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Da Ludovico II alla fine dell’impero franco

Con l’avvento al trono d’Italia di Ludovico II, figlio di Lotario, il regno ebbe finalmente un potere centrale molto forte, capace di indirizzare le energie dell’aristocrazia ad un fine comune come la lotta anti-saracena; nello stesso tempo però vi fu la costante provincializzazione dell’aristocrazia che si radicò nel territorio dove svolgeva dovei pubblici514. L’azione di questo nuovo sovrano si concentrò fin da subito nel riordino del

regno, che perseguì attraverso una vasta attività legislativa di cui abbiamo una vasta conoscenza. Intanto all’interno del regno italico la fusione fra le élites immigrate di Franchi ed Alamanni con il substrato longobardo avveniva senza problemi515. Anzi, l’inserimento di

questi nei luoghi di potere li fece presto integrare nelle dinamiche politiche e sociali del regno. La maggiore ricchezza dell’aristocrazia franca rispetto a quella longobarda agevolò anche la creazione di vasti seguiti e fedeltà, che giocheranno successivamente a livello locale e nazionale un ruolo molto importante nelle lotte per la corona ferrea516. Le confische dei duchi

ribelli in Friuli e nel nordest aiutarono ancora di più la nuova aristocrazia d’oltralpe ad inserirsi nella società, assumendo velocemente le stesse funzioni e caratteristiche dell’aristocrazia longobarda che era stata sostituita. Come abbiamo visto infatti la caratterizzazione militare dei nobili friulani non era venuta meno, era stata anzi implementata dal forte dinamismo dei Franchi e dalla ora più costante attività bellica in funzione anti-slava. Così i nobili del nordest divennero velocemente i difensori dei confini e catalizzarono, ancora una volta, intorno alla loro funzione militare potere e ricchezze, che venivano però dispersi una volta che il conte veniva deposto o sostituito dall’imperatore o dal re.

Il regno di Ludovico II aveva rafforzato il potere regio e, quindi, quello dei conti, che ne divennero lo strumento. Appoggiatosi infatti su quella aristocrazia imperiale, Reicharistokratie, che doveva le sue fortune alla fedeltà all’imperatore, ora che l’unità dell’impero era venuta meno, queste famiglie si erano radicalizzate sempre di più nei vari regni dove si trovavano,

514 Castagnetti, Il Veneto, cit. a p. 46. 515 Castagnetti, Il Veneto, cit. a p. 47.

516 L’aristocrazia di origine franca era nettamente più ricca di quella longobarda, come sostiene nel

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aumentando così di riflesso il proprio potere e le proprie ricchezze517. La scomparsa del

sovrano senza eredi nell’857 aprì nel regno italico una profonda crisi, comune in questo periodo in tutte le altre regioni che avevano formato l’impero carolingio. Le forze disgregatrici che si muovevano al suo interno, e che paradossalmente erano state rafforzate dall’azione regia, erano divenute ormai difficilmente contrastabili.

Pretendenti al trono di Pavia erano ora Carlo II detto il Calvo, e Carlomanno, figlio di Ludovico il Germanico. Il primo venne quindi innalzato imperatore alla fine dell’875 dal pontefice e incoronato re d’Italia. È proprio durante questa difficile crisi monarchica che iniziarono ad inserirsi pesantemente nella successione al trono i notabili del regno, appoggiando l’uno o l’altro dei contendenti, e cercando di far eleggere il proprio favorito. Uno dei protagonisti di questo periodo è Berengario, figlio di Everardo e marchese del Friuli518. Come abbiamo visto Everardo divenne conte del Friuli intorno agli anni trenta del

IX secolo. Sostituto di Baldrico nella guida della marca orientale, fu a capo della regione per quasi trent’anni, combattendo alacremente sia contro gli Slavi che contro i Saraceni519.

Membro di quell’aristocrazia imperiale che si stava espandendo all’interno dell’impero, genero di Ludovico il Pio, di cui aveva sposato la figlia Gisela, e attivo sostenitore delle pretese di Lotario negli anni centrali dell’800, riuscì, per primo dalla morte di Astolfo, ad instaurare una dinastia nel Friuli tramandando la sua carica al figlio Unhroch520. Alla morte

del primogenito fu Bernardo, il secondogenito, ad ereditare la marca friulana, che veniva ormai considerata, nel vasto processo di regionalizzazione e radicamento delle famiglie aristocratiche, come un bene personale della sua famiglia521.

