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Il successo dell’integrazione fra Romani e Longobard

Le città non persero il loro ruolo centrale perché l’impatto dei longobardi sul tessuto sociale dei suoi abitanti non fu così catastrofico come invece insistono nel dire le fonti di parte papale246. Possiamo anzi sostenere, come scrive Gasparri, che “la fusione fra Longobardi e Romani

dovette concludersi rapidamente247”. Un’affermazione attuale, questa, opposta a quella della

storiografia italiana tradizionale che ha da sempre evidenziato le violenze e gli scontri fra Longobardi e Romani, sostenendo anche un’improbabile stato di asservimento e schiavitù dei secondi soggiogati ai “barbari invasori”248. Possiamo oggi infatti a ragione affermare che

245 N. Christie, The castra, cit. a p. 249.

246 I documenti giunti fino a noi erano scritte proprio da quelle élites che stavano perdendo il loro

potere per colpa delle nuove classi dirigenti militari di origine barbarica. Gasparri, I barbari, l’impero,

l’esercito e il caso dei Longobardi, cit. a p. 91-92: Il bel libro che Philip Von Rummel ha dedicato a questo tema ha mostrato efficacemente che ciò che viene descritto nelle fonti di età tardoantica come abbigliamento tipico dei barbari derivi da una parte da antichi modelli etnografici, tesi a sminuire i barbari nei confronti dei popoli civili (Greci e Romani), dall’altra applicabile ai caratteri di una nuova élite, di origine militare, che stava prendendo il potere nella parte occidentale dell’impero di Roma e che come tale era vista in modo fortemente ostile dagli appartenenti alla vecchia classe dirigente senatoriale l’unica che controllava in modo assoluto la produzione letteraria. Così si spiegano anche i divieti del Codice Teodosiano rispetto all’abbigliamento “barbarico”, ossia come elementi protettivi della vecchia classe dirigente.

247 S. Gasparri, I nodi principali della storia longobarda, cit. a p. 11.

248 Il mito fondatore dell’Italia è l’antica Roma. La storiografia italiana ha infatti da sempre rifiutato

l’eredità barbarica e la sua storia altomedievale. Questo atteggiamento negazionista deriva da una serie di pregiudizi radicati nella società italiana fin dai tempi più remoti e tutt’ora presenti nella maggior parte della popolazione. In primo luogo per le polemiche sorte durante il risorgimento, dove l’Italia del tempo occupata dagli austriaci veniva paragonata a quella romana invasa dai barbari. Poi per la natura cattolica della storiografia italiana, dove i Longobardi, nemici storici del papato quale furono, non trovavano posto. E infine per il pregiudizio tipico della cultura classica, dove il “bar-bar”, il

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l’influenza che l’impero romano e le sue istituzioni ebbero sulla formazione e la forma del regno longobardo furono molto più profonde di ciò che si è sempre pensato. Probabilmente sminuire l’influenza che Roma ebbe sui Longobardi era funzionale, nella storiografia classica, alle tesi che li vedeva come elementi allogeni mai integratisi nella società e anzi come suoi distruttori. Ciò è forse dovuto al costante stato di guerra che caratterizzò i rapporti bizantino- longobardi, e le relazioni fra i pontefici ed i re di Pavia; ciononostante l’azione politica longobarda, dall’invasione dell’Italia agli ultimi giorni del regno, furono pensate in un sistema concettuale largamente influenzato da quello socio-politico e militare romano.

