• Non ci sono risultati.

Il Friuli di nuovo sul trono: Berengario

“Per tutti la regalità rimane l’orizzonte di attesa526

-François Bougard

La svolta fu epocale, non tanto perché l’impero venne nuovamente diviso, ma piuttosto perché i vari regna nati da esso scelsero re dall’aristocrazia, non necessariamente di sangue carolingio, né vi fu più alcun tentativo serio di riunificazione. Con la definitiva dissoluzione dell’idea dell’unità dell’impero carolingio vennero a crearsi ovunque delle situazioni politiche molto caotiche, dove ogni grande aristocratico che poteva vantare un buon numero di sostenitori, e magari una lontana parentela con i Carolingi, avanzava la propria pretesa al trono. Una situazione che nella penisola italiana ebbe risvolti particolari, visto che i grandi aristocratici si appoggiarono a re o nobili stranieri per sconfiggere, o deporre, i propri rivali politici. Una situazione che caratterizzerà la lotta politica fino all’avvento del re di Germania Ottone I, elemento super partes capace di imporre la propria autorità alla litigiosa aristocrazia italica527. Dall’888 fino al 962 un re dopo l’altro dovette subire rivolte, congiure e tradimenti,

una situazione così tanto irreale da sembrare, agli occhi degli intellettuali contemporanei come una strategia dei grandi aristocratici per non dover mai sottostare ad una forte autorità regia. Liutprando vescovo di Cremona affermò infatti che la politica dei grandi nobili italiani era stata mossa dalla volontà di porre sul trono due re contemporaneamente, “per tenere a freno

l’uno con la paura dell’altro528”.Vi erano quindi delle potenti forze disgregatrici ed autonomistiche

che riflettevano il forte potere che nel tempo erano andati assumendo vari conti e marchesi. Per comprendere appieno questo periodo bisogna pensare che tutti i re, da Carlo il Grosso in poi, “o non erano italiani o erano governanti di marche italiane529”. In Italia si fece largo in questo

526 Bougard François, Lo stato e le élites fra 888 e 962: il regno d’Italia a confronto (brevi considerazioni), in IV

Seminario Internazionale Cassero di Poggi Imperiale a Poggibonsi (SI), 4-6 dicembre 2009; Italia, 888-

962: una svolta, a cura di Marco Valentis e Chris Wickham.

527 In verità la vera forza di Ottone I in Italia stava nella fedeltà del suo esercito, che, a differenza di

quelli dei re d’Italia, i suoi armati infatti avevano una comprovata lealtà nel proprio signore. Cammarosano, Storia dell’Italia, cit. a p. 220, anche Wickham, L’Italia, cit. a p. 230.

528 Liutprando, Antapodosis, a cura di Paolo Chiesa, Mondadori, Torino, 2015, I, 37: “[…] et quia

Italienses geminis uti dominis uolunt, quatinus alterum alterius terrore coherceant […]”; “[…] e perché sempre gli Italici vogliono avere due padroni per tenere a freno l’uno con la paura dell’altro”. Anche Andrea da Bergamo

definì il continuo appoggio dell’aristocrazia italiana a re diversi come “pravum consilium”: Castagnetti,

Il Veneto, cit. a pp. 58-59.

138

frangente di enormi possibilità proprio Berengario del Friuli, capo del partito filotedesco e marchese del Friuli530. Non solo era uno degli aristocratici più ricchi e prestigiosi d’Italia, ma

vantava anche una diretta discendenza carolingia per parte materna, poiché sua madre Gisela era una delle figlie di Ludovico il Pio. Appoggiato dal papa egli venne quindi eletto re d’Italia nel gennaio dell’888531.