Con la morte di Ludovico II si fronteggiarono in Italia del nord grossomodo due grandi partiti: uno filofranco che spingeva per far eleggere Carlo il Calvo, mentre l’altro, filotedesco, che appoggiava l’elezione di Carlomanno, figlio di Ludovico il Germanico522. Alla fine a

517 Wickham, L’eredità, cit. a p. 437 e 443. “[…] più importante dell’ascesa dell’aristocrazia fu la sua crescente

regionalizzazione, riflesso, paradossalmente, del potere regio”. Gasparri, La Rocca, Tempi, cit. a p. 276: “Nel centro-nord, essa si appoggiava sui vassalli più potenti, tra i quali i principali erano i Supponidi, titolari di varie contee, e i marchesi del Friuli, di Ivrea, della Tuscia, di Spoleto, tutti appartenenti a grandi famiglie di immigrati transalpini”.

518 Berengario sarà il primo fra i signori della marca friulana ad essere indicato con il nome di marchese

e non di conte o duca; Gasparri, Istituzioni, cit. a p. 8.

519 Andrea da Bergamo, Chronicon, 13: “Multa fatigatio Langobardi et oppressio a Sclavorum gens sostinuit,

unsque dum imperator Foroiulanorum Ebherardo principem constituit”.

520 Ibidem: “Eo defuncto, Unhroch filio suo principatum suscepit”.

521 È questa la dinastia detta degli Unrochingi per via del capostipite Unhroch, padre di Everardo e

nobile Neustriano delle Fiandre. Gasparri, Istituzioni, cit. a p. 11.

522 Wickham, L’Italia, cit. a p. 216: “Il periodo 875-905 ha una certa omogeneità. È più utile considerarlo come

teatro di un’antitesi continua fra due fazioni dell’aristocrazia italiana laica ed ecclesiastica; una parte favorevole ai re con collegamenti coi Franchi o coi Burgundi, l’altra favorevole ai Germani”. Delogu, Lombard and Carolingian Italy,

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trionfare fu il partito “francese”, che riuscì a far riconoscere più volte, nel febbraio dell’876 ed in un concilio convocato a Ravenna, l’elezione del proprio favorito. Leggendo i nomi dei vescovi che presenziarono alle due diete ci rendiamo facilmente conto di come si erano divisi i grandi del regno: in entrambe mancano infatti tutti i vescovi appartenenti all’area metropolitica di Aquileia, insieme al patriarca di Aquileia stesso, al vescovo di Mantova, di Vicenza, di Padova, di Treviso, di Concordia, di Ceneda, di Belluno e Feltre523. Praticamente

tutti i vescovi dell’area nordorientale della penisola, coincidente con i domini di Berengario del Friuli che appoggiava invece la candidatura di Carlomanno. Berengario si era infatti rifiutato di appoggiare Carlo il Calvo, sostenendo invece Carlomanno, che governava al tempo la Carinzia, regione non solo confinante con il Friuli, ma per tradizione strettamente legata politicamente ed economicamente alla marca friulana524. Carlomanno scese allora in

Italia da cui scacciò Carlo il Calvo che morì nell’877. In questo breve torno di anni morirono tutti i regnanti di sangue carolingio, gli unici veri e possibili pretendenti al trono; fra questi anche Carlomanno. Fu così che l’unico erede maschio della dinastia iniziata da Pipino di Heristal fu Carlo III detto il Grosso, ultimo figlio di Ludovico il Germanico. Questi, appoggiato anche dal partito filotedesco di Berengario, divenne re d’Italia nell’879 e imperatore nell’881. Ultimo discendente di Carlomagno ereditò tutti i regni dell’impero, riunificandolo per la prima ed ultima volta dall’840, anno della morte di Ludovico il Pio. Con la morte di Carlo il Grosso nell’888, non morì solo l’unico discendente di linea maschile della casata carolingia, ma anche l’idea stessa di unitarietà dell’impero525.

523 Castagnetti, Il Veneto, cit. a p. 60.

524 Girolamo Arnaldi, Berengario I, in Dizionario Bibliografico degli Italiani, “I custodi del limes Avaricus (o

Pannonicus) tendevano naturalmente a militare nello stesso campo”.

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