L’armata longobarda che invase la penisola nel 568 ebbe molto più di romano di quello che si possa pensare249. Come l’esercito di Alarico e Teodorico, l’eterogenea armata di Alboino si

era forgiata nella regione Danubiana, una fucina di popoli ed eserciti. L’organizzazione militare dell’esercito, non più tribale, era stata adattata agli standard romani, da cui i barbari assimilarono anche alcuni termini quale “dux”, per indicare i comandanti250. E duca si

chiameranno fino alla caduta del regno i più grandi signori del regno longobardo che governeranno le città maggiori della penisola. Sempre i termini ci aiutano a comprendere quanto di romano ci fosse nell’azione dei Longobardi: essi prima erano symmachoi del trono di Costantinopoli, mentre quando occuparono l’Italia i termini usati per descrivere lo stanziamento furono quelli tipici dei foederati che venivano destinati in territorio imperiale come successe per i Goti di Teodorico251. Unica differenza era che stavolta l’ingresso e lo

barbaro che balbettava la bella lingua greca e latina e che vestiva in maniera bizzarra, era da sempre ritenuto inferiore ed estraneo alla grande civiltà mediterranea. Citando le parole di Stefano Gasparri: “La nascente nazione italiana costruì dunque la sua identità non a partire dalle sue origini altomedievali – come invece

avvenne nelle altre nazioni europee – ma, all’opposto, “nonostante” il periodo altomedievale”, la dominazione

barbarica in Italia era dunque, per gli storici intrisi dal patriottismo ottocentesco, anche un discorso metapolitico: i Longobardi divennero nelle loro menti gli Austriaci. Per approfondire l’argomento consiglio Enrico Artifoni, Ideologia e memoria locale nella storiografia italiana sui Longobardi, in Il futuro dei

Longobardi. L’Italia e la costruzione dell’Europa di Carlo Magno, a cura di Carlo Bertelli e Gian Pietro

Brogiolo, Skira, Milano 2000, pp. 219-226. Enrico Artifoni, Le questioni longobarde. Osservazioni su alcuni

testi del primo Ottocento storiografico italiano, «Mélanges de l’École française de Rome - Moyen Âge.

MEFRM», 119 (2007), pp. 297-304.

Stefano Gasparri, La storiografia italiana e i secoli bui: l’esempio de Longobardi. Dimensões, vol. 32, 2014, p. 182-205. Testo principe della “Questione longobarda” dell’Ottocento è il commento di Alessandro Manzoni alla sua tragedia Adelchi: Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia, Fratelli Rechiedei, Milano, 1881.

249 Gasparri, I barbari, l’impero, cit. a p. 93: “Lo stesso Liebeschütz, ad esempio, ritiene possibile che gran parte

dei tratti dell’identità barbarica si siano formati sul territorio romano; ed è generalmente acquisita inoltre l’idea che non sia mai esistito un Germamentum unitario, inteso come blocco etnico-biologico dotato di tradizioni antichissime e opposto alla romanità dell’impero”.

250 Gasparri, I barbari, l’impero, cit. a p. 98.

251 Cammarosano, Nobili e re, cit. a p. 19. È per l’uso di questi termini e per la facilità con cui i

Longobardi entrarono in ogni città che incontrassero almeno fino a Pavia, nonché per la leggenda di Narsete, che ci si domanda tuttora se effettivamente i Longobardi fossero stati invitati nella penisola

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stanziamento di un popolo barbarico non avveniva per azione dello stato, bensì per diritto di conquista degli stessi invasori. Tuttavia i Longobardi dovettero stabilire accordi con le autorità locali luogo per luogo, sicuramente da una grande posizione di forza, ma dovettero pur sempre trattare con i locali ben più numerosi252.

Le dinamiche dell’occupazione avvennero di conseguenza secondo un’ottica totalmente romana, l’unica, d’altronde, che i Longobardi potessero avere una volta abbandonate le vesti tribali per entrare nell’orbita della civilitas. Formatisi nel crogiolo dell’esercito romano come altre gentes barbariche prima di loro, i Longobardi mantenevano sì alcune caratteristiche comuni che li differenziasse come stirpe a sé, ma ciò avveniva nel contesto culturale e politico Romano253. Come già mostrato, consci dei pregi del sistema amministrativo e fiscale romano,

