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Capitolo VI Gli Unrochingi in Friul

6.2. Berengario I re e imperatore

Quando nell’888 in seguito alla morte di Carlo il Grosso, ultimo erede diretto di Carlo Magno, Berengario venne incoronato re, era la seconda volta nella storia dell’Italia postromana che

688 La Rocca, Provero, The dead, cit. a p. 259.

689 La Rocca, Provero, The dead, cit. a p. 272: “The family was committed to establishing a territorial power in

Friuli not only as a political base from which to pursue royal aspirations, but also as the core of a territorial princedom. Friuli began, with Eberhard’s family, to function as a platform for individual and family success, and it did so in terms both of the office of the countship (or dukedom) and of the territorial district with which the office was linked. Continuity was achieved in both respects”.

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un signore del Friuli riuscisse a conquistare il trono del regno. Prima di lui Ratchis ed Astolfo, i figli del duca Pemmone, occuparono stabilmente il trono longobardo partendo dalle loro basi di potere nel Friuli e dell’Austria. Il tutto accadde entrambe le volte senza scatenare una guerra civile, benché successivamente, nel caso di Berengario, il nuovo re dovette difendersi da numerosi pretendenti. Se diversi sono i perché ed i come che hanno portato al raggiungimento della conquista del titolo regale nel 746 come nell’888, identiche sono le basi del potere di Ratchis, Astolfo e Berengario. I marchesi del Friuli, come i precedenti duchi longobardi della regione, erano infatti posti a difesa dei passi alpini e della “falla” nelle Alpi, una posizione strategica che facilitò invero anche il loro passaggio al di là dei monti690. Le

incursioni dei duchi longobardi in territorio slavo per fare bottino, o esigere tributi, furono però tipologicamente diverse da quelle di conquista e sottomissione perseguite dai Franchi. Tuttavia entrambi non volsero il proprio sguardo solo ad est. Gli interessi di questi due gruppi di potere aristocratici, benché distanti nel tempo, si eguagliano proprio quando si rivolgono ad ovest, al regno, al centro691. Così accadde che la frontiera condizionò la fisionomia

dell’aristocrazia immigrata nella regione, e in due diverse occasioni offrì ai gruppi aristocratici volti alla sua difesa le basi per espandersi ad ovest e arrivare ai vertici del regno692.

Una volta tornato in Italia, dopo aver ereditato l’ufficio prima occupato dal fratello, Berengario diede avvio ad una coerente e decisa politica italiana abbandonando ogni interesse per il resto dei possessi della sua famiglia. Sposò Bertilla, la figlia di Suppone II e Berta figlia del conte di Piacenza693. L’alleanza matrimoniale con i Supponidi non era una novità per gli

Unrochingi, una zia paterna di Berengario aveva infatti sposato Suppone III. Berengario trovò nei Supponidi dei buoni alleati che lo sostennero nelle sue scelte politiche a favore del

690 Arnaldi, Berengario I.

691 Gasparri, Istituzioni, cit. a p. 11: “Per la seconda volta, nell’arco di poco più di un secolo, l’elevato potenziale

militare del Friuli, conseguenza diretta della sua stessa esistenza come organizzazione territoriale votata alla difesa dei confini orientali, si indirizzò alla conquista del potere centrale”.

692 Gasparri, Istituzioni, cit. a p. 12.

693 Arnaldi, Berengario; Lazzari Tiziana, Una mamma carolingia e una moglie supponide: percorsi femminili di

legittimazione e potere nel regno italico. [A stampa in “C’era una volta un re…”. Aspetti e momenti della regalità,

a cura di G. Isabella, Bologna 2005 (Dpm quaderni – Dottorato 3), pp. 41-57 C dell’autroice – Distribuito in formato digitale da “Reti Medievali”], cit. a p. 54: “I Supponidi si erano legati ormai dalla

metà del secolo, e strettamente, con a discendenza degli Unrochingi da cui nasceva Berengario I. Sostennero le lotte per il regno di Berengario e, ancora una volta, la regina del regno fu una donna dellla loro discendenza, Bertilla, la prima moglie di Berengario”. La famiglia dei Supponidi era una delle più importanti dell’Italia post-carolingia,

possedevano infatti numerosi uffici pubblici in area padana, fra cui Brescia, Parma, Piacenza e Modena. “Ma l’elevatissima qualità delle loro parentele e il conseguente impegno nel conflitto di potere ai livelli più

alti li avrebbe visti operare su spazi più ampi, e anche ricondursi episodicamente a Spoleto (fra l’871 e l’875) in antagonismo a un’altra grande dinastia”. Cammarosano, Nobili e re, cit. a p. 177.

