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Nell’odierno dibattito riguardo la trasformazione delle frontiere romane durante l’alto medioevo, ritengo sia corretto porsi in una posizione moderata, evitando gli estremi verso cui tendono storiografie contrapposte170. Parlare di frontiere oggi suscita d’altra parte anche

lo spettro di un dibattito politico fortemente caratterizzato da una presa di posizione ideologica171, per questo è bene sottolineare che: “Se non si deve eccedere nel considerare le Alpi come

170 La discussione storiografica intorno alla caduta dell’impero romano, il perché – o i perché – e la

nascita del mondo medievale si trascinano da secoli, e da alcuni anni a questa parte hanno ritrovato nuovo vigore. Questione che si è ora incentrata sull’emigrazione dei popoli barbarici dalla periferia al centro dell’impero. Sono queste delle vere e proprie Grand Invasions, come hanno spesso visto storici di paesi mediterranei e di origine latina, o delle Völkerwanderung, delle migrazioni di popoli come invece insisteva la storiografia tedesca? Ad oggi possiamo identificare tre diverse linee storiografiche. La prima, tradizionale, tende a sottolineare il carattere violento e “apocalittico” della caduta dell’impero romano. Causa principale fu l’arrivo in massa di popolazioni barbariche che portarono alla crisi dello stato e alla sua caduta; a ridare linfa a questa teoria è stato di recente Ward Perkins. Dal lato opposto vi è un insigne storico come Goffart, che sottolinea invece il carattere di continuità fra tarda antichità e medioevo. Non vi fu alcuna caduta, alcun cambiamento, e tutta la transizione ebbe un carattere quasi pacifico. Ciò che credo è che ambedue gli estremi abbiano in parte ragione ed in parte torto, partendo infatti entrambi da ragionamenti corretti si allontanano, portandoli all’eccesso, dalla verità. Una verità che è ricca di zone d’ombra e di situazioni liminali, troppo varie per potere essere definite in modo assolutamente positivo e negativo. Per approfondire lo studio suggerisco: AA.VV., Storia medievale. Donzelli, Roma, 2000. Stefano Gasparri e Cristina La Rocca, Tempi Barbarici,

L’Europa occidentale tra antichità e medioevo (300-900), Carocci editore, Roma, 2012. Ed infine: Stefano

Gasparri, Tardoantico e altomedioevo: metodologie di ricerca e modelli interpretativi, in Storia d’Europa e del

Mediterraneo, 8. Medioevo (secoli V-XV). Popoli, poteri, dinamiche, a cura di Carocci, Roma, pp. 27-61, 2006.

171 Mi riferisco al problema europeo, per lo più italiano, della forte migrazione proveniente dalla Libia

ormai allo sfacelo. Così come al famoso “Build that wall!” del neopresidente statunitense Donald Trump, che ha fatto della sua politica di chiusura delle frontiere il perno della sua campagna elettorale.

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un confine non si deve eccedere neppure nel negarle come tali172”. Le frontiere esistono, sono dei confini

invisibili più o meno evidenti fra popoli, culture, etnie e tradizioni; affermarne l’esistenza non significa che esse debbano essere limitanti o che non possano essere permeabili. Ed è con questo spirito che ho di seguito proseguito nella mia ricerca. Nello studio delle frontiere altomedievali errore degli storici è stato quello di aver generalmente identificato il limes dello stato romano con delle linee di confine dallo spiccato controllo militare. Fino ad oggi non si è fatto altro che applicare la concezione delle frontiere degli stati nazionali e coloniali del XIX secolo, dove i confini sono delle zone di controllo militare ben definite e lineari. Il limes renano ed il vallo di Adriano hanno condizionato la visione generale della struttura confinaria romana, bollandola, erroneamente, come prettamente militare ed edificata per arrestare il “barbaro invasore”. Nello stesso modo in cui non esisteva, ai tempi di Roma, una lunga successione di mura fortificate intervallate da torri che dalla Manica arrivava fino al Mar Nero, non esisteva neanche una concezione “lineare” del confine. Il famoso limes romano irto di pali aguzzi, mura e forti non era l’unica realtà di frontiera dell’impero. I confini di Roma erano invece delle aree di controllo più o meno presente, caratterizzate da molte situazioni ambigue e vere e proprie zone d’ombra. Nell’impero romano, che si proponeva ideologicamente come Imperium sine fine, ovvero come impero universale i cui unici confini ammissibili erano quelli dello spatium orbis, ovvero della terra intera, non poteva esistere lo stesso concetto di confine che noi abbiamo oggi173. Il limes romano era infatti un potente