i Longobardi fecero del loro meglio per mantenerlo intatto, ed è anche per questo che occuparono le città senza eccessive violenze. Sotto il comando di Alboino l’esercito barbaro infatti conquistò numerose città senza grandi ed efferati saccheggi– vi è infatti una violenza intrinseca nella concezione della guerra antica e medievale che non dobbiamo omettere: stupri, saccheggi e violenze erano generalmente la normalità-. Da non sottovalutare è anche il fatto che i Longobardi, rispetto alla stragrande maggioranza della popolazione autoctona, erano in grandissima minoranza254. Anche qualora accettassimo i numeri ipotetici di cento-

centocinquantamila unità, i nuovi conquistatori erano demograficamente niente in confronto al milione e più di Romani e Goti che abitavano la penisola. È impensabile dunque che i Longobardi intendessero mantenere il loro potere con il ferro e la paura come fecero gli Spartiati con gli Iloti, più probabile invece è che dopo un iniziale periodo di violenza successivo alla conquista ed al periodo dell’interregno ducale, essi cercassero di raggiungere ovunque la normalità e la pace, riuscendoci.

o no. Vedere anche W. Pohl, Le origini etniche, cit. a pp. 157-160. Consiglio, per quanto riguarda l’uso dei termini di hospitalitas riguardo l’ingresso longobardo in Italia, di leggere anche Walter Goffart, Barbarians and Romans. A.D.418-584, the technique of accommodation, Princeton University Press, Princeton, 1980, pp.162-205.

252 Paolo Diacono, HL, II, 12: “Quando Alboino giunse al fiume Piave, gli venne incontro Felice, vescovo della

città di Treviso. A lui il re, liberalissimo quale era, concesse di conservare tutti i beni della sua chiesa e confermò le concessioni con sua prammatica sanzione”. AA.VV. Kingdoms of the Empire. The Integration of Barbarians in Late Antiquity. Edited by Walter Pohl. Brill, Leiden, 1997: “thus could be described as “Integrationohne Anerkennung”, integration without recognition. On the other hand, negotiations partial treaties and wars between Byzantine authorities and Lombards leaders form the necessary context for their settlement, which cannot be understood as simply an affair between Lombard lords and Roman peasants. The new Lombards powers in Italy basically sought arrangements with the Roman administration, and we have seen what variety of forms these could assume”. Vedere

anche pp. 113-115.

253 Gasparri, I barbari, l’impero, cit. a p. 99.

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Non dovette essere dunque troppo difficile per i Longobardi integrarsi nella società italiana essendo questi già intrisi di elementi romani che convivevano senza problemi con l’eredità culturale di tutti i gruppi che ne componevano la gens. Grazie a questo seguì una fusione che permise la sopravvivenza e il prosperare del regno longobardo in Italia: furono i nuovi venuti che via via si adattarono sempre più alle dinamiche ed alla cultura romana. Prova ne è il fatto che dopo l’anarchia ducale, il nuovo regno dei Longobardi nascesse nell’antica capitale Milano, che il nuovo re si facesse acclamare nel circo alla maniera bizantina e che lo stesso assumesse il titolo romano-barbarico usato dagli Ostrogoti di Flavius255. Questo termine,

ricollegandosi al non lontano passato romano e goto, rimandava soprattutto ad una visione della monarchia non etnica, bensì fondata sulla molteplicità dei popoli sottomessi, rispettosa e garante delle loro libertà256. La nuova élites longobarda perse molto presto anche la propria

lingua per passare al latino, con cui vennero emanate delle leggi, Edicuts Rothari, pensate in un contesto pienamente romano257. Queste leggi confermano la centralità dell’esercito sia

come elemento strutturale della stirpe longobarda, sia come strumento regio e ducale di controllo del popolo258. Un esercito forgiatosi in costante contatto con l’organizzazione

romana. All’interno di Pavia, ora assurta a ruolo di capitale del regno, si configurò anche il palazzo regio, un sacrum palatium, pensato ad imitazione, ancora, di modelli Romani. L’abbandono del politeismo, ed il passaggio dei pochi longobardi ariani al cattolicesimo, furono un altro elemento di integrazione, che promosse e velocizzò gli scambi fra i nuovi venuti e la maggioranza cattolico ortodossa del territorio italiano occupato.