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partito filo-germanico, favorevole prima a Carlomanno e poi a Carlo il Grosso694. di cui era

in un certo modo il capofila. Dopo la morte dell’ultimo carolingio l’aristocrazia laica ed ecclesiastica italiana scelse Berengario, che poteva vantare di possedere nelle sue vene il prezioso sangue dei discendenti di Carlo Magno. La parentela con gli ultimi imperatori carolingi e la famiglia imperiale non fu però l’unico fattore che permise a Berengario di accedere al trono, a sostenere la sua pretesa ebbe un peso preponderante anche il potere regionale che aveva ereditato da suo fratello695. La marca del Friuli era infatti una delle regioni

più vaste di tutto il regno, capace di mobilitare in breve tempo un gran numero di cavalieri temprati dai continui conflitti con i vicini Slavi. Il territorio che Berengario ereditò da suo fratello Unroch era anche più vasto di quello che ebbe in ufficio suo padre. Se riteniamo che la scrittura del testamento di Everardo e Gisela a Treviso significhi che anche questa città era ora dominio dei marchesi del Friuli, negli Annales Fuldenses leggiamo che Berengario possedette i territori fino all’Adda “quasi hereditario iure696”, ben al di là dei territori originari

del Friuli. Il testo in questione parla della divisione temporanea del regno che avvenne fra Lamberto e Berengario dopo la morte del padre del primo di questi Guido; i due si divisero infatti il regno sulla linea dell’Oglio e dell’Adda. Si ricomponeva così, sotto l’autorità del marchese del Friuli, quella macroregione conosciuta in periodo longobardo col nome di Austria697. La stessa marca che sotto il governo di Baldrico dai confini occidentali del Piave

si era estesa fino all’estrema frontiera del regno con l’annessione di Carinzia e Carniola; ora, amputata di questi territori si era protesa sempre più verso ovest, arrivando ad occupare tutta l’Italia nordorientale. Non dobbiamo però credere che il territorio dall’Adda all’Istria appartenesse per ufficio al detentore della marca friulana. Molto probabilmente infatti gli

694 Rosenwein Barbara H., Negotiating space. Power, restraint, and privileges of immunity in early medieval

Europe, Cornell University Press/ Ithaca, USA, 1999, cit. a p.140: “All those families consolidated their position in Italy through their control of property; canny alliances of friendship, lordship, and marriage; and careful cultivation of Carolingian ties and traditions”.

695La Rocca, Provero, The dead and ther gifts, cit. a p. 239: […] “It was to be the associaton of Gisela’s imperial

lineage and Eberhard’s regionally-based power that legitimised Berengar’s quest to become king of Italy and then Emperor”.

696Annales Fuldenses, Script. Rerum Germ. in usum school., VII Hannoverae 1891, ad annum 896, cit a p.

129: “Post mortem etiam Waltfredi Foroiulii marchesis, qui militum fideliter ad imperatorem Veronam contendendo

retinuit, ilico Perengarius Regnum Italicum invasit et usque ad flumen Adduam quasi hereditario iure contra Lantbertum in participationem receipt”. Gasparri, Istituzioni, cit. a p. 11: “Il controllo del Trevigiano, del resto, per I motivi di sicurezza militare già evidenti nel diploma carolino del 792, era indispensabile per il duca friulano, la cui autorità si riverberava sul territorio dell’antica Austria”.

697 Gasparri, Dall’età longobarda al X secolo, cit. a p. 16: “[…] cioè si spartì il regno con Lamberto tenendosi oltre

il Friuli e l’Istria, Ceneda, Treviso, Vicenza, Monselice; forse anche Verona e Brescia. L’allusione ad una sorta di diritto ereditario di Berengario su quelle zone, se è corretta, estenderebbe ad esse la stessa antichità che il dominio degli Unrochingi aveva sulla marca friulana: farebbe cioè supporre che esse, e in particolare il comitato di Treviso, fossero state già sotto il governo di Everardo”.

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Unrochingi univano al proprio ufficio pubblico anche possedimenti privati e fedeltà vassallatiche, in quel tipico puzzle di pubblico e privato che era la società medievale698. Al

centro dei domini di Berengario v’era Verona, la roccaforte del re nei momenti più bui del suo governo del regno. In questa città si trovava Walfredo, uno dei conti più fedeli di Berengario, che venne insignito del titolo di marchese dopo l’ascesa al trono dell’Unrochingio699. Dobbiamo quindi immaginare Verona che era ora il centro di quella

grande marca friulana che gli Unrochingi avevano costruito unendo diritti pubblici e privati. La città acquista in questo torno di anni sempre più importanza, non solo perché diventò la sede della corte di Berengario, ma soprattutto grazie alla sua felice posizione nel mezzo dei percorsi che dal nord e dall’est portavano i mercanti in Italia700. Non solo Verona, ma anche

Brescia era saldamente legata al nuovo re d’Italia, nel monastero di S. Salvatore diverrà infatti badessa sua figlia Berta, mentre una sua sorella, Gisela, vi si trovava già come suora701.