Le prime azioni di governo del nuovo re del regno italico furono l’assicurarsi dei consiglieri degni di fiducia quali Adelardo vescovo di Verona – capitale dei domini orientali di Berengario – ed il duca Walfredo della stessa città, che fu elevato marchese532. È in questo

periodo che Verona torna ad assumere un ruolo storico di primaria importanza, non solo come capitale della marca friulana, ma come centro politico, economico e militare di tutto il nordest. Questa divenne la capitale reale del regno italico, essendo il vero centro del potere del novo sovrano nonché suo luogo di rifugio ed ultima fortezza nei momenti più travagliati del suo regno533. Berengario durante i suoi anni di governo concesse numerosi privilegi a

chiese e monasteri, azione che la storiografia ufficiale ha sempre identificato come il segno distintivo della sua debolezza, mentre in realtà si trattava di un’operazione comune ai re post- carolingi. Non solo, come infatti dimostra Barbara Rosenwein, le numerose concessioni di Berengario erano rivolte all’arricchimento dei suoi più stretti collaboratori e della sua famiglia, ma questo avveniva in un preciso raggio d’intervento volto a premiare ed irrobustire la sua clientela nell’Italia del nordest534.

Berengario dovette però combattere fin da subito per mantenere la corona. Guido di Spoleto, fallito infatti il suo tentativo di diventare re dei Franchi occidentali, si presentò nell’autunno dell’889 a reclamare la corona ferrea del regno d’Italia. Re Berengario si mosse da Verona verso il suo sfidante e nei pressi di Brescia ci fu una prima battaglia. La battaglia dovette molto probabilmente finire senza un vincitore sul campo, ma Guido, ritiratosi, lasciò il

530 La base del potere di Berengario era il governo della marca friulana con tutto il suo potenziale

militare, mentre il fondamento della sua pretesa al trono era il puro sangue carolingio. Delogu,

Lombard and Carolingian Italy, cit. a p. 316: “Berengar based himself on Carolingian legitimism, since he was the grandson of Louis the Pious through his mother. He probably still aimed at a strong royal power, based on the military resources of the northeastern regions which he ruled as marquis, as well as at freeing the kingdom from its complex connection with the papacy”.

531 Liutprando, ANT, I, 15: “Berengarius […] Italici regni suscepit imperium […]”. 532 Castagnetti, Il Veneto, cit. a pp. 63-64.

533 La città era da poco stata elogiata da un poeta nel Versus de Verona, Raterio, Laudes Veronensis

civitatis, in Poetae latini aevi carolini, Monumenta Germania Historica Tomus I, Ernestus Dummler,

München, 1978, cit. a pp. 118-122. (inizio sec. IX): “Magna et preclara pollet urbis in Italia/ in partibus

Venetiarum, ut docet Isidorus,/ que Verona uocitatur olim antiquitos./ Per quadrum est compaginata, murificata firmiter;/ quaranta et octo turres fulget per circuitum,/ ex quibus octo sunt excelse qui eminent omnibus […]”.

139

campo a Berengario535. Venne quindi stipulata una tregua che durò fino all’epifania dell’899,

quando i due eserciti tornarono ad affrontarsi di nuovo. Una successiva e sanguinosa battaglia sul Trebbia vide però prevalere Guido che poté di conseguenza procedere verso Pavia dove fu proclamato re536. Il regno dovette essere di conseguenza diviso, almeno de facto, fra i due

contendenti: Berengario, sconfitto, si ritirò a Verona, in quella marca friulana che era il centro del suo potere, mentre il confine fu fissato ancora una volta sui fiumi dell’Adda, l’Oglio ed il Po537. Siamo di fronte, ancora una volta, alla divisione geografica che aveva distinto le due

macroregioni longobarde di Austria e Neustria. Quella che un tempo era la provincia della

Venetia et Histria romana, e che era stata l’estensione massima raggiunta dal potere dei duchi

friulani longobardi, era ora dominio diretto di Berengario, re sconfitto ma non eliminato. Così il Friuli e tutto il nordest erano sotto il dominio del marchese friulano e della sua famiglia, un territorio al cui interno il nuovo re Guido non aveva alcuna, o scarse, possibilità di intervenire politicamente.