255 Paolo Diacono, III, 16: “Ma i Longobardi, dopo essere stati per dieci anni sotto il potere dei duchi, alla fine

con decisione comune elessero loro re Autari, figlio di Clefi, il principe cui abbiamo sopra accennato. Per la dignità ricevuta lo chiamarono Flavio, titolo che presero felicemente tutti i re dei Longobardi che vennero dopo di lui.”

256 P. Cammarosano, Nobili e re, cit. a p. 43. Anche, W Pohl, Le origini etniche, cit. a p. 164: “Il fondamento

tribale del regno longobardo perse completamente in questi intrighi la sua legittimità tradizionale. Anche quando alla fine, nel 584, fu nuovamente eletto un rex Langobardorum, la ricostruzione di questo regno riuscì prevalentemente su base romana. Non è un caso che Autari assumesse il titolo romano-gotico di Flavius e che il suo successore Agilulfo fosse eletto alla maniera bizantina nel circo di Milano. La forza di integrazione del linguaggio simbolico tribale, dal quale deriva ancora la simbologia dei racconti di Alboino, bastò per motivare un esercito polietnico ad una partenza per l’Italia. Ma non fu abbastanza forte per mantenere unito questo esercito in Italia e per garantire l’inquadramento nel nuovo ambiente. Troppo diverse furono le opzioni che si offrirono nel 568. Esse comprendevano tra l’altro assalti disordinati in piccoli gruppi in regioni bizantine e franche, la fondazione di ducati indipendenti nelle zone montagnose della penisola, l’entrata nell’esercito bizantino, la subordinazione ai Franchi o la formazione di un regno centrale. Queste linee di frattura rimasero percettibili ancora a lungo, e le visioni apocalittiche presenti nell’opera di Gregorio Magno si riferiscono principalmente a esperienze con le più aggressive di queste possibilità”. Serviva un nuovo

potere, ancora più aperto e universale di quello di natura tribale con cui si era rivestito Alboino, e questa nuova fonte di dominio non poteva che essere Roma.

257 L’argomento dell’Editto è stato già affrontato in una nota, pertanto rimando a quella, vedere

nota….[1 capitolo]

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Il regno era sì dominato dalla nobiltà guerriera dei Longobardi, ma la stragrande maggioranza della sua popolazione era romana259. Ciò non vuole dire che i secondi erano sottomessi ai

primi, bensì che i barbari si fusero lentamente nel tessuto sociale e culturale romano, dando vita ad una fusione culturale reciproca che permise da una parte ai romani soggetti alla corona di Pavia di farsi chiamare Longobardi, e dall’altra all’élite barbarica di assumere usi, costumi e caratteristiche romane, tanto che, come scriverà secoli dopo Machiavelli: “Erano stati i

Longobardi dugentotrentadue anni in Italia, e di già non ritenevano di forestieri altro che il nome260”.

L’integrazione fra l’elemento barbarico dominante e guerriero e quello maggioritario romano era avvenuta senza grandi ripercussioni né sul tessuto sociale, (ovviamente sempre escludendo i primi tempi della conquista), né su quello culturale. Uniti sotto la corona di Pavia Romani e Longobardi diedero vita così ad una compiuta e unitaria nuova cultura, che vedeva al suo interno la commistione di culture differenti. La natura aperta e fluida delle gens barbariche fu importante per velocizzare l’integrazione con la popolazione autoctona, ma fondamentale fu il potere assimilatore ed aggregatore di Roma261. Anche se decaduto, infatti,

il mondo romano possedeva un potere d’attrazione non ignorabile, lo stesso che gli aveva permesso di fare del Mediterraneo e tutte le sue genti un Mare Nostrum262.