Divenuto re, Berengario perseguì una politica prettamente italiana, sia disinteressandosi degli altri regna successori dell’impero, su cui poteva vantare un labile diritto, sia attraverso una serie di operazioni volte a rafforzare l’identità e l’indipendenza del regno d’Italia702. Nell’889

insieme a sua moglie e sua figlia fece infatti traslare le reliquie di S. Giulia nel monastero di S. Salvatore per aumentarne il prestigio, - e proprio dalle reliquie della nuova santa il monastero prenderà il suo nuovo nome -, ma non solo: ripropose anche il culto dei suo fondatori, il re dei Longobardi Desiderio e sua moglie Ansa. Tutta una serie di operazioni “fortemente connesse all’idea di rivalutare anche sul piano della memoria e della legittimazione caratteristiche

propriamente “italiche” del cenobio femminile […]703”, al fine di radicarsi con maggiore

698 Gasparri, Istituzioni, idem: “Fra i suoi possessi [di Everardo] figurano beni fiscali e familiari, e ciò dimostra

la compenetrazione dei due settori del patrimonio, che aveva ormai inglobato, là dove almeno era più radicato, anche le terre di provenienza pubblica”.

699 Walfredo lo incontreremo più volte durante tutta la prima parte dell’azione di Berengario come re.

Eletto “illuster marchio” da Berengario, fu presente a fianco del re nella battaglia sul Trebbia dove viene citato anche dall’autore dei Gesta Berengarii. Nell’895 però Walfredo si alleò ad Arnolfo abbandonando Berengario e durante la seconda discesa del re germanico chiuse le porte della città al re Unrochingio. Sarà solo con la morte di questi che Berengario poté rientrare a Verona dove aveva ancora stretti legami di amicizia e fedeltà.

700 A riprova della vivacità non solo politica ma anche economica della città di Verona è il Versus de

Verona, nelle già citate Laudes Veronensis civitatis. La città, che per la terza volta dalla caduta dell’impero

romano si trovava ad essere la sede di una corte regia, viene decantata per le sue mura di pietra, (murificata firmer), per le sue torri (octo turres fulgent per ciruitum), la grande piazza, (Foro lato spatioso sternuto

lapidibus), ed infine per la sua posizione favorevole, (Nam te conlaudat Aquilegia, te conlaudant Mantua,

/Brixia, Papia, Roma, simul et Ravenna,/ per te portus est undique in fines Liguriae).

701 Arnaldi, Berengario I.

702 Berengario perseguì una politica totalmente italiana abbandonando ogni altra proprietà al di fuori

del regno, tanto che Barbara Rosenwein lo definisce un maverick, “cane sciolto”. Negotiating space, cit. a p. 141.

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determinazione nell’Italia del nordest. Nonostante la legittimazione derivante dal sangue carolingio e al prestigio dovuto alla carica di marchese del Friuli, Berengario dovette combattere fin da subito per il suo diritto alla corona del regno. Il nostro, che Cammarosano definisce “piccolo re”, dovette infatti lottare contro i numerosi pretendenti che l’aristocrazia italiana a lui invisa gli muoveva contro, e contro la nuova minaccia degli Ungari. Dopo la prima disastrosa sconfitta subita contro i Magiari sul fiume Brenta, Berengario, con un prestigio personale a terra e consapevole di non poter più raccogliere un grande esercito capace di affrontare gli invasori, cambiò strategia704. Astutamente non solo offrì tributi agli

Ungari, ma più volte li arruolò come mercenari nel suo esercito; ma soprattutto permise a numerosi enti privati del regno di fortificarsi in vista della minaccia delle incursioni nemiche. Si ripropose ancora una volta quell’atteggiamento cinico e machiavellico che abbiamo già visto in Agilulfo e Grimoaldo, che in funzione anti-friulana invitarono gli Avari in Friuli per eliminare i loro concorrenti politici, questa volta però era il signore stesso del Friuli a richiedere l’arrivo degli Ungari per combattere i suoi rivali politici. In seguito permettere agli enti privati di fortificarsi fu il culmine di una strategia sapientemente adottata per raggiungere due diversi obiettivi. Il primo era alleggerire il dovere del re e dello “stato” di difendere il regno dagli assalti dei nemici, permettendo la costruzione di mura e fortezza ai privati – spesso si trattava di città, nobili o enti religiosi – si risparmiavano così infatti i soldi dell’erario. In secondo luogo Berengario poteva così favorire i propri fedeli; garantendo privilegi di costruzione e fortificazione ai suoi vassalli e ai suoi alleati705. Non solo né -letteralmente-