Fu allora che Arnolfo re di Germania, approfittando della situazione d’incertezza che regnava in Italia, scese a Trento per far valere le sue pretese sul regno italico. Berengario, senza altre alternative, si riconobbe vassallo del potente re tedesco, e chiese il suo aiuto nella riconquista del trono. In seguito alle numerose sollecitazioni papali, il pontefice mal sopportava infatti il nuovo re Guido, e a quelle di Berengario, Arnolfo si decise a scendere in Italia e nell’894 valicò le Alpi con un grande esercito. Berengario sarà al suo fianco, e come atto di conferma della sua sottomissione gli fece da scudiero portandogli lo scudo538. Con questo gesto di

chiara subordinazione, è stato giustamente sottolineato, il marchese friulano non fece altro che consolidare le richieste dei re Germanici di subordinazione del regno d’Italia e l’aspirazione imperiale degli stessi, che verrà definitivamente ratificata con la proclamazione imperiale di Ottone I539. Arnolfo, arrivato in Italia, venne prima accolto a Verona e nei

535 Arnaldi, Berengario I, confrontare con Liutprando, ANT, I, XVIII-XIX, questo infatti inverte

l’ordine delle battaglie, ma condivido l’opinione di Arnaldi che cita Erchemperto a sostegno delle sue tesi.

536 È interessante notare come in questo periodo i sostenitori di Berengario accusassero Guido di non

essere “italiano”, e quindi uno straniero. È un tema ricorrente nei, Gesta Berengarii, Anonimo, Scontro

per il regno nell’Italia del X secolo, a cura di Francesco Stella. Pacini Editore, Pisa, 2009, dove più volte si

indica Ugo come proveniente dalla Gallia, e come Galli i suoi sostenitori, mentre Berengario è l’Italico, l’Italiano. Vedere anche Borri, Alboino, cit. a p. 222 e Bougard, Lo stato e le élites, cit. a p. 79.

537 Castagnetti, Il Veneto, cit. a p. 65. Arnaldi, Berengario I.

538 Liutprando, ANT, I, 22. “Cui Berengarius, ut promissionis suae fidem daret credulitatis arrabone, clipem

portat”. “E Berengario, come pegno di fede alla sua parola, gli porta lo scudo”.

539 Castagnetti, Il Veneto, cit. a p. 65. Gasparri, La Rocca, Tempi, cit. a pp. 311-312: “Proprio il valore

particolare che aveva la corona del regno italico, in quanto base legittima per una rivendicazione del titolo imperiale, finì per attirare in Italia il re di Germania Arnolfo di Carinzia, chiamato da una fazione dell’aristocrazia e della chiesa ostile a Guido e capeggiata da papa Formoso”.

140

territori fedeli a Berengario, mentre sola Bergamo gli sbarrò la strada ma la città venne conquistata ed il suo conte impiccato540. Così Guido venne facilmente sconfitto, e nell’894

trovò anche la morte.

Dopo che Arnolfo fu obbligato a tornare in Germania per un breve periodo, le possibilità per Berengario di riprendere la corona aumentarono a dismisura, tanto che si oppose di conseguenza ad una seconda discesa di Arnolfo, diretta a Roma dove riuscì ad ottenere il titolo imperiale (896). Il nuovo imperatore però, in seguito ad una violenta malattia, dovette tornare nuovamente in Germania dove trovò la morte. L’unico nemico che ancora sbarrava la strada alla corona era ora il figlio di Guido, Lamberto, con il quale Berengario si accordò per dividere nuovamente il regno sull’usuale linea dell’Adda541. Morto però anche Lamberto

in un incidente di caccia nell’898, il potere tornò fermamente nelle mani del marchese Friulano che lo mantenne fino al 924542.

Si era intanto addensata una tempesta pronta ad abbattersi sul regno di Berengario I e sull’Europa intera per molti anni a venire: gli Ungari. Ennesima popolazione di origine eurasiatica a stabilirsi in Pannonia, gli Ungari, o Magiari, erano un popolo di allevatori e pastori nomadi che con le loro incursioni terrorizzarono l’Europa occidentale per quasi un secolo. Fra i numerosi doveri che competevano ad un re di tradizione carolingia il più importante rimaneva quello di difendere il popolo dalle minacce esterne. Questo compito gravava ancor di più sulle spalle di re Berengario, che nella sua carriera fu innanzitutto marchese del Friuli, e quindi l’ufficiale preposto alla difesa della frontiera del Friuli, tanto esposta alle minacce che provenivano dall’Oriente. L’incursione dei Magiari dell’898 fu di conseguenza la prima vera grande sfida per Berengario quale re d’Italia. La strada scelta dagli invasori fu la stessa che secoli prima era stata percorsa da Alboino e dagli Avari; essi attraversarono infatti i passi delle Alpi orientali immettendosi quindi nella via Postumia543.

