beatrice diviene specchio di Dio, superficie su cui la luce divina si riflette, irradiandosi attraverso quegli stessi occhi nell’atmosfera circostante e illuminando chiunque ne venga toccato. Dante può quindi dire di poter vedere Dio stesso, attraverso i raggi divini che si diramano dagli occhi della sua guida

177 Tanto poss' io di quel punto ridire,

che, rimirando lei, lo mio affetto

libero fu da ogne altro disire, 15

fin che 'l piacere etterno, che diretto raggiava in Bëatrice, dal bel viso

mi contentava col secondo aspetto. 18 (Par. XVIII, 13-18)

Il poeta si sente come liberato da qualsiasi desiderio, che si annulla e perde di valore guardando gli occhi di Beatrice; il piacere etterno, infatti, la gioia piena del divino, lo appaga in modo pieno, raggiungendolo attraverso la mediazione dello sguardo della sua guida. Seppure, dunque, come secondo aspetto, cioè come immagine riflessa e non diretta di Dio, il pellegrino fa esperienza eccezionale del contatto col divino, reso possibile proprio grazie al potere trasmissivo dello sguardo di Beatrice.

Così, infine, in un altro passo l’autore si serve esplicitamente della similitudine con lo specchio per raffigurare la natura degli occhi della donna

come in lo specchio fiamma di doppiero vede colui che se n'alluma retro,

prima che l'abbia in vista o in pensiero, 6 e sé rivolge per veder se 'l vetro

li dice il vero, e vede ch'el s'accorda

con esso come nota con suo metro; 9 così la mia memoria si ricorda

ch'io feci riguardando ne' belli occhi

onde a pigliarmi fece Amor la corda. 12 (Par. XXVIII, 4-12)

Il poeta ritrae séstesso nell’atto di guardare negli occhi Beatrice e poi voltarsi a vedere direttamente se ciò che ha visto corrisponde a realtà. Per farlo si paragona a colui che vede riflesso in uno specchio la fiamma di un candeliere doppio che splende alle sue spalle e si volta per vedere se tale visione è reale, appurando che è così.99

99 Mocan 2007, pp. 141-142 nota che da questo momento in avanti quanto contemplato negli occhi di Beatrice è perfettamente aderente al vero, realtà e immagine si equivalgono: si passa dalla conoscenza per

La Commedia degli sguardi

Potenza evocativa e comunicativa degli occhi nel poema dantesco

178

In particolare si noti il poliptoto vista…veder…vede (vv.6-8) che suggerisce anche linguisticamente il gioco speculare di sguardi e visioni. Gli occhi di Beatrice appaiono dunque come la superficie di uno specchio, sulla quale il pellegrino riesce a scorgere l’improvvisa apparizione di Dio, prima ancora che con i suoi stessi occhi. La funzione speculativa dello sguardo di Beatrice richiama la nozione di vista per speculum che trova la sua più alta esemplificazione nel passo biblico della prima lettera ai Corinzi, in cui San Paolo affermava che in statu viatoris (cioè nella condizione propria umana di pellegrino in viaggio), Dio è visibile solo in modo indiretto o per speculum et in

aenigmate.100 Ecco, dunque, che anche l’ascesa di Dante pellegrino verso il cielo risulterà indiretta, mediata dall’intervento salvifico di Beatrice, che agisce come indizio, specchio visibile del divino.

Si ricordi, a tale riguardo, come qualcosa di simile fosse già accaduto nel Paradiso terrestre, quando Dante aveva potuto scorgere la doppia natura di Cristo, che era invece ridotta alla sua vista, solo attraverso gli occhi di Beatrice (cfr. Purg. XXXI).

Nel documento La Commedia degli sguardi (pagine 173-178)