simbolo di conquista, affermazione della potenza di Roma e del suo dominio sulle popolazioni del barbaricum. Ciò però non vuol dire che lo stato non provvedesse alla difesa dei propri territori e cittadini dalle minacce esterne, ed è per venire incontro a queste richieste di difesa che venivano costruiti, in punti strategici, sistemi volti alla sorveglianza, controllo ed osservazione del territorio. Questo tipo di sistema difensivo, (torri d’osservazione, forti e tratti murari), non era quindi progettato per arrestare l’avanzata di eserciti in marcia, ma piuttosto per garantire sicurezza di fronte alle numerose incursioni di piccole bande di predoni e razziatori, non sempre necessariamente provenienti dal barbaricum, ovvero da oltre confine. La costruzione di queste opere militari serviva quindi a limitare le scorribande delle popolazioni barbariche all’interno dell’impero, venendo così incontro alle richieste di protezione da parte dei cives romani. Nei momenti di maggiore insicurezza politica e sociale

172 Emanuela Mollo, Le chiuse Alpine fra realtà e mito. In I Longobardi e le Alpi. Atti della giornata di studio

“Clausae Langobardorum, i Longobardi e le Alpi”. Chiusa di San Michele, 6 marzo 2004. CRISM Centro

di Ricerca sulle Istituzioni e le Società Medievali. SUSA-Luglio 2005.

173 Javier Arce, Frontiers of the late roman empire: perceptions and realities. In The transformation of Frontiers.

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era, ed è, normale richiedere un controllo più marcato del territorio da parte delle autorità. Perfino S. Ambrogio, preoccupato, si lamentava che l’ultima difesa dell’Italia era il limes delle Alpi orientali. Il santo milanese non era l’unico autore romano a riporre la propria fede in una frontiera ben fortificata, invero malriposta, essendo questa, come abbiamo visto, per lo più inadatta a questo compito174. Più pratico, efficiente ed economico che creare delle costose

fortificazioni e mantenere delle truppe in loro difesa, fu assumere come mercenari le stesse popolazioni che abitavano a ridosso del confine175. Questa strategia, molto più economica e

dalle prestazioni migliori, fu utilizzata con successo da numerosi imperi della storia. Benché lontano nello spazio e con una storia differente, fu proprio il Celeste impero cinese, che sulla costruzione di un gigantesco muro aveva concentrato tutte le sue energie, a preferire infine di pagare gli stessi nomadi che dovevano essere respinti al di là del muro, come guardie confinarie176. Numerose popolazioni barbariche vennero cooptate, con l’oro o con il ferro,

dall’amministrazione imperiale romana per la difesa dei confini, facendole anche insediare, in alcuni casi, all’interno di territori del demanio pubblico177. Così anche i Longobardi, nella

174 Altri due casi illustri sono Ammiano Marcellino e l’Anonimo del De rebus bellicis. Il secondo, nella

sua opera piena di consigli a dir poco fantasiosi e irrealizzabili scriveva; De Rebus Bellicis, a cura di Andrea Giardina, Mondadori, Milano, 1989; 6: “In primis sciendum est quod imperium Romanorum

circumlatrantium ubique nationum perstringat insania et omne latus limitum tecta naturalibus locis appetat dolosa barbaries” “Bisogna anzitutto rendersi conto che il furore dei popoli che latrano tutt’intorno stringe in una morsa l’impero romano e che la barbarie infida, protetta dall’ambiente naturale, minaccia da ogni lato i nostri confini”. Per

poi proporre, al cap. 20: “Est praeterea inter commoda rei publicae utilis limitum cura ambientum ubique latus

imperii, quorum tutelae assidua melius castella prospicient, ita ut millenis interiecta passibus stabili muro et firmissimis turribus erigantur”, ovvero, “Tra gli interessi dello stato c’è anche l’utile cura dei contini, che circondano tutti i lati dell’impero; la loro difesa potrà essere meglio assicurata da una fitta serie di castelli, in modo che si ergano a intervalli di mille passi con un solido muro e con fortissime torri”.

175 Il vero problema della difesa dei confini per gli imperatori fu infatti primieramente economico.

Javier Arce, Frontiers of the late roman empire: perceptions and realities, cit. a p. 12: “The problem of the defence

of the Imperium Romanorum whatever it was, was a fiscal problem: simply an economic problem”.