fortificava la posizione, ma si assicurava anche il loro pieno sostegno. Come ha dimostrato infatti Barbara Rosenwein, il raggio d’azione di questa politica “fortificatoria” del re era “teso

ad irrobustire una ramificata clientela installata nell’Italia nord-orientale706”. Di cui anche le numerose

divisioni del regno d’Italia come confine l’Adda che riguardarono il regno di Berengario: tutti personaggi e gli enti ecclesiastici a cui elargì diplomi erano infatti presenti in questa vasta regione, che era dunque estremamente fedele al re di stirpe Unrochingia707. A riprova del

fatto che la maggior parte dei diplomi non fossero dovuti alla debolezza della posizione del sovrano, come proponeva la vecchia storiografia, è anche il fatto che tutte le concessioni

704 Wickham, L’Italia, cit. a p. 220.

705 Rosenwein Barbara H., Negotiating space. Power, restraint, and privileges of immunity in early medieval

Europe, Cornell University Press/ Ithaca, USA, 1999, cit. a pp.137-155.

706 Gasparri, Istituzioni, cit. a p. 12. Il numero di diplomi che il re rilasciò a personaggi o enti di spicco

dell’area veronese è infatti altissimo, a seguire troviamo i diplomi indirizzati ai maggiorenti del Friuli, di Brescia, Bergamo, Padova, Treviso, Ceneda, Capodistria e Cremona.

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avvennero in un periodo storico, (905-919), in cui non è attestata dalle fonti alcuna incursione ungara in Italia.

Berengario I non vinse mai una battaglia. Stando alle fonti storiche e letterarie giunte fino a noi, non riuscì mai a vincere una battaglia: sul Trebbia, sul Brenta e a Fiorenzuola d’Arda fu sempre sconfitto nonostante a parità di uomini o in superiorità numerica. Riuscì d’altra parte a rialzarsi sempre in piedi e, approfittando di una base di potere molto forte e difficilmente conquistabile, a riprendere ogni volta il trono. Fu un vile tradimento infine a fermarlo, malgrado le numerose sconfitte dobbiamo valutare positivamente l’operato di questo re postcarolingio. Berengario riuscì infatti a regalare al regno d’Italia ben quattordici anni di pace, (905-919), arrivando pure a conquistare, con tutti i suoi nemici ancora vivi e vegeti, la corona imperiale nel 915708. Attraverso l’utilizzo di una sapiente diplomazia, della minaccia

di pressione armata, di offerte di tributo ed un incoraggiamento costante alla fortificazione, Berengario riuscì a pacificare il regno e a portare per ben trentasei anni, 888-924, la corona d’Italia. Come accadde per i sovrani longobardi del Friuli, la più grande minaccia al loro potere non furono le pressioni delle popolazioni esterne, che in qualità di difensori delle frontiere orientali del regno conoscevano bene, bensì la stessa opposizione interna. La base della forza dei re altomedievali era infatti l’appoggio dell’aristocrazia; fintantoché gli aristocratici non solo erano fedeli, ma favorevoli ai progetti del re, lo stato poteva funzionare senza problemi. Una volta che i re perdevano il consenso della loro aristocrazia, allora nascevano rivolte e ribellioni con la conseguente rottura degli schemi di fedeltà pubblica e il blocco dello stato709. Il nuovo peso e la nuova importanza che il governo di Berengario

avevano portato al Veneto e a Verona fecero passare sempre più in secondo piano il Friuli, che nella sua nuova veste prettamente difensiva era ritornato sui confini delle Alpi. Ritengo comunque eccessivo il giudizio di Wickham secondo cui “Durante il regno di Berengario il Friuli

aveva cessato di esistere”. Questo avvenne infatti solo nel 952, quando, durante la dieta di

Augusta, la marca del Friuli fu riorganizzata nella nuova marca di Verona ed Aquileia per volere di re Ottone I di Sassonia. Allora sì che il Friuli cessò di avere quella sua funzione di antemurale contro le invasioni o di base per successive conquiste, per diventare la via d’accesso all’Italia degli imperatori germanici.

708 Cammarosano, Nobili e re, cit. a p. 221. 709 Wickham, L’Italia, cit. a p. 244.

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Capitolo VII