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“Spieghi ogni duca/ Il suo vessillo; della guerra il bando/ Ogni giudice intimi, e l’oste aduni;/ Ogn’uom che nutre un corridor, lo salga, / E accorra al grido de’ suoi re. La posta/È alle Chiuse dell’Alpi. Al re dei Franchi/ Questo invito riporta266.”

Re Desiderio esorta così il suo popolo alla battaglia in difesa del regno nella celebre tragedia Manzoniana “Adelchi”. Carlo Magno sta marciando verso l’Italia e si appresta ad assalire le

263 Gasparri, I barbari, l’impero, cit. a p. 102. 264 W. Pohl, Le origini etniche dell’Europa, cit. a p. 23.

265 Gasparri, I nodi principali della Storia longobarda, cit. a p. 11. Fondamentale per il discorso della fusione

fra Romani e Longobardi anche: Patrick Geary, Il mito delle nazioni. Le origini medievali dell’Europa. Carocci editore, Roma, 2016. Prima edizione 2002. Cit. a pp. 123-129.

266 Alessandro Manzoni, Adelchi, a cura di Alberto Giordano, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano,

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chiuse, tutto l’esercito al comando di Adelchi, il figlio di Desiderio, dovrà quindi andare a difendere i valichi alpini e respingere Carlo. Vari assalti contro la “fortezza” delle chiuse non piegano la difesa longobarda fino a che un monaco di nome Martino non mostrerà una via segreta con la quale il re dei Franchi potrà aggirare l’esercito longobardo e sconfiggerlo. È questa, nella finzione manzoniana, la svolta degli avvenimenti che porterà alla caduta del regno di Desiderio e Adelchi. Le chiuse nel mito ottocentesco erano infatti viste come delle imponenti fortezze confinarie capaci di tenere testa a grandi eserciti. L’autore ovviamente mitizza il racconto per scopi letterari, ma in verità si era per lungo tempo pensato che le chiuse avessero una precipua caratteristica militare, sappiamo bene che non è così.

Le chiuse alpine facevano parte di quel sistema di cui abbiamo già ampiamente parlato, il

Tractus Italiae circa Alpes. Ne erano infatti l’asse portante, essendo poste nei punti strategici

delle strade e dei valichi che conducevano all’Italia, svolgendo così pienamente quel compito di protezione e controllo per cui il Tractus era stato edificato. La loro importanza bellica, come abbiamo già visto, va però ridimensionata. Le difese alpine infatti non riuscirono mai ad arrestare gli invasori né durante l’ultimo periodo dell’impero romano, quando esse furono costruite, né durante tutto l’arco dell’altomedioevo. Questo nonostante autori come Cassiodoro ne elogiassero le qualità difensive e ricordassero come pochi uomini potessero presidiare un’intera vallata267. Costruite per integrare le asperità naturali del terreno montano,

esse dovevano trovarsi lungo tutto l’arco alpino268. In Friuli sappiamo che vi era una chiusa

presso Cividale, e molto probabilmente una presso Zuglio sulla strada che dal passo di Monte Croce Carnico conduce alla pianura269. Non è però nel nostro interesse identificare i luoghi

ove queste chiuse sorgessero, bensì comprenderne l’evoluzione.

Gli ultimi due re longobardi di origine friulana, Ratchis ed Astolfo, emanarono delle leggi con lo scopo di ripristinare e rinforzare il controllo delle chiuse. Questi testi, erroneamente

267 Cassiodori, Variae, a cura di T. Mommsen, Berlin, 1894, (MGH, Auctores antiquissimi, XII), II, 5.

“Fausto prefecto pretorio Theodoricus rex (...) qua propter illustrem magnificentiam tuam praesenti auctoritate

praecipimus sexaginta militibus in Augustanis clusuris iugiter constituti annonas, sicut aliis quoque decretae sunt, sine aliqua dubitatione praestare, ut utilitas rei publicae grato animo compleatur, quae emolumentorum commoditatibus adiuvatur. Decet enim cogitare de militis transactione, qui pro generali quiete finalibus locis noscitur insudare et quasi a quadam porta provinciae gentiles introitus probatur excludere. In procinctu semper erit, qui barbaros prohibere contendit quia solus metus cohibet, quos fides promissa non retinet”.

268 Aldo Settia, Le frontiere del regno italico nei secoli VI-XI: l’organizzazione della difesa. Studi Storici,

Fondazione istituto Gramsci, 1989, pp. 155-169.