176 L. N. Gumilev, Gli Unni. Un impero di nomadi antagonista dell’antica Cina. Einaudi, Torino, 1972. Cit.

a p. 50. “La muraglia si estendeva per 4000 chilometri, la sua altezza raggiungeva i 10 metri e ogni 60-100 metri

si elevavano le torri di vedetta. Ma quando i lavori furono terminati fu chiaro che tutte le forze armate della Cina non erano sufficienti a organizzare una effettiva difesa della muraglia. Infatti, se a ciascuna torre si poneva un piccolo distaccamento, il nemico l’avrebbe annientato prima che i vicini fossero riusciti a radunarsi e venire in soccorso. Se invece si fossero distribuiti distaccamenti più forti ma più radi, allora si sarebbero avuti degli intervalli sguarniti, attraverso i quali il nemico, senza essere notato, sarebbe facilmente penetrato nell’interno del paese. Una fortezza senza difensori non è una fortezza. Molti dignitari cinesi tennero un atteggiamento negativo verso la costruzione della muraglia. […] in effetti la muraglia non fermò le incursioni degli Unni, e la dinastia Han ritornò al sistema della guerra manovrata”.

Cit. a p. 51: “Da ultimo la difesa venne affidata alle tribù nomadi confinarie, discendenti dei Jung e residui del popolo

Hu. Malgrado queste genti di confine esse stesse non aliene al saccheggio e disposte a tradire e a passare dalla parte degli Unni, erano tuttavia un presidio più sicuro”.

177 Peter Heather: The late roman art of client management: imperial defence in the fourth century west. In The

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prima parte della loro storia conosciuta, vivendo a ridosso dei territori imperiali diventarono

symmachoi di Costantinopoli, combattendo per l’imperatore in Italia e in Siria178.

Roma, praticando la famosa strategia del divide et impera, era solita creare ai suoi confini una serie di stati clienti, la cui nobiltà doveva la propria posizione sociale al flusso costante di tributi e ricchezza che giungeva da Roma. Di questo modo era difficile che le élite barbare scendessero in guerra con l’impero, essendo questo la loro primaria fonte di guadagno e potere179. I barbari erano di conseguenza dipendenti da Roma, ma l’impero stesso dipendeva

per la difesa dei suoi confini dal mantenimento della pace con le popolazioni circostanti. Il barbaricum, il territorio al di là dei confini, non era quindi un mondo alieno e sconosciuto ove dominavano bestie feroci – hic sunt leones – bensì la periferia povera dell’impero, legata al centro da rapporti culturali, commerciali, economici e militari180. Le frontiere dell’impero

erano quindi ampie regioni che contenevano al loro interno comunità diverse da quelle del Mediterraneo, a volte in pace ed a volte in guerra con lo stato romano. Era in questi territori che barbari e romani entrarono in stretto contatto non solo militare e politico, ma anche economico, sociale e culturale. Un rapporto reciproco tanto fitto che le popolazioni barbariche più arretrate iniziarono ad assumere modelli di autorappresentazione di sé stesse tipicamente romani, mentre i militari romani iniziarono sempre più ad assomigliare ai barbari181. È in queste zone liminali che si formarono quelle identità barbariche a noi ben

conosciute come Vandali, Visigoti, Ostrogoti, Longobardi; tutte riforgiatesi in prossimità dell’impero attraverso la dinamica dell’etnogenesi182.

178 W. Pohl, Le origini etniche dell’Europa, cit. a p.141.

179 Idem. Cit. a p. 27: “Whatever the line taken, the Romans were able, by the use of such gifts, to set up a chain of

rulers whose positions in part depended upon a flow of Roman wealth, which was itself dependent on the preservation of the current peace”. Nonostante ciò le incursioni degli stessi popoli clienti erano abbastanza comuni,

infatti spesso capitava che attraverso la pressione, o minaccia, militare questi nobili barbari potessero ottenere più di ciò che gli spettasse, aumentando così il loro prestigio presso i propri guerrieri e assicurando il proprio ruolo di comando. Francesco Borri, I barbari a nord dell’impero. Etnografia, conflitto

e assimilazione. Monduzzi editore, Milano, 2010. Cit. a p. 32: “Le incursioni, le razzie e le guerre erano spesso un modo per ottenere con la coercizione ciò che altrimenti era possibile ottenere con il servizio”.