Superate le città più fortificate come Aquileia e Verona, devastarono l’entroterra, saccheggiando e facendo bottino dove possibile. Berengario chiamò a sé tutti i suoi vassalli, raccogliendo quante più forze possibile e, radunato così un grande esercito, si mosse in tutta fretta contro il nemico. L’esercito del re friulano doveva essere molto vasto poiché invero gli Ungari incontrati una prima volta sul Po, presso Piacenza, fecero numerose offerte di pace, tutte però rifiutate dal re544. Gli Ungari continuarono così a ritirarsi verso est, mentre ci fu

540 Liutprando, ANT, I, 23. 541 Liutprando, ANT, I, 36-38. 542 Liutprando, ANT, I, 43.

543 Arnaldi, Berengario I; vedere anche Liutprando, ANT, II, 9. 544 Liutprando, ANT, II, 11.

141

una prima scaramuccia fra l’avanguardia del re e la retroguardia dei fuggitivi che, appesantiti dall’ingente bottino, si muovevano più lenti delle forze italiche. Queste, superatili, gli sbarrarono la strada accampandosi al di là del fiume Brenta. I nomadi eurasiatici offrirono allora, persa ogni speranza di fuga, condizioni molto favorevoli agli italici, giurando anche di non tornare mai più in Italia, ma re Berengario non accettò, fiducioso del numero dei suoi e sicuro della vittoria.

Dopo l’ennesima ambasceria fallita, gli Ungari decisero allora di giocare il tutto per tutto e varcato il fiume attaccarono in massa il più numeroso esercito cristiano. Le forze de re, sicure della vittoria, si rilassarono eccessivamente e furono colte di sorpresa dall’assalto magiaro in forze: lo scompiglio fu totale, e la vittoria degli invasori decisiva. Gli Italiani vennero sorpresi in pieno giorno mentre dispersi consumavano il pasto, ed ogni tentativo di difesa fu vanificato dalla tecnica mordi e fuggi degli Ungari, e dalla loro micidiale abilità con l’arco, a cui i cavalieri occidentali non erano più avvezzi545. La strage fu immane, Liutprando da

Cremona ci racconta che “[…] gli Ungari li colpirono con tale velocità da inchiodare ad alcuni il cibo

in gola, mentre ad altri impedirono la fuga portando via ai cavalli, e più facilmente li uccidevano vedendoli appiedati”. Berengario riuscì a fuggire insieme a pochi altri che si arroccarono nelle città

mentre gli Ungari dominavano il campo. Per un anno i nomadi andarono in lungo e in largo per l’Italia del nord senza che nessuno fosse in grado di opporgli resistenza, poi, attraversati di nuovo i valichi alpini, tornarono in Pannonia.

Della sconfitta di Berengario approfittarono i suoi rivali, che vedendo la sua posizione indebolita si fecero avanti opponendogli un nuovo aspirante al trono: un tale Ludovico III di Provenza, nipote dell’imperatore Ludovico II546. Già agli inizi di ottobre del 900 costui fu

incoronato re a Pavia, senza incontrare alcun ostacolo; Berengario si era infatti rifugiato a Verona, sua roccaforte e capitale. L’azione del nuovo re fu però limitata. Due anni dopo, Berengario, rafforzato il suo potere e radunato un nuovo esercito, scacciò dalla penisola Ludovico, ottenendo un giuramento con il quale lo sconfitto prometteva che non sarebbe mai più tornato a reclamare la corona d’Italia. Nonostante il sacro vincolo Ludovico ritentò l’avventura italiana nel 905, ed entrato nella penisola riuscì a conquistare anche Verona, sfruttando il tradimento di alcuni fedeli di Berengario. Questo, in fuga, non andò molto lontano se poco tempo dopo, approfittando della fitta rete di contatti e fedeltà che ancora possedeva in città, superò di notte le porte di Verona e catturò Ludovico che, sottovalutando

545 Moro, Quam Horrida, cit. a p. 38. 546 Liutprando, ANT, II, 32.

142

il suo rivale, era rimasto con un’esigua scorta547. Lo spergiuro venne quindi accecato per

punizione, come voleva il diritto, e poi rimandato in Provenza548, Berengario poteva ora

regnare indisturbato.