La domanda che si ponevano gli studiosi italiani dell’Ottocento su quale fine avessero fatto i Romani in seguito all’invasione dei Longobardi ormai non sussiste più. Essa ha perso ragione

259 Precedente storico era l’ingresso dei Goti di Teodorico in Italia, in questo caso però su invito

dell’imperatore di Costantinopoli per cacciare l’usurpatore Odoacre. L’integrazione fra Ostrogoti e Romani infine non riuscì, cause furono la breve durata del regno ostrogoto in Italia ma anche la rigida divisione fra Romani, che amministravano il regno, e i Goti, che componevano le fila dell’esercito. Gasparri, I barbari, l’impero, cit. a p. 94: “[…] la nuova identità gota in Italia coincidesse sostanzialmente con la

funzione militare: chi era soldato era foto, chi era civile romano, e un passaggio dall’una all’altra funzione portava con sé una differente percezione dell’identità. Certamente i Goti erano distinguibili in molti casi dai Romani, ma – come ha scritto, in termini generali rispetto alle gentes barbariche, Von Rummel – perché esprimevano, con il loro abbigliamento, la loro appartenenza ad un nuovo gruppo di potere. La percezione della differenza fra militari e Romani era talmente forte che sopravvisse in Italia alla sconfitta dei Goti: dal punto di vista della giurisdizione, nella Prammatica sanzione promulgata nel 554 dopo la restaurazione giustinianea si distingueva infatti rigidamente fra

milites e Romani”.

260 Machiavelli, Istorie fiorentine, Feltrinelli, Milano, 1962. Libro I, cap. 11. 261 Patrick Geary, Il mito delle nazioni, cit. a p. 127.

262 Jarnut Jörg, Gens, Rex and Regnum of the Lombards in: Regna and Gentes. The relationship between Late

Antique and Early Medieval Peoples and Kingdoms in the Transformation of the Roman World. AA.VV. Edited

by H.W. Goetz, J. Jarnut and W. Pohl with the collaboration of Sören Kaschke. Brill, Leiden, 2003. Cit. a p. 427. “The royal potential for integrating, secured by imitation imperii, facilited the incorporation of

conquered peoples and of those Romans who from the 720s subjected themselves voluntarily after the religiously-based crisis of Byzantine rule. It thus led to a certain strengthening of the regnum Langobardorum, and above all also to a transformation of the gens Langobardorum based on a process of increasing Romanisation”. Anche: AA. VV, Kingdoms of the Empire. The Integration of Barbarians in Late Antiquity. Edited by Walter Pohl, Brill, Leiden,

1997. Cit. a p. 4: “From the beginning, the Romans used their tremendous potential for integration to draw together

countless cities, ethnic and regional groups, not only within the Empire. The system also attracted countless barbarians or rural labourers for a long time contributed to stabilising the Empire”.

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d’essere perché si è arrivata alla conclusione, grazie allo studio delle fonti ed alle prove archeologiche, che non vi erano in verità due gruppi distinti all’interno del regno longobardo. Non esistevano Romani e Longobardi, bensì solo Longobardi. Infatti se l’amalgama fu facile è perché nell’VII secolo l’intera popolazione si identificava ormai come longobarda, ma questo non significava il servaggio e la schiavitù dei Romani, ma piuttosto che gli stessi Romani erano divenuti Longobardi. I due popoli si fusero in uno solo, dove né l’uno né l’altro persero le loro caratteristiche culturali, ma diedero vita ad una civiltà unica che tentò, per quanto le sue forze glielo permettessero, di riunificare la penisola italiana sotto un’unica corona. Avvenne così che il contatto con un mondo profondamente diverso e più ricco trasformò un esercito federato di Costantinopoli in un popolo, la gens Langobardorum, nella quale ancora nel tardo VIII secolo si identificheranno tutti coloro che abitavano entro i confini del regno, sia di origini autoctone che allogene263. Ciò che cambiò rispetto alle

generazioni precedenti di Ostrogoti e Visigoti fu che ora il discorso etnico usato dalle élites divenne: “la chiave per il potere politico: nomi, racconti e leggi sostenevano l’esistenza separata di un gruppo

etnico con un diritto esclusivo al dominio su certe zone dell’antica res publica264”. Il dibattito ottocentesco

viene così ribaltato: non furono i longobardi che si assimilarono ai romani, ma l’uno e l’altro popolo si fusero in uno solo265.