180 Gasparri, La Rocca, Tempi Barbarici. Cit. a p. 75. 181 Borri, I barbari a nord dell’impero. Cit. a p. 36.

182 Wenskus elaborò la teoria dell’etnogenesi (έθνος, popolo, e γένεσις, nascita, creazione),

Stammesbildung, che studiava i processi grazie ai quali vennero a formarsi le etnie barbariche della tarda

età romana e del primo medioevo. Fondamentale nella sua teoria era il “nucleo di tradizione”,

Traditionskern, una tradizione unificante che “creava” un’identità comune. Questa teoria venne accolta,

criticata e dibattuta a lungo. Walter Goffart la critica fortemente, mentre la scuola di Vienna, rappresentata da Walter Pohl, ne ha evidenziato i limiti ma anche accettato a grandi linee il significato. Pohl sottolinea d’altra parte maggiormente sia l’integrazione fra romani e barbari che l’inadeguatezza del concetto della Traditionskern. “Pur senza pensare all’azione secolare di “nuclei di tradizione”, materiali

antichi, di origine non romana, diversamente e disordinatamente assemblati insieme a materiale etnografico romano formarono tutti insieme un patrimonio di miti che aiutò a costruire l’etnicità, ossia a modellare il senso di appartenenza

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L’estrema varietà dei popoli che vivevano in modo quasi parassitario ai confini dell’impero, interagendo con esso, vennero formando delle proprie coscienze identitarie, altamente influenzate dalla cultura romana. Il limes non delimitava infatti un ipotetico confine culturale, come amavano pensare gli storiografi e gli scrittori romani, imbevuti delle tradizioni classiche greche e latine183. Radici romane e barbariche ebbero entrambe un ruolo fondamentale nella

creazione delle identità delle gentes tardoantiche ed altomedievali, poiché queste si formarono in questo luogo ove la compenetrazione fra impero e barbaricum era profonda184. Altro luogo

ideologico in cui le popolazioni barbariche fondarono la propria coscienza di sé fu l’esercito romano185. La maggior parte dei legionari romani erano infatti ormai di provenienza

barbarica, germanica o eurasiatica che fosse. Questo influenzò notevolmente la stessa struttura dell’esercito, l’armamento dei guerrieri e le strategie utilizzate186. Esistevano intere

unità dell’esercito imperiale romano che prendevano il nome dall’etnia che le componeva, come gli Erules, o i Persoarmeni. Dobbiamo quindi immaginarci che l’esercito di Stilicone, come quello di Ezio ai Campi Catalaunici, non fossero tanto dissimili da quelli dei loro antagonisti barbarici come Alarico, Attila, Genserico e via dicendo. Facendo carriera nelle armate dell’imperatore molti barbari divennero pure grandi generali, Gainas ed Odoacre per citarne solo due. I generali dell’esercito, da sempre protagonisti delle vicende politiche di Roma, giocarono un ruolo fondamentale nella caduta dell’impero d’Occidente, come del resto nell’intera storia dello stato romano. Non ci deve quindi stupire che l’ultimo imperatore d’Occidente fosse deposto da un generale barbarico, e che la motivazione principale di questo atto fu che venne negata alle sue truppe la distribuzione di terreni agricoli. Le varie armate barbariche, composte interamente da barbari non più inquadrati nell’addestramento e nella disciplina romane, dominavano sui territori che dovevano difendere da altri barbari187. Queste

popolazioni fluide, inquadrate nell’esercito e al comando di ambiziosi generali, di fronte al

etnica almeno dei gruppi dirigenti dei popoli barbarici. Gasparri e La Rocca, Tempi barbarici, cit. a p. 87. Vedere

anche pp. 83-88.

183 Hans-Werner Goetz, Concepts of realm and frontiers from late antiquity to the early middle ages: some

preliminary remarks. In The transformation of Frontiers. From the late Antiquity to the Carolingians.

184 Gasparri, La Rocca, Tempi barbarici, cit. a p. 86.

185 Gasparri, La Rocca, Tempi barbarici, cit. a p. 85, qui vengono riportate le parole di Pohl, “Emerge per

esempio con sempre maggior chiarezza che il crogiolo dove si formarono le identità barbariche delle gentes che invasero l’occidente romano si trovava nell’ambito stesso dell’esercito tardoromano”.