269 Emanuela Mollo, Le chiuse Alpine fra realtà e mito. In I Longobardi e le Alpi. Atti della giornata di studio

“Clausae Langobardorum, i Longobardi e le Alpi”. Chiusa di San Michele, 6 marzo 2004. CRISM Centro

di Ricerca sulle Istituzioni e le Società Medievali. SUSA- luglio 2005. “Anche per la chiusa di: Sanctus

Petrus de Iulio via de Monte Cruce», identificabile con S. Pietro di Carnia vicino a Zuglio (l’antica Iulium Carnicum) lungo la strada per il valico di Monte Croce Carnico, l’utilizzazione militare del sito sin dall’antichità è confermata dalla presenza di un’opera fortificata tardo romana più volte riutilizzata”, cit. a p. 56.

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interpretati, diedero vigore alle teorie di chi vedeva nelle chiuse, e nel confine alpino, delle frontiere militarizzate. Entrambe infatti, Ratchis 13 ed Astolfo 5, sottolineano la necessità di restaurare le chiuse qualora fossero diroccate, di ripristinare quelle abbandonate per poter avere un maggior controllo dei confini270. Ratchis aggiunge poi che chiunque fosse entrato o

uscito dal regno aveva bisogno di un riconoscimento ufficiale, una sorta di passaporto dato al confine da delle guardie e dei giudici addetti a questo lavoro, per poi riconsegnarlo una volta usciti dal regno. Praticamente un controllo doganale dei documenti simile a quello che un tempo vigeva in Europa. Queste leggi, (vedere nota 44), sembrano descrivere un sofisticato sistema per la salvaguardia della frontiera. Vengono pure citati i clausarii, dei funzionari addetti alla difesa dei confini e al controllo dei documenti, polizia di frontiera ante litteram271.

Enucleate dal contesto delle leggi emanate dai due re e dalla situazione geopolitica del tempo, non si può comprendere appieno le iniziative intraprese dai due sovrani friulani riguardo le chiuse. Il regno longobardo si trovava, al tempo di Ratchis ed Astolfo, completamente isolato a livello internazionale. I Bavari, tradizionali alleati, si erano piegati ai Franchi, e gli Avari, altri storici alleati, non erano più così ben disposti verso il trono di Pavia, mentre il potere di Costantinopoli in Italia si affievoliva sempre più, lasciando ampio spazio di manovra ai pontefici, i cui rapporti con i Longobardi erano stati sempre difficili. Il regno dei Franchi con cui Liutprando aveva intessuto una forte alleanza, dopo la deposizione del suo

270 Claudio Azzara e Stefano Gasparri, Le leggi dei longobardi. Storia, memoria e diritto di un popolo germanico,

Viella, Milano, 2005. Ratchis 13: “Abbiamo provveduto a stabilire questo, che i nostri confini, con la tutela di

Cristo, debbano essere ordinati e custoditi in modo tale che i nemici nostri e della nostra stirpe non possano mandare pattuglie o accogliere fuggiaschi che tentano di passare, ma nessun uomo possa entrare attraverso di essi senza un contrassegno o una lettera del re perciò ciascun giudice deve porre una tale attenzione e vigilanza per i confini a lui assegnati, da sé e per mezzo dei suoi locopositi e delle sue guardie dei valichi di confine, affinché nessun uomo possa uscire senza contrassegno o lettera del re. Quando giungono ai nostri valichi di confine, per entrare, dei pellegrini che dispongono di andare a Roma, si deve chiedere loro scrupolosamente di dove sono; se si riconosce che vengono senza malizia, il giudice o la guardia del valico di confine faccia un diploma e vi metta della cera e vi apponga il suo sigillo, perché essi mostrino poi quel contrassegno ai nostri messi, che noi abbiamo delegato. Dopo questo contrassegno, i nostri messi diano loro una lettera per recarsi a Roma e quando ritornano da Roma ricevano un contrassegno dell’anello del re. Se invece riconoscono che essi vengono con intenti fraudolenti, li mandino da noi con dei messi e ci si metta al corrente della questione. […] E aggiungiamo anche questo, che ciascun giudice faccia attenzione nella sua giudicaria nei territori della Tuscia che nessun uomo possa transitare senza il consenso del re o un qualche sigillo. E se si scopre che è transitato senza un ordine o senza un sigillo e [il giudice] non si è scagionato, paghi come composizione il suo guidrigildo”.

Astolfo 5: “Circa i valichi di confine che sono in rovina, siano restaurati e vi si ponga una guardia, perché i nostri

uomini non possano passare contro il volere del re o senza un suo ordine. In quel valico di confine in cui viene trovato

[qualcuno], il guardiano del valico che ha trascurato di fare la guardia subisca da parte del suo giudice una pena come

lo stesso giudice [subirebbe] dal re, il suo superiore, a meno che il giudice non abbia mandato un proprio messo nell’interesse del ro o lo abbia accolto solo per un affare del re”.

271 Walter Pohl, The laws of Ratchis and Aitsulf, In Walter Pohl, Ian Wood and Helmut Reimitz, The

transformation of Frontiers. From the late Antiquity to the Carolingians. Brill, Netherlands, 2011.pp. 117-141.

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successore Ildebrando, non si sentiva più legato da quel rapporto di amicizia che aveva caratterizzato la linea politica di Carlo Martello. Pipino il Breve poi, per legittimare il colpo di stato che lo aveva visto deporre l’ultimo re merovingio ed assumere la corona, si era alleato con il papa, che intendeva utilizzarlo in funzione antilongobarda. Ogni azione di Ratchis e Astolfo doveva essere quindi perfettamente calibrata per non dare adito ad un eventuale intervento franco in Italia272. Il successo di Astolfo nella conquista di Ravenna avrebbe però

spezzato ogni remora da entrambe le parti, avviando la reazione a catena che avrebbe causato le due invasioni di Pipino e quindi la conquista franca del 774. Le leggi emanate dai due fratelli si ponevano dunque in un contesto complicato ed estremamente teso per Pavia, che doveva stare attenta a bilanciare ogni azione ma soprattutto doveva evitare il più possibile eventuali contatti fra i rivali dentro e fuori la penisola. Da questa particolare situazione deriva quella serie di leggi e iniziative che erano volte a controllare il movimento delle persone all’interno ed attraverso il regno. Walter Pohl sottolinea, nel suo saggio all’interno del volume “The transformation of frontiers. From Late Antiquity to the Carolingians273”, il valore assunto dai

verbi di movimento274 e di controllo275. Il focus delle nuove leggi è appunto questo:

controllare il movimento attraverso il regno. Il testo della legge di Ratchis spiega come debbano essere controllati coloro che attraversino le chiuse, per sapere chi voglia entrare o uscire dal regno. Ratchis 13, insieme ad altre leggi di controllo degli spostamenti degli abitanti del regno attraverso le giudicarie, non erano dovute a paranoie complottiste, ma alla paura che fra i viandanti ci potessero essere messi papali inviati in territorio franco o viceversa. Una paura ben fondata, come la storia dimostrerà. La legge numero 12 di Ratchis chiarisce bene questo discorso, ordina infatti che vengano prese delle misure restrittive contro coloro che nel palazzo regio di Pavia siano stati colti nel tentativo di “scoprire in modo capzioso e di nascosto […] qualcosa di ciò che facciamo276”.

272 Pure le incursioni di piccoli gruppi di razziatori erano ora un problema, come sostiene Pohl, molto

probabilmente i re longobardi dovettero controllare i propri guerrieri, impedendo qualsiasi incursione in territorio franco. Da questo punto di vista è bene ritenere che se sul fronte occidentale il controllo regio fosse molto forte, mentre sui confini orientali le cose dovevano essere decisamente più rilassate e a discrezione dei giudici e dei nobili locali. Walter Pohl, The laws, cit. a p. 130.

273 W. Pohl, The laws, cit. a p. 130.

274 Walter, Pohl, The laws, cit. a p. 129. Exire, introire, ingredire, transire, venire,ambulare, mittere, mandare,

dirigere, suscipere, spesso messi in relazione con gruppi di persone la cui azione poteva essere pericolosa,

ricorrono infatti i verbi di movimenti con termini quali fugaces, furones, peregrini, negotiantes, missi, extranei,

nostri homines, nostra gentes, sculcae.

275 Walter Pohl, The laws, cit. a p. 130-131. Termini quali Custodire, vigilare, custodiam ponere, stadium ponere,

sollicitare, ma anche termini relativi alla sicurezza o ai documenti come ordinare, synographos faccere, in cera mittere, sigillum ponere, signu facere, inveniri comprehendere, interrograre, inquirere, pena subiacere.

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Il sistema ideato da re Ratchis di imporre il sigillo reale sul documento di passaggio di chi si era spinto fino a Roma, aggiuntosi, secondo Pohl, alla consuetudine del controllo e della consegna di un documento doganale, era l’ennesimo tentativo di controllare l’afflusso di persone da e verso la città eterna277. Roma era infatti meta di un intenso pellegrinaggio che

partiva da ogni angolo d’Europa, testimonianza ne è tuttora la famosa via Francigena. Impossibile sarebbe stato però verificare tutti i pellegrini che cercavano di passare attraverso le chiuse, è quindi plausibile pensare che i controlli fossero diretti solo verso personaggi di un certo spessore e uomini di chiesa278. È il controllo del territorio il vero problema del re.

Ratchis cerca non solo di eliminare i soprusi dei potenti e dei giudici contro i più deboli, ma anche di poter affermare il proprio comando in territori dove questo era andato affievolendosi.

Come tradizione della tarda romanità e del periodo gotico e longobardo, le fortificazioni alpine erano quindi strutture addette prevalentemente al controllo piuttosto che alla difesa del territorio: “Like the Roman limes, the clusae were as much a means of internal control as of defence

against outsiders279”. Le leggi dei due sovrani non solo prendono atto delle grandi

trasformazioni che hanno interessato la società del regno, come le leggi militari di Astolfo, ma denunciano lo stato di profonda insicurezza del regno e la presenza di oppositori – interni ed esterni-. Che esistesse un intenso traffico per l’Italia ed in Italia è anche attestato dal fatto che Astolfo dovette predisporre la chiusura delle frontiere con i territori imperiali in caso di guerra, così da porre una netta divisione fra sudditi e nemici. Obbiettivo della politica aggressiva di Astolfo era Ravenna, ma una volta presa e “assegnatoci dal Signore il popolo dei

Romani280”, il regno aveva sì finalmente sconfitto l’eterna nemica, ma innescato così la serie

di eventi che lo avrebbero portato alla discesa dei re Carolingi.

Sostenere che le chiuse fossero delle fortezze predisposte a subire assedi è sbagliato anche perché le uniche due volte che esse furono usate come tali durante la storia longobarda, con Astolfo e Desiderio, vennero inevitabilmente sconfitte. La natura stessa delle clusae poteva invero dare l’impressione di essere fortezze insuperabili: costruite nelle vallate alpine, circondate da montagne e sorvegliate da un grande esercito ogni assalto frontale contro di esse poteva sembrare una follia. Eppure cedettero sempre. Sia Pipino, per ben due volte, che Carlo Magno, riuscirono infatti a superare la chiusa di San Michele dove si era attestato

277 Walter Pohl, The laws, cit. a p. 140. 278 Ibidem.

279 Walter Pohl, The laws, cit. a p. 130.

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l’intero esercito longobardo. Strategicamente parlando l’errore compiuto dai sovrani di Pavia fu quello di pensare di utilizzare le chiuse come luogo di scontro decisivo ove fermare l’avanzata dei franchi. Fu questo un errore strategico grossolano che segnò le sorti del regno. Più di una volta infatti la corona longobarda si era salvata grazie alla rinuncia della difesa dei valichi e al ritiro di tutte le forze del regno nelle città, aspettando che il nemico si sbandasse da solo. Purtroppo pare che la lezione di Autari fu dimenticata e l’intero esercito longobardo fu portato alla sconfitta presso le chiuse. Le iniziative di Ratchis, Astolfo e Desiderio di rinforzo e riparazione delle clusae le trasformarono infatti in fortezze volte ad arrestare la progressione del nemico, così facendo si rinunciava alla difesa in profondità, punto di forza del sistema ereditato dai romani281. La storia del confine friulano mostra come la difesa statica

delle chiuse fosse inefficiente, non fu infatti mai neanche tentata, soprattutto contro nemici, gli Slavi e gli Avari, che facevano della velocità e del movimento la sua caratteristica principale. L’utilizzo dei castra e delle città come punti autonomi di resistenza, lasciando libero controllo del territorio al nemico, portò al successo in entrambe le incursioni avariche, risultando un’ottima strategia anche contro le numerose scorribande degli Slavi282. Aspettare

lungo la riva del fiume veder passare il cadavere del proprio nemico, era questa la strategia più efficace contro nemici superiori di numero e qualità, una sorta di riproposizione della strategia romana tardoantica di limitanei e comitatenses. Tuttavia la visione delle chiuse cambiò, e nell’VIII secolo furono utilizzate con una nuova funzione prettamente militare portando così alla sconfitta dell’armata longobarda, già minata da una profonda discordia interna283.

Le frontiere del regno longobardo non erano né lineari né militarizzate, esistevano sì dei forti a controllo dei passi alpini e delle vie di ingresso ed uscita della penisola, ma ciò non vuole dire che essi rappresentassero il confine stesso. Esempio ne è la chiusa di Verona che si trovava ben 100 km all’interno dal confine effettivo, vicino a Bolzano. La funzione delle chiuse non era precipuamente militare, e quando si volle utilizzarle come fortezze caddero inevitabilmente, questo perché: “The Alpine frontiers that seemed so well equipped to be guarded against

281 Moro, Quam horrida, cit. a p. 50. Settia, le frontiere, cit. a pp. 156-158. Una difesa in profondità che

faceva appoggio sulla fitta rete di castelli non solo salvò il Friuli dalle incursioni Avare, ma anche l’intero regno longobardo più volte durante la sua storia. Settia nel suo saggio fa un’interessante analisi di questa strategia. Con Autari lasciare avanzare e spadroneggiare l’esercito franco di Childeberto per mesi nella pianura padana si rivelò la carta vincente, ed il regno era sicuramente più instabile di quello ereditato da Desideri ed Astolfo. Leggere anche Gasparri, La frontiera in Italia (sec. VI-VIII).

Osservazioni su un tema controverso, cit. a p. 3.

282 Moro, Quam horrida, cit. a pp. 30-31.

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even the most minute unwelcome movement crumbled and finally collapsed284”. Queste strutture, tutte di

origine tardoromana e occupate da Goti prima e Longobardi poi, non delimitavano neanche il vero confine del regno, il suo limes. Esso era invece definito, come già esposto, dall’appartenenza ecclesiastica e dalla tradizione contadina e pastorale. Zone di confine e di controllo, e non linee di confine, la cui importanza militare va quindi decisamente ridimensionata.

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Capitolo III

Al di là dei monti: Slavi ed Avari

“Inruerunt latronculi Sclavorum super greges

et pastores ovium, quae in eorum vicinia pascebantur, et de eis praedas abigentur285”.

-Paolo Diacono, HL, VI, 24

I Longobardi sono sempre stati dipinti come i più feroci fra i germani286, sebbene non

possiamo tracciare una linea diretta che dai Longobardi descritti da Velleio Patercolo giunge fino a quelli del VI secolo, anche Procopio li descrive, nella sua Guerra Gotica, come violenti e sanguinari. La loro stessa storia, sia quella mitica che quella propriamente detta, è caratterizzata da un costante susseguirsi di guerre. Lo stanziamento dei Longobardi nella penisola non cambiò le cose, anzi combatterono in Italia quasi ininterrottamente dal loro arrivo nel 568 fino alla loro sconfitta e conquista da parte dei Franchi nel 774. Non essendo riusciti a riunificare la penisola immediatamente dopo il loro arrivo, i re di Pavia dovettero vedersela continuamente con i Romani, che resistettero tenacemente nelle città rimaste in loro possesso. Con la battaglia dello Scultenna del 643 ed il sacrificio dell’esarca Isacio, benché sconfitti, i bizantini riuscirono ad arginare la più vasta spedizione Longobarda diretta verso Ravenna e guidata dall’energico re Rotari, volta alla conquista della città287. Ci furono

altri tentativi, più o meno determinati, ma nessuno di questi portò all’unificazione della penisola sotto la corona di Pavia. Dobbiamo aspettare il 751 per vedere finalmente Ravenna occupata dai Longobardi. Nonostante ciò le battaglie che ci sono state tramandate dalle fonti sono pochissime, a riprova del fatto che i Longobardi utilizzavano la guerra come strumento politico, piuttosto che come fine a sé stessa.

Se a sud del Po e nel centro Italia i nemici furono i bizantini, al di là dei monti gli avversari più forti furono i Franchi, che infine assoggettarono il regno longobardo, mentre meno

285 “Alcuni ladruncoli slavi avevano aggredito dei greggi e dei pastori che pascolavano nelle loro vicinanze e se ne