Gli anni successivi furono effettivamente tranquilli, grazie soprattutto a Berengario che aveva comprato la pace e l’alleanza degli Ungari scongiurando così ogni possibile invasione. Da questo momento in poi infatti, fra le schiere di Berengario troveremo spesso anche forze ungare, che comprate come mercenarie combatterono a fianco del sovrano friulano549.

Berengario infine, dopo dieci anni incontrastati di governo del paese ed intense trattative, fu eletto imperatore dal nuovo papa Giovanni X nei primi di dicembre del 915. È il punto più alto della carriera di Berengario I, che dalla marca friulana riuscì non solo a conquistare la corona ferrea del regno d’Italia, ma ad essere proclamato imperatore. A ragione Chris Wickham sostiene che in questo periodo egli fu il sovrano post-carolingio che “godette del più

ampio ed incontrastato potere550”. Ma le cose erano destinate a cambiare. Nel 921 infatti una

congiura di nobili rivali invitò Rodolfo II, re di Borgogna, ad entrare in Italia e conquistare il paese. L’imperatore, di fronte alla sollevazione dell’aristocrazia italiana a lui invisa si ritirò ancora una volta nella marca veneto-friulana, lasciando il campo e Pavia nelle mani di Rodolfo e degli insorti. Radunato un vasto esercito, rinforzato da contingenti di Magiari, Berengario si mosse verso l’invasore e si venne allo scontro nei pressi di Fiorenzuola d’Arda. La battaglia fu estremamente violenta e spaventosa, le forze in campo dovevano avere infatti pressoché lo stesso numero di cavalieri, ma se dopo un’estenuante lotta fu l’esercito dell’imperatore ad imporsi, l’arrivo dei conti Bonifacio e Gariardo, che fino ad ora si erano tenuti in disparte, volse le sorti dello scontro a favore di Rodolfo551. Berengario sconfitto si

rifugiò a Verona, dove il 17 aprile 924 venne assassinato e tradito da uno scudaliscio veronese di nome Flamberto552. Mentre l’imperatore moriva a Verona, come accadde ad Alboino prima

di lui, gli Ungari che lui stesso aveva assoldato assediarono la città di Pavia – Rodolfo si era ritirato momentaneamente in Borgogna – e non riuscendo a conquistarla la diedero alle

547 Arnaldi, Berengario I.

548 Liutprando, ANT, II, 41-42.

549 Liutprando, ANT, II, 61: “[…] Hungarios Veronam his ignorantibus aduenise, quorum duo reges Dursác et

Bugat amicissimi Berengario fuerant”. Alcuni comandanti magiari non sono solo presentati come amici

del re, ma anzi si conosce il loro nome, a riprova del fatto che l’amicizia fra questi doveva essere profonda. Ovviamente un’amicizia basata sulla soddisfazione di interessi comuni: per gli Ungari arricchirsi a spese del re, mentre per Berengario mantenere l’ordine nel regno e sconfiggere eventuali ribelli.

550 Wickham, L’eredità, cit. a p. 483.

551 Liutprando, ANT, II, 65-66. Moro, Quam horrida, cit. a p. 39. 552 Liutprando, ANT, II, 71.

143

fiamme causando grande indignazione nei contemporanei553. Berengario, che durante il suo

lungo regno dovette affrontare ben cinque rivali, non avendo figli maschi fu l’ultimo marchese della sua dinastia a governare la marca di Verona e del Friuli. La base del potere degli Unrochingi, quella marca friulana che nel tempo si era spostata sempre più ad est per tornare poi nei suoi confini storici, assomigliava ora molto più all’Austria longobarda piuttosto che ai territori un tempo governati dai conti Erico e Baldrico554. Ora che non vi

erano più unrochingi pronti ad ereditare tutti i legami intessuti da Berengario il Friuli passò in secondo piano rispetto alla storia del regno, diventando la porta dell’Italia per i re Germanici. Destino volle che l’unica figlia di Berengario, Gisela, sposò il marchese d’Ivrea Adalberto, ed il loro figlio Berengario II sarà l’ultimo sovrano italiano del regno.