186 Esempio ne è il fatto che ormai dal IV secolo circa i soldati romani portassero tutti le brache,

indumento tipicamente barbarico (persiano o gallo e germanico che fosse), rinunciando alla tunica classica. Esistono prove ancora più antiche, già dal III secolo infatti i Tetrarchi nel blocco di porfido in piazza San Marco a Venezia indossano le bracae dei Celti e dei Germani con al fianco una lunga

spatha barbarica, non più il gladio romano.

187 Borri, I barbari a nord dell’impero, cit. a p. 32: “I barbari del IV secolo d.C. erano gruppi di guerrieri

profondamente integrati nel sistema imperiale romano in cui l’identità etnica attorno cui si raccoglievano era commista con l’identità militare che li rendeva simili ai soldati romani”.

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collasso dello stato romano non fecero altro che occupare territori che prima difendevano - o saccheggiavano -. Le frontiere infatti “did not collapse under barbarian attacks, but dissolved into

enclaves of rulers who were heirs of Roman culture188”.

I regni romano barbarici che sorsero nei territori imperiali non furono altro che territori conquistati e assoggettati dagli eserciti federati romani di origine largamente barbarica189. La

nascita di questi regni fu possibile grazie al fatto che vi era già molto di romano in seno ai barbari che si stanziarono nell’impero, ma soprattutto perché queste confederazioni di popoli erano aperte, non chiuse ed impermeabili, bensì favorevoli ad influssi esterni190. “[…] I nuovi

regni etnici dei Franchi, dei Goti o dei Longobardi erano cresciuti e potevano solo crescere sul territorio romano. Essi non erano stati migranti le cui forme di organizzazione aliene furono trapiantate sul territorio imperiale, ma piuttosto, come è stato formulato da Patrick Geary, «la creazione di maggior successo del genio politico militare di Roma191». I nuovi regni che sorsero sulle terre imperiali erano quindi dominati da

élites guerriere forgiatesi in seno o a contatto con l’impero192. Dalla tradizione romana non

assorbirono solo atteggiamenti, simboli e politiche, ma tentarono anche il più possibile di mantenerne il sistema amministrativo e fiscale. Operazione che però generalmente fallì. Bisogna ora comprendere come le nuove élite militari barbariche si approcciarono alla frontiera, ora che i barbari alle porte erano effettivamente entrati nello stato romano, chi vi restava fuori? Chi era il nemico da “escludere”? chi viveva nella frontiera povera del ricco centro di tradizione classico-romana193?

Se durante il regno Ostrogoto fondato in Italia dal generale Teodorico poco cambiò rispetto alla precedente amministrazione romana, la penisola che si presentò ai Longobardi era radicalmente diversa da quella su cui regnò il re Amalo. Già sopravvissuta a due secoli di guerre ed invasioni, dimostrando una notevole capacità di ripresa ed adattamento alle situazioni che via via si trovava di fronte, l’Italia era ora lacerata. Impossibile pensare che la reintroduzione nell’impero e la Pragmatica sanctio avessero potuto salvarla: troppi gli anni di

188 Hans-Werner Goetz, Concepts of realm and frontiers, cit. a p. 74. 189 Gasparri, La Rocca, Tempi barbarici, cit. a p. 86.

190 Ibidem. Walter Pohl, Le origini etniche, cit. a p. 8: “La dinamica etnica dell’alto medioevo non fu prodotta da

nuclei saldi, ma da identità aperte, che appunto per questo resero possibile l’integrazione di grandi gruppi”.

191 W. Pohl, Le origini etniche dell’Europa, cit. a p. 31.

192 W. Pohl, Le origini etniche dell’Europa, cit. a p. 133 “Tuttavia, in generale, si ricava l’impressione che i due

eserciti sono più vicini l’uno all’altro di quanto i soldati non lo siano al mondo civile: questo era, evidentemente, un fatto importante nel declino dell’aristocrazia civile”.

193 Va da sé che in seguito ai grandi stravolgimenti politici militari, i primi periodi di saccheggio

sistematico e stanziamento delle popolazioni barbariche, il ricco impero romano, afflitto anche dalla crisi economica del Mediterraneo, non era più così ricco rispetto alla periferia di come lo fosse nel I- II-III secolo d.C.

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guerra sul territorio, troppi i saccheggi e troppo vasta la decimazione dei ceti dominanti; il tutto in un contesto di crisi economica generale194. Quando arrivarono i Longobardi la guerra

ventennale che aveva contrapposto Ostrogoti e Bizantini, le invasioni di Alemanni e